Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31718 del 11/03/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31718 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: LEO GUGLIELMO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di fiducia nell’interesse di

Longobardi Rosario, nato a Montecorvino Rovella 1’1/09/1970

avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in data 26/09/2013

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta in camera di consiglio dal consigliere Guglielmo Leo;
udito il Procuratore generale, in persona del sostituto dott. Luigi Riello, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. È impugnata la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 11/13 del
28/09/2013, con la quale è stata affermata la sussistenza delle condizioni per
l’accoglimento della richiesta di estradizione proposta dalla Romania nei confronti
di Rosario Longobardi.
Dalla sentenza e dagli atti cui la stessa si riferisce emergono le seguenti
circostanze:
g2-1.4

Data Udienza: 11/03/2014

-

Nei confronti di Longobardi la Pretura di Bucarest ha pronunciato

sentenza di condanna per furto continuato, relativamente a 26 distinti episodi,
il 18 dicembre 2000, infliggendo una pena detentiva di otto anni.

Longobardi è stato assoggettato a custodia cautelare per questo titolo,

in Romania, fino al 26 gennaio 1996.

La sentenza pare divenuta definitiva il 24 febbraio 2003, allorquando il

Tribunale di Bucarest ha accertato che Longobardi non aveva aderito
all’impugnazione proposta dal difensore di ufficio.
Il 10 aprile 2003, in ogni caso, è stato emesso un ordine di esecuzione

della pena inflitta con la sentenza in questione.

Il 7 marzo 2008 l’Autorità romena ha emesso anche un mandato di

arresto europeo, come emerge dall’attestazione S.I.RE.N.E in base alla quale,
il giorno 5 gennaio 2013, il Longobardi è stato tratto in arresto ad iniziativa
della polizia giudiziaria.

Il 7 gennaio 2013, qualificati l’arresto e la procedura a norma degli artt.

715 e 716 cod. proc. pen, il Consigliere delegato della Corte d’appello di
Salerno ha convalidato l’arresto e disposto la custodia in carcere
dell’interessato (misura in seguito sostituita da quella dell’obbligo di
presentazione periodica alla polizia giudiziaria).

È in atti una richiesta di estradizione finalizzata all’esecuzione della

pena di otto anni di reclusione inflitta con la sentenza sopra indicata. La
relazione sui fatti, presentata in esecuzione del disposto della Convenzione
europea di estradizione, contiene un riferimento al citato ordine di esecuzione,
e, nella descrizione dei fatti, menziona uno solo degli episodi di furto
contestati al Longobardi.

La Corte d’appello di Salerno ha adottato provvedimenti interlocutori al

fine di verificare i presupposti per una eventuale procedura di riconoscimento
della sentenza di condanna, prendendo poi atto del motivato diniego del
Ministero della giustizia.

Con il provvedimento impugnato la Corte territoriale ha preso atto

inoltre della sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibili questioni di legittimità mirate ad introdurre tra i motivi di rifiuto
dell’estradizione la possibilità che il cittadino sconti la pena nello Stato
richiesto (n. 274/2011); ha ritenuto l’applicabilità alla procedura delle norme
antecedenti alla legge n. 69 del 2005; ha ritenuto la sussistenza delle ulteriori
condizioni per l’accoglimento della domanda.

2. Con un primo motivo di ricorso – a norma dell’art. 606, comma 1, lettere b)
ed e) , cod. proc. pen. – il Difensore del Longobardi deduce violazione dell’art.

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705, comma 2, dello stesso codice e degli artt. 2, comma 1, e 10 della
Convenzione europea di estradizione.
A parere del ricorrente farebbe anzitutto difetto la condizione di “doppia
punibilità” dei fatti cui si riferisce la domanda estradizionale, posto che
l’ordinamento romeno, a differenza di quello italiano, considera il delitto
continuato come un fatto unitario. La relativa pretesa punitiva contrasterebbe
con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale.
In ogni caso, come avrebbe riconosciuto lo stesso Procuratore generale presso

