Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31712 del 31/03/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31712 Anno 2015
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONAGA MATTEO N. IL 28/02/1973
DI MAGGIO STEFANO N. IL 28/08/1980
MASCIA MASSIMO N. IL 21/09/1979
MALTESE NICOLA N. IL 22/11/1984
MOLINELLI GIUSEPPE N. IL 20/04/1980
ORLANDO SAVERIO N. IL 31/01/1972
MAGGIO FULVIO N. IL 09/08/1979
CORSO SEBASTIANO N. IL 31/10/1977
avverso l’ordinanza n. 1210/2014 TRIB. LIBERTA’ di BOLOGNA, del
11/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
Lett

Uditi difensnr AVY

;

Data Udienza: 31/03/2015

..

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. M. Fraticelli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi. Uditi
altresì per i ricorrenti l’avv. R. D’Errico, l’avv. F. A. Maisano e l’avv. A.
Cappuccio, che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza deliberata in data 11/12/2014, il Tribunale del riesame di

indagini preliminari del Tribunale di Bologna ha applicato la misura cautelare
della custodia in carcere nei confronti di Molinellí Giuseppe, Di Maggio Stefano,
Mascia Massimo, Maltese Nicola, Maggio Fulvio, Orlando Saverio, Bonaga Matteo
e Corso Sebastiano in relazione al reato di associazione per delinquere (perché si
associavano tra loro e con altre persone in corso di identificazione allo scopo di
realizzare una serie indeterminata di reati in materia di esplosivi e di furti
pluriaggravati ai danni di agenzie di istituti di credito munite di sportelli ATM bancomat, fatti deflagrare con sostanze esplosive), ai reati di detenzione e porto
di sostanze esplosive (in parte predisposte in ordigni), a due episodi di furto e a
due episodi di tentato furto pluriaggravati.

2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna, hanno
proposto ricorso per cassazione Bonaga Matteo, Di Maggio Stefano, Mascia
Massimo, Maltese Nicola, Molinelli Giuseppe e Orlando Saverio, con un unico atto
attraverso il difensore avv. R. D’Errico, articolando sei motivi di seguito enunciati
nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli
artt. 291 e 309 cod. proc. pen., inutilizzabilità dei decreti di intercettazione
telefonica e ambientale ex artt. 267, 268 e 271 cod. proc. pen. Il P.M. non ha
trasmesso, con la richiesta di convalida del fermo ex art. 384 cod. proc. pen., i
decreti con i quali aveva disposto in via d’urgenza le captazioni, gli atti relativi
alle modalità esecutive e i provvedimenti di proroga, ma solo i decreti di
convalida emessi nell’ambito di un diverso procedimento con vari omissis e,
quindi, privi di motivazione. La dedotta inutilizzabilità non poteva essere sanata
con l’acquisizione d’ufficio disposta dal Tribunale del riesame con ordinanza in
data 11/12/2014, illegittima in quanto adottata in assenza di esplicita richiesta
difensiva. L’art. 291 cod. proc. pen. impone al p.m. di presentare al g.i.p. con la
richiesta cautelare gli elementi sui quali si fonda e, qualora tali elementi
consistano in intercettazioni, anche i decreti autorizzativi, tanto più che, nel caso
di specie, il g.i.p. della cautela è diverso dal g.i.p. che aveva autorizzato le

Bologna ha confermato l’ordinanza del 21/11/2014 con la quale il Giudice delle

intercettazioni, sicché, essendo stati i decreti omissati, non era possibile vagliare
la motivazione, con conseguente violazione dell’art. 267 cod. proc. pen.
2.2. Violazione della legge penale sostanziale e processuale, inosservanza
degli artt. 178, 268, 309, comma 5, cod. proc. pen. in quanto le registrazioni
relative alle operazioni di captazione sono state messe a disposizione della difesa
non in tempo utile all’esercizio del diritto di difesa, vizi di motivazione. In data
03/12/2014 la difesa avanzava richiesta di riesame e contestualmente
depositava istanza alla Procura della Repubblica per la visione e l’ascolto delle

10/12/2014, ore 12,30, il giorno prima dell’udienza camerale, il p.m. ha
depositato i supporti informatici relativi alle intercettazioni ambientali e video;
alle 17,00 del 10/12/2014 un collaboratore del difensore ha preso cognizione
fino alle 18,00 del materiale istruttorio presso il Nucleo Operativo dei Carabinieri.
Il deposito dei supporti informatici il giorno prima dell’udienza camerale e la
cognizione da parte della difesa del materiale costituito da numerose
intercettazioni per un così breve lasso di tempo ha integrato una grave lesione
del diritto di difesa. Il Tribunale del riesame ha rilevato che il rinvio dell’udienza
camerale al giorno successivo sarebbe servito ad articolare le tesi difensive, ma
non ha fornito alcuna valida indicazione sulle ragioni per le quali il p.m. ha
depositato il materiale istruttorio solo il giorno prima dell’udienza.
2.3. Violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli
artt. 14 Cost., 8 C.E.D.U. e 614 cod. pen., inutilizzabilità delle riprese di
immagini non comunicative in luogo di privata dimora raccolte in violazione di
legge. Il Tribunale del riesame ha rigettato l’eccezione di inutilizzabilità delle
videoregistrazioni ottenute, in assenza di alcun provvedimento dell’autorità
giudiziaria, da una telecamera installata dalla polizia giudiziaria nell’area garage
seminterrata di un condominio di fronte al box auto in uso agli indagati,
erroneamente ritenendo le riprese effettuate il luogo aperto al pubblico, laddove
il box auto e l’intera area del garage devono essere qualificati come luoghi di
privata dimora. I locali all’interno dei quali sono state effettuate le
videoregistrazioni sono visivamente inaccessibili dall’esterno, sicché gli inquirenti
hanno collocato la videocamera per superare le barriere fisiche che impedivano
di documentare dalla pubblica via quanto accadeva all’interno di un luogo di
privata dimora. Il diritto alla riservatezza o alla privacy è riconosciuto anche in
relazione a luoghi in cui si svolgono attività destinate a rimanere riservate
(toilette, camerini, privés): la dichiarata utilizzabilità del materiale video si pone
in violazione del diritto alla riservatezza e in difetto delle condizioni di cui al
secondo comma dell’art. 8 Cedu, Nel caso di specie, difetta comunque un idoneo
provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità giudiziaria.

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operazioni spionistiche effettuate dalla polizia giudiziaria, ma solo in data

2.4. Violazione della legge penale sostanziale e processuale in relazione agli
artt. 291 e 309 cod. proc. pen. Il Tribunale del riesame ha rigettato l’eccezione di
inutilizzabilità dei tracciati registrati mediante apparecchiature del sistema GPS
collocate nelle autovetture di pertinenza degli indagati, laddove deve censurarsi
la mancata trasmissione prima al g.i.p., poi al giudice del riesame
dell’autorizzazione concessa alla polizia giudiziaria per tale collocazione, atto
invasivo che incide nella sfera privata di un soggetto che ha la disponibilità di un
bene mobile.

273 cod. proc. pen., vizi di motivazione nella valutazione del quadro indiziario.
L’impianto argomentativo dell’ordinanza di custodia cautelare oggetto di
gravame risulta carente e contraddittorio. I contatti telefonici sono stati valutati
come elementi sintomatici diretti dell’attività delittuosa e non come elementi
neutri e ambigui privi di valenza indiziaria. L’ordinanza oggetto di gravame è
connotata sia da vizi di contraddittorietà, illogicità e incompletezza, sia da vizi di
totale e manifesta mancanza di motivazione rispetto agli indizi valorizzati.
2.6. Violazione della legge penale sostanziale in relazione agli artt. 274, 275
e 275 bis cod. proc. pen. rispetto alle deduzioni difensive formulate nei motivi di
riesame in ordine alle esigenze cautelari, vizi di motivazione. Sulla sussistenza
delle esigenze cautelari e sui princìpi che governano la relativa materia
l’ordinanza è motivata in modo apodittico, laddove le esigenze cautelari possono
essere contenute con la misura cautelare domiciliare rafforzata dal dispositivo
elettronico ex art. 275 bis cod. proc. pen., a proposito della quale il Tribunale del
riesame non ha indicato le ragioni per le quali, in relazione a ciascun indagato, la
stessa non era idonea a fronteggiare le medesime esigenze.

3. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna, ha
proposto ricorso per cassazione Maggio Fulvio, attraverso i difensori avv. R.
D’Errico e A. F. Maisano, articolando sei motivi dal contenuto argomentativo
analogo a quelli richiamati al punto 2.

4. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Bologna, ha
proposto ricorso per cassazione Corso Sebastiano, attraverso il difensore avv. A.
Cappuccio, articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173,
comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
4.1. Nullità dell’ordinanza istruttoria in data 11/12/2014, violazione della
legge processuale e vizi di motivazione in relazione agli artt. 125, 192 e 267 cod.
proc. pen. L’illegittimità dell’ordinanza istruttoria del 11/12/2014 era già stata
eccepita dinanzi al Tribunale del riesame con nota scritta allegata, le cui

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2.5. Violazione della legge penale sostanziale in relazione agli artt. 192 e

argomentazioni si ribadiscono. Il Tribunale del riesame ha omesso di
pronunciarsi sull’eccezione relativa alla motivazione dei decreti autorizzativi delle
intercettazioni, quasi integralmente omissati, superandola attraverso l’illegittima
acquisizione disposta con la censurata ordinanza del 11/12/2014 in assenza di
richiesta della difesa in tal senso.
4.2. Violazione della legge processuale e vizi di motivazione in relazione agli
artt. 191, 266, 267 e 268 cod. proc. pen., inutilizzabilità delle videoriprese in
luogo che costituisce appartenenza di privata dimora in difetto di autorizzazione.

di privata dimora, pur se di uso comune a più abitazioni, spettando il diritto di
esclusione solo ai titolari delle singole abitazioni o garage. Una violazione di
domicilio non può legittimare la produzione di materiale probatorio, laddove per
le riprese di comportamenti non comunicativi non valgono regole meno
garantiste di quelle per i comportamenti comunicativi. Anche secondo la Corte di
giustizia vi è divieto di ogni forma di ripresa di aree comuni di condomini.
4.3. In relazione ai reati di cui ai capi B), C), D), E) ed F), violazione dell’art.
273 cod. proc. pen. e vizi di motivazione. L’ordinanza impugnata non dà conto
della concludenza degli indizi a carico del ricorrente, sembrando anzi che ne
sottolinei contraddittoriamente l’ambiguità, ed effettua una valutazione globale
di indizi attinenti a fatti diversi e non obiettivamente collegabili ( fatti del’8
novembre: videoripresa; fatti del 15 novembre: riconoscimento vocale). Con
riferimento ai fatti di cui ai capi B), C) e D) – commessi nella notte tra il 7 e 1’8
novembre 2014 – l’unico indizio è la videoripresa nel seminterrato, della cui
incertezza dà atto lo stesso Tribunale, non evidenziando alcun dato fisiognomico,
ma generiche caratteristiche fisiche in termini di somiglianza del soggetto visto
di spalle. Con riguardo ai fatti di cui ai capi E) ed F) – commessi nella notte tra il
14 e 15 novembre 2014 – vengono in rilievo intercettazioni ambientali di
conversazioni (di pessima qualità quanto all’audio) giunte via radio da altre auto
sull’autovettura oggetto di captazione: rispetto ad esse, il Tribunale del riesame
richiama, in modo del tutto congetturale, il passato delinquenziale del Corso e la
forzata notorietà della sua voce a tutti gli agenti di polizia giudiziaria, laddove
agli atti non risulta che il ricorrente sia stato oggetto di intercettazioni
telefoniche o ambientali che consentano il confronto della sua voce.
4.4. In relazione al reato sub A), violazione dell’art. 273 cod. proc. pen.,
dell’art. 416 cod. pen. e vizi di motivazione. Posto che l’eventuale partecipazione
del ricorrente ai reati di furto o di tentato furto non è sufficiente a connotare la
sua posizione con riguardo alla contestata partecipazione all’associazione per
delinquere, l’ordinanza impugnata non spende alcuna parola per connotare la
posizione del ricorrente del quid pluris necessario a tale scopo.

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Il piano seminterrato di un condominio chiuso da un cancello deve ritenersi luogo

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti nell’interesse di Bonaga Matteo, Di Maggio Stefano,
Mascia Massimo, Maltese Nicola, Molinelli Giuseppe e Orlando Saverio (primo
ricorso, nell’interesse di Maggio Fulvio (secondo ricorso) e nell’interesse di Corso
Sebastiano (terzo ricorso) sono, nel loro complesso, infondati.

Premesso che il riferimento fatto dai ricorrenti al “diverso procedimento” nel
quale i provvedimenti autorizzativi delle intercettazioni sono stati adottati è stato
esaminato dal Tribunale del riesame, che ha evidenziato come, in realtà, si sia in
presenza di un unico procedimento, posto che quello nell’ambito del quale è
stato effettuato il fermo del pubblico ministero è uno stralcio del procedimento
nel quale erano state effettuate le intercettazioni, le doglianze incentrate sulla
mancata trasmissione dei provvedimenti in questione e sulla trasmissione di
decreti “omissati” in modo tale da renderli inidonei a dar conto del contenuto
motivazionale degli stessi / non sono fondate: infatti, in tema di misure cautelari,
qualora i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche non siano allegati
alla richiesta del p.m., la successiva omessa trasmissione degli stessi al tribunale
del riesame a seguito di impugnazione del provvedimento coercitivo non
determina l’inutilizzabilità, né la nullità assoluta ed insanabile delle
intercettazioni, salvo che la difesa dell’indagato abbia presentato specifica e
tempestiva richiesta di acquisizione e la stessa o il giudice non siano stati in
condizione di effettuare un efficace controllo di legittimità (Sez. 6, n. 7521 del
24/01/2013 – dep. 15/02/2013, Cerbasio, Rv. 254586), evenienza, questa,
esclusa nel caso di specie in virtù dell’acquisizione disposta dal giudice del
riesame.
A questo proposito, sono del pari infondate le censure indirizzate
all’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame ha stabilito l’acquisizione dei
decreti di autorizzazione e di proroga delle intercettazioni e di tutti gli atti relativi
alle intercettazioni: infatti, la mancata trasmissione al tribunale del riesame dei
decreti di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche (non trasmessi neppure
al g.i.p. con la richiesta di applicazione della misura cautelare), ove eccepita in
sede di riesame, non determina l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni,
quando detti decreti siano acquisiti autonomamente dal g.i.p. o anche
successivamente dal Tribunale del riesame (Sez. 6, n. 6 del 02/10/2003 – dep.
07/01/2004, Giva, Rv. 228860). Né in senso contrario può argomentarsi, nel
caso in esame, sulla base della mancata richiesta da parte della difesa

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2. Il primo motivo dei tre ricorsi non è fondato.

dell’acquisizione in questione: se, infatti, la richiesta della difesa obbliga il
tribunale del riesame ad acquisire d’ufficio i decreti autorizzativi non allegati da
parte del p.m. (Sez. 3, n. 42371 del 12/10/2007 – dep. 16/11/2007, Gulisano,
Rv. 238059), il giudice del riesame, come si è visto, può procedere
autonomamente in tal senso, sulla scorta di una valutazione di opportunità
dell’acquisizione (Sez. 4, n. 27961 del 01/06/2001 – dep. 11/07/2001, Laribi, Rv.
219685). Manifestamente irrilevante è poi la diversità della persona del g.i.p. che
ha applicato la misura da quello che aveva autorizzato le intercettazioni

3. Il secondo motivo dei primi due ricorsi non è fondato.
Come affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, l’illegittima
compressione del diritto di difesa, derivante dal rifiuto o dall’ingiustificato ritardo
del pubblico ministero nel consentire al difensore, prima del loro deposito ai
sensi del quarto comma dell’art. 268 cod. proc. pen., l’accesso alle registrazioni
di conversazioni intercettate e sommariamente trascritte dalla polizia giudiziaria
nei cosiddetti brogliacci di ascolto, utilizzati ai fini dell’adozione di un’ordinanza di
custodia cautelare, dà luogo ad una nullità di ordine generale a regime
intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., in quanto determina
un vizio nel procedimento di acquisizione della prova, che non inficia l’attività di
ricerca della stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati; ne consegue che,
qualora tale vizio sia stato ritualmente dedotto in sede di riesame ed il Tribunale
non abbia potuto acquisire il relativo supporto fonico entro il termine perentorio
di cui all’art. 309, nono comma, cod. proc. pen., le suddette trascrizioni non
possono essere utilizzate come prova nel giudizio de libertate (Sez. U, n. 20300
del 22/04/2010 – dep. 27/05/2010, Lasala, Rv. 246907).
Da quanto dedotto dai ricorsi si evince che in data 03/12/2014 la difesa
aveva contestualmente depositato istanza di riesame e istanza di autorizzazione
dell’ascolto e dell’eventuale estrazione di copia delle intercettazioni ambientali
poste a fondamento del provvedimento di fermo e dell’ordinanza applicativa; in
data 10/12/2014 il Pubblico Ministero ha depositato presso il Tribunale del
riesame i dvd sui quali sono state memorizzate le telefonate e le riprese video
pertinenti all’indagine; lo stesso 10/12/2014, a partire dalle ore 17,00, un
collaboratore dell’avv. D’Errico ha proceduto, presso gli uffici della polizia
giudiziaria, all’ascolto di una serie di intercettazioni, nonché alla visione di alcune
registrazioni video. Il Tribunale del riesame ha escluso violazioni del diritto di
difesa sottolineando, da un lato, che la difesa ha effettivamente visto i filmati
richiamati nell’ordinanza applicativa e ha ascoltato le conversazioni intercettate
e, dall’altro, che la trattazione camerale del procedimento – fissata per

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richiamata dai ricorrenti.

1’11/12/2014 – si è conclusa, dopo una sospensione della stessa, alle ore 15,30
del 12/12/2014.
Alla luce di quanto appena sintetizzato, il motivo è, nel suo complesso,
infondato. Sotto un primo profilo, i rilievi del ricorso che associano, nella dedotta
violazione del diritto di difesa, il riferimento all’ascolto delle intercettazioni a
quello relativo alla visione delle immagini, non colgono, quanto a quest’ultima,
nel segno: infatti, come è già stato affermato da questa Corte, in tema di
videoregistrazioni non comunicative, non si applica, mancando identità di ratio,

della sentenza della Corte costituzionale n. 336 del 2008 (Sez. 6, n. 5064 del
19/11/2013 – dep. 31/01/2014, Guarneri e altri, Rv. 258767).
In secondo luogo, deve rilevarsi che la valutazione circa la congruità del
termine a disposizione del difensore per esaminare la documentazione deve
tener conto del numero e della durata delle conversazioni (Sez. 3, n. 281 del
11/12/2014 – dep. 08/01/2015, Wang, Rv. 261795), l’uno e l’altra avuto
riguardo alla posizione del singolo indagato: da questo punto di vista, il motivo di
ricorso, limitandosi a richiamare genericamente l’entità del materiale
intercettativo, presenta un profilo di aspecificità.
Sotto un diverso aspetto, deve rilevarsi che i rilievi difensivi circa la tardività
del deposito da parte del p.m. sviliscono il complessivo sviluppo

dell’iter

procedimentale caratterizzato anche dal differimento di un giorno della
trattazione dinanzi al giudice del riesame: posto che il termine entro il quale
vanno rilasciate le copie delle registrazioni delle intercettazioni telefoniche deve
essere sufficiente per consentire il solo ascolto delle stesse (Sez. 6, n. 1752 del
23/11/2012 – dep. 14/01/2013, Gjoka, Rv. 254221) e che, come si è visto, è
estraneo all’ambito applicativo della norma manipolata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 336 del 2008 l’esame delle videoregistrazioni non comunicative,
la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha valorizzato anche il predetto
differimento non risulta affetta da vizi logico-argomentativi.
Infine, deve rilevarsi che la censura sulla intempestività del deposito
trascura di considerare che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità,
per verificare la tempestività dell’istanza rivolta al P.M., in vista del giudizio di
riesame, per l’accesso ai supporti magnetici o informatici occorre avere riguardo
al momento nel quale la parte interessata ha avuto cognizione dell’ordinanza
cautelare (Sez. 4, n. 38129 del 05/06/2014 – dep. 17/09/2014, Caushaj, Rv.
261060), momento, questo, che nel caso di specie risulta di gran lunga anteriore
alla data del contestuale deposito da parte della difesa della richiesta di riesame
e dell’istanza ex art. 268 cod. proc. pen.

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la disciplina recata dall’art. 268, cod. proc. pen. nel testo risultante a seguito

4. Il terzo motivo dei primi due ricorsi e il secondo motivo del terzo ricorso
non sono fondati.
Il giudice del riesame ha dato atto, con un rilievo non oggetto di censure da
parte dei ricorrenti, che le videoriprese in questione hanno avuto ad oggetto
comportamenti non comunicativi. Muovendo da tale presupposto, l’ordinanza
impugnata ha, in primo luogo, escluso che la zona antistante alle porte di
ingresso dei garages, in cui possono transitare tutti i proprietari o, comunque, i
detentori o possessori delle autorimesse, costituisca appartenenza di uno dei

un numero indeterminato di persone, ossia tutti coloro che possono usufruire dei
garages, sicché nessuno può instaurare con questo luogo il particolare rapporto
derivante dalla possibilità di impedire indiscriminatamente l’accesso ai terzi così
da sottrarlo alle ingerenze esterne.
La motivazione dell’ordinanza impugnata è in linea con l’orientamento,
condiviso dