Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31721 del 14/04/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31721 Anno 2015
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MATTIOLI GIOVANNI N. IL 25/03/1956
avverso la sentenza n. 21528/2005 TRIBUNALE di ROMA, del
15/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 14/04/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Mattioli Giovanni propone ricorso per rescissione del giudicato, ai sensi
dell’articolo 625 ter del codice di rito, per la revoca della sentenza di condanna, alla
pena di anni tre e mesi sei di reclusione, pronunziata dal Tribunale di Roma, in data 15
giugno 2012 e divenuta definitiva per mancata impugnazione, sostenendo la violazione
dell’articolo 606, lett. c) ed e) del codice di rito, in relazione agli articoli 157, 159, 160,
420 quater del codice di rito e 24 della Costituzione, deducendo di non avere mai avuto

oltre 10 anni in Brasile e di avere appreso dell’esistenza di tale decisione di condanna,
nell’ambito del procedimento di estradizione tuttora pendente.
2. La difesa rileva che la norma invocata dovrebbe trovare applicazione, anche con
riferimento alle decisioni intervenute prima dell’entrata in vigore della legge n. 67 del
28 aprile 2014, dovendosi fare riferimento alla data di esecuzione delle sentenze, in
quanto identiche sarebbero le posizioni dell’imputato, in stato di assenza, vigente la
nuova disciplina e dell’imputato, contumace e inconsapevole dell’esistenza di un
procedimento a suo carico, secondo la precedente normativa. Inoltre, l’interpretazione
dell’articolo 625 ter c.p.p. tesa ad un’applicabilità riferita solo alle vicende successive,
darebbe luogo all’illegittimità costituzionale della norma per contrasto con gli articoli 3 e
24 della Costituzione, distinguendo, in maniera irragionevole, situazioni analoghe e
violerebbe il diritto di difesa, rappresentando la rescissione del giudicato un corollario
dell’effettività di tale diritto.
3. Con parere del 2 ottobre 2014 il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione
conclude per l’inammissibilità del ricorso e la condanna del condannato al pagamento
delle spese processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va rilevato che sulla richiesta di rescissione del giudicato, di cui all’art. 625 ter cod.
proc. pen., la Corte di cassazione delibera secondo la procedura camerale non
partecipata – disciplinata dall’art. 611 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014
– dep. 03/09/2014, Burba, Rv. 259991).
2. Con riferimento alle questioni preliminari prospettate dal ricorrente è intervenuta, nelle
more di giudizio, la decisione della Cassazione a Sezioni Unite la quale ha affermato che
l’istituto della rescissione del giudicato, di cui all’art. 625-ter cod. proc. pen., si applica
solo ai procedimenti nei quali è stata dichiarata l’assenza dell’imputato a norma dell’art.
420-bis cod. proc. pen., come modificato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, mentre,
invece, ai procedimenti contumaciali definiti secondo la normativa antecedente alla
entrata in vigore della legge indicata, continua ad applicarsi la disciplina della

conoscenza del procedimento penale e della sentenza di condanna, poiché residente da

restituzione nel termine per proporre impugnazione dettata dall’art. 175, comma
secondo, cod. proc. pen. nel testo previgente (Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014 – dep.
03/09/2014, Burba, Rv. 259992).
3. Conseguentemente il nuovo istituto previsto dal codice di rito prevede che la richiesta
possa essere presentata dal condannato nei cui confronti si sia proceduto in assenza,
per tutta la durata del processo, a essa non può riguardare, né l’imputato contumace,
né quello assente, secondo la previgente disciplina, ma solo la nuova ipotesi del giudizio
in assenza dell’imputato, disciplinata dall’articolo 420 bis del codice di rito, come

sostituito dalla legge n. 67 del 2014. Da ciò discende che, per i processi, come quello in
esame, definiti, anche solo nei gradi di merito, antecedentemente alla entrata in vigore
della predetta normativa, non può profilarsi, in mancanza di espresse previsioni
normative, alcuna questione di diritto intertemporale, essendo evidente che tali gradi di
giudizio, espletati sulla base del regime contumaciale o secondo quello dell’assenza,
come anteriormente disciplinati, non potrebbero risentire dell’intervento normativo in
oggetto, il quale si riferisce esplicitamente ad un imputato “assente” nei termini definiti
dalla nuova disciplina.
4. Da ciò consegue l’inammissibilità della richiesta diretta ad ottenere la rescissione del
giudicato, difettandone i presupposti di applicabilità. Infatti, nel caso di specie, la
richiesta si riferisce ad un processo definito anteriormente alla vigenza dell’articolo 625
ter c.p.p, inserito nel codice di rito dall’articolo 11, quinto comma, della legge 28 aprile
2014, n. 67, entrata in vigore il 17 maggio 2014.
5. Anche il successivo intervento normativo, introdotto dal legislatore nella citata legge
con dall’articolo 15 bis, in vigore dal 22 agosto 2014, conferma la tesi della non
retroattività della nuova disciplina, poiché contiene disposizioni di carattere
intertemporale che prevedono che tale normativa sia applicabile ai soli processi in
corso, nei quali non sia stata pronunziata la sentenza di primo grado e che, inoltre, in
deroga alla citata disposizione, continuano ad applicarsi le norme vigenti anteriormente
quando l’imputato sia stato dichiarato contumace e non sia stato emesso il decreto di
irreperibilità.
6. Sotto altro profilo anche le prospettate questioni di illegittimità costituzionale appaiono
infondate. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha autorevolmente precisato che in
tema di successione di leggi processuali nel tempo, il principio secondo il quale, se la
legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali
posteriori adottate prima della pronunzia di una sentenza definitiva sono diverse, il
giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato, non
costituisce un principio dell’ordinamento processuale, nemmeno nell’ambito delle
misure cautelari, poiché non esistono principi di diritto intertemporale propri della

C

legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento
processuale (Corte cost. 14 gennaio 1982, n. 15 e Sez. U, n. 27919 del 31/03/2011 dep. 14/07/2011, P.G. in proc. Ambrogio, Rv. 250196).
7. Da ciò discende che la nuova normativa disciplina il processo dal momento della sua
entrata in vigore e che gli atti compiuti nel vigore della legge precedente restano validi
attesa la non retroattività della nuova disciplina. Tale principio si applica anche alla
fattispecie in esame poiché l’istituto della restituzione in termini per l’impugnazione

applicativo della retroattività della legge più favorevole al reo, sulla base del principio
secondo cui un modulo processuale non può essere assunto a modello costituzionale del
giusto processo, onde non può venir prospettata, come lesiva della garanzia al diritto di
difesa, l’adozione di un rito piuttosto che un altro. Conseguentemente va esclusa la
violazione dell’articolo 24 della Costituzione quando la questione riguarda le modalità di
accesso alla tutela giurisdizionale.
8. Infine, neppure sussiste la ventilata violazione dell’articolo 3 della Costituzione per
disparità di trattamento, avendo più volte la giurisprudenza di legittimità precisato che
in tema di successione di leggi nel tempo, il potere discrezionale del legislatore di
introdurre una nuova disciplina, anche se con effetti più favorevoli per il cittadino, non
determina una disparità di trattamento con riguardo alla posizione di coloro che non
rientrano nella novellata disciplina.
9. In considerazione della natura processuale della nuova del disposizione, quindi, non si
pone un problema di disciplina più favorevole per il condannato e cioè esclude l’ipotesi
di illegittimità costituzionale della disposizione.
10.Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare
equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 14 aprile 2015
Il Consigliere estensor

,

Il Presidente

delle sentenze contumaciale di non soggiace, per la sua natura processuale, al criterio

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