termini prescrizionali a norma dell’ordinamento italiano (che in caso di
continuazione ha riguardo alla sanzione inflitta per ciascuno dei reati afferenti al
delitto continuato), non desumendosi dagli atti (né potendosi desumere, data la
disciplina romena) la pena singolarmente inflitta per ciascuna delle 26 infrazioni
contestate al Longobardi. Nel silenzio dell’Autorità richiedente, la Corte d’appello
avrebbe dovuto collegare a ciascun fatto una frazione di ventisei della pena
complessiva di otto anni, così come stabilito dalla giurisprudenza, ad esempio,
per il computo dei termini di custodia. Dovrebbe applicarsi, di conseguenza, un
termine decennale, a norma dell’art. 172, comma 1, cod. pen., termine
decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna e dunque
spirato al 24 febbraio 2013.
Alla estinzione della pena non osterebbe una condizione di recidiva
dell’interessato, sia perché la stessa dovrebbe essere stata dichiarata nel giudizio
concluso con l’irrogazione della pena considerata, sia perché Longobardi è stato
condannato solo per fatti successivi a quelli di cui si tratta, sia infine perché non
si tratterebbe comunque di recidiva riconducibile ai capoversi dell’art. 99 cod.
pen.
Con un secondo motivo di impugnazione, dedotto a norma dei parametri già
indicati, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 111 Cost., 175, comma 2,
cod. proc. pen., 1, comma 1, lettera b) del decreto-legge 21/12/2005, n.17,
come convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 22/04/2005, n. 60.
Longobardi si sarebbe allontanato dalla Romania subito dopo la scarcerazione,
e non vi sarebbe comunque alcuna prova che sia venuto a conoscenza della
sentenza di condanna pronunciata in sua assenza. L’estradizione sarebbe
legittima solo a condizione che l’ordinamento romeno contempli un rimedio utile
a consentire l’impugnazione tardiva della sentenza contumaciale.

3. In esito alla procedura camerale fissata per la trattazione del ricorso, in
data 8/01/2014, questa Corte ha disposto l’acquisizione di informazioni presso
l’Autorità richiedente circa la disciplina vigente in Romania a proposito del

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la Corte territoriale, non sarebbe possibile verificare l’eventuale maturazione dei

cumulo di pene in caso di concorso di reati, e circa i criteri adottati per il cumulo
medesimo nel caso di specie, nonché riguardo alla data di commissione dei fatti
per cui è stata deliberata la sentenza da eseguire.
La Pretura di Bucarest ha inviato una nota datata 20/01/2004, dalla quale si
evince in sostanza che
L’art. 33 del codice penale romeno identifica una pluralità di reati in casi
che potrebbero ricondursi alle figure italiane del concorso materiale e del
concorso formale.

materiale e giuridico delle pene, applicabili anche in fase esecutiva.
L’art. 41 esclude invece espressamente la «pluralità di reati» nel caso di
reato complesso e di reato «continuo» o «continuato». Al comma 2 è
precisato come tale ultima fattispecie si verifichi quando «una persona
commette in vari intervalli di tempo, per (sic) realizzando lo stesso
modello criminale, azioni o inazioni che presentano, ognuna
separatamente, il contenuto dello stesso reato».
I reati ascritti al Longobardi sono stati commessi tra il 21/01/1997 ed il
26/12/1997.

4. Con memoria presentata il 27/02/2014 il Difensore del ricorrente prospetta
l’incompletezza delle informazioni fornite dall’Autorità romena, la quale non ha
indicato i criteri di cumulo adottati nel caso di specie, pur rilevando che nei
confronti del Longobardi dovrebbe essere stata applicata la disciplina di cui
all’art. 41 del codice penale romeno. Si dovrebbe concludere che l’ordinamento
romeno non conosce una disciplina assimilabile a quella dell’art. 81, cpv., cod.
pen. italiano, e che dunque sarebbero fondati i motivi di ricorso proposti con
l’impugnazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato, e deve di conseguenza essere rigettato. Da ciò
consegue la necessaria condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

2. Il tema principale posto dal Difensore è quello della ipotetica prescrizione della
pena inflitta al Longobardi dall’Autorità giudiziaria romena, secondo la disciplina
nazionale in materia (art. 172 cod. pen.). Vi sono stati, per la verità, anche
riferimenti (da ultimo con la memoria del 27/02/2014) al carattere incerto o
generico delle informazioni concernenti la data dei commessi reati. Ma
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Gli artt. 34 e 35 configurano per i casi di concorso meccanismi di cumulo

l’argomento non sembra richiedere un approfondimento particolare: l’Autorità
romena ha indicato le date di avvio e di chiusura della lunga scia di furti
commessi in continuazione, e d’altra parte, una volta intervenuta la sentenza
irrevocabile di condanna, non v’è più materia di dibattito a proposito della
prescrizione quale causa estintiva del reato. La stessa Difesa, del resto, si è
concentrata sul tema del lungo tempo trascorso, appunto, dopo la pronuncia
della sentenza.
Com’è noto, la legge nazionale fissa il termine per l’estinzione della pena

inflitta dal giudice. Ad una sanzione della durata di otto anni, come quella
irrogata nella specie, corrisponde dunque un termine prescrizionale di sedici
anni, a partire dal giorno di sopravvenuta irrevocabilità della sentenza di
condanna (24/02/2003): un termine non ancora decorso, a prescindere da ogni
incidenza di fattori come la recidiva (il che rende irrilevanti le notazioni difensive
sullo specifico tema).
Il ricorrente, come detto, assume che nella specie dovrebbe considerarsi
inflitta una pena pari ad un ventiseiesimo del complesso di otto anni, trattandosi
di reato continuato, con la conseguenza che si applicherebbe il termine
prescrizionale minimo di dieci anni (che sarebbe spirato). Ma la tesi non è
accoglibile, nonostante le argomentazioni sviluppate con la memoria difensiva
depositata il 27 febbraio scorso.
L’ordinamento romeno considera espressamente il reato continuato come un
unico illecito, ed a tale stregua lo sanziona. Non v’è dunque alcuna incertezza
circa i criteri seguiti, nel caso di specie, per la determinazione del trattamento
sanzionatorio per il Longobardi: si è applicata un’unica pena, e resta irrilevante
stabilire se, nell’ordinario lavoro di quantificazione che il giudice del caso
concreto svolge guardando ai limiti inferiori e superiori della previsione di legge,
abbia o non influito il carattere «abituale» del comportamento criminoso del
condannato.
Alla configurazione unitaria del fatto, e della pena relativa, va dunque riferita
l’applicazione della disciplina nazionale in materia di prescrizione della sanzione,
che è quella irrogata dallo Stato richiedente, ferma restano l’inaccoglibilità della
domanda estradizionale quando si tratti di pena in contrasto con i principi
fondamentali dell’ordinamento, o quando manchi la condizione di doppia
punibilità.
A tale ultimo proposito, è già stato più volte stabilito, dalla giurisprudenza di
questa Corte, che l’eventuale difformità dal modello nazionale del trattamento
sanzionatorio previsto dall’ordinamento estero può rilevare, quale condizione
ostativa per l’estradizione, solo quando le previsioni di pena siano del tutto

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detentiva avuto riguardo al doppio della durata della pena medesima, come

irragionevoli, e manifestamente in contrasto con il principio di proporzionalità
(Sez. 6, Sentenza n. 7183 del 02/02/2011, rv . 249225; Sez. 6, Sentenza n.
4263 del 02/12/2008, rv. 242146).
Ora, non si vede per quale ragione dovrebbe considerarsi manifestamente
contrario al principio di proporzionalità un regime del delitto continuato che
addirittura punisce i fatti come se fossero espressione di un’unica condotta, sia
pure – e comprensibilmente – orientando verso i valori edittali più elevati le
fattispecie segnate dalla reiterazione dell’offesa tipica (nella specie, addirittura

singolo reato, non potrebbe che ribadirsi come la variazione dei valori edittali
possa rilevare solo quando si registri una sproporzione ingiustificabile (quale
sintomo del difetto di proporzionalità).
Nella specie è stata inflitta una pena superiore al massimo edittale previsto
per un singolo furto in abitazione, come quelli commessi nella specie (l’art. 624bis cod. pen. prevede una pena di sei anni, pari a quella previsto per il furto
aggravato, cioè la figura ordinariamente integrata del delitto de quo, a norma
dell’art. 625 cod. pen.), ma non certo in maniera esorbitante. E va aggiunto
naturalmente che, guardando alla disciplina “nazionale” della fattispecie
concreta, il massimo edittale della pena si attesterebbe sui diciotto anni, a norma
dell’art. 81, cpv., cod. pen.
Dunque, nessuna violazione del principio di proporzionalità. Non si comprende
poi bene perché la disciplina romena del delitto continuato farebbe venir meno la
condizione della «doppia punibilità». Il fatto costituisce reato ed è sanzionabile
per l’uno e per l’altro ordinamento: la condizione indicata, come si è appena
ricordato, non può certo risolversi nella pretesa della piena coincidenza delle
regole concorrenti per la definizione del trattamento sanzionatorio.

3. Non è fondato neppure il motivo che concerne, in sostanza, la forma
contumaciale del processo in esito al quale è stata pronunciata la sentenza di
condanna che lo Stato richiedente mira ad eseguire.
È stato affermato e più volte ribadito, anche con specifico riferimento ai
rapporti tra Romania ed Italia, che lo svolgimento in contumacia del processo
culminato con la condanna dell’estradando non osta all’accoglimento della
richiesta di consegna, quando risulti che l’ordinamento della parte richiedente
consente all’interessato di ottenere la celebrazione di un nuovo giudizio, qualora
non abbia avuto conoscenza di quello precedente (Sez. 6, sentenza n. 43542 del
9/10/2012, rv. 253821; Sez. 6, sentenza n. 15550 del 25/03/2009, rv. 243414;
Sez. 6, sentenza n. 1109 del 6/11/2008, rv. 242135; Sez. 6, sentenza n. 24707

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per ventisei volte). Se poi il riferimento si connettesse alla pena prevista per il

del 24/05/2007, rv. 237111; Sez. 6, sentenza n. 34480 del 17/04/2007, rv.
237796).
Ove dunque Longobardi fosse in grado di documentare la violazione del
proprio diritto di personale partecipazione al processo, tale diritto sarebbe
assicurato, perché così stabilisce la legge romena, dalla ripetizione del giudizio.

P.Q.M.
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 203 disp. att. cod.

proc. pen.
Così deciso il 11/03/2014.

Rigetta

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