Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31721 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31721 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

AZZOLINI ALICE n. 30/11/1972
Nel procedimento a carico di
BASILE GILBERTO n. 9/8/1935
avverso la sentenza 2605/2012 del 24/9/2013 del GIUDICE DELL’UDIENZA
PRELIMINARE DI VELLETRI
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIOVANNI D’ANGELO che ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri con sentenza del
24 settembre 2013 proscioglieva Basile Gilberto del reato di calunnia con la
formula “il fatto non sussiste”. Secondo l’accusa, Basile Gilberto, sentito quale
imputato nel processo a suo carico per aver cagionato lesioni colpose ad Azzolini
Alice in occasione di un intervento chirurgico, aveva accusato la Azzolini di essersi
recata presso l’ospedale di Marino per portar via i “vetrini” con i campioni biologici
residuati dalla predetta operazione chirurgica,

“implicitamente accusando la

persona offesa di aver tentato di sopprimere prove rilevanti”.
Il giudice osservava che l’affermazione contestata era quella in cui l’imputato
aveva dichiarato che:

Data Udienza: 15/05/2014

Azzolini si era recata all’ospedale per ottenere la consegna dei predetti
vetrini, che per lui rappresentavano un reperto importante perché
fondamentale per la sua tesi difensiva,
per puro caso, essendo tali vetrini chiusi in un cassetto, non erano stati
consegnati alla Azzolini
se i vetrini fossero stati consegnati alla Azzolini, non sarebbe rimasto più
alcun elemento concreto utile a fornire la prova della regolarità
dell’intervento chirurgico in questione.

la consegna di vetrini, così come era certo che fosse suo diritto ottenerli essendone
lei la proprietaria e che tale diritto il Basile non poneva affatto in discussione. Era
poi evidente che da nessuna parte della dichiarazione dell’imputato risultava che
costui avesse sostenuto che la persona offesa volesse volontariamente distruggere
tali prove. Basile si era limitato a manifestare la sola preoccupazione che, se
consegnati alla persona offesa, che ne era proprietaria, i reperti non sarebbero
stati più disponibili per gli accertamenti che avrebbero, a suo parere, escluso la
sua responsabilità per i danni fisici subiti dalla Azzolini.
Il difensore di Azzolini propone ricorso deducendo con primo motivo il vizio di
motivazione e la violazione di legge penale processuale. Ritiene che la motivazione
sia illogica in quanto il giudice dà una interpretazione delle dichiarazioni
dell’imputato che non è univoca, risultando quindi sussistere le condizioni perché
si debba procedere a giudizio.
Il ricorso è inammissibile.
Premesso che la motivazione certamente non è carente in quanto ampia è
riferita a tutti i punti rilevanti – quindi la contestazione sul punto è del tutto
inconsistente – il giudice ha correttamente esercitato le funzioni attribuitegli per
la data fase processuale. Ha dato atto, in modo logico, che in nessuna parte della
dichiarazione dell’imputato vi era alcuna accusa esplicita od implicita della
commissione di un reato, non avendo affatto posto in dubbio che la proprietà di
tali oggetti fosse della presunta persona offesa. Essendo del resto fuori
contestazione tale proprietà dei “vetrini”, non è neanche chiaro quale sia, nella
prospettiva dell’originaria accusa sulla quale il ricorrente insiste, il reato di cui
Basile avrebbe accusato la Azzolini. Difatti il capo di imputazione descrive la
condotta incriminata come accusa fatta ad Azzolini di “aver tentato di sopprimere
prove rilevanti per il medesimo processo”,

senza meglio indicare di quale reato

avrebbe ingiustamente accusato la p.o. Basile; non essendo stato posta in dubbio,
come già detto, la proprietà dei “vetrini” in capo alla presunta persona offesa, dalla
imputazione non risulta che l’imputato abbia fatto altro che manifestare il timore
che la parte potesse disporre della cosa propria nel contempo disperdendo la

Osservava quindi il giudice che era certo il fatto che la donna avesse chiesto

prova; questa è una situazione comune, che rappresenta la solita e tipica ipotesi
di ricorso al sequestro probatorio ma non la violazione di alcun obbligo penalmente
sanzionato.
Valutate le ragioni della inammissibilità, la sanzione pecuniaria va determinata
nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle

Roma fosì deciso il 15 maggio 2014

Ammende.

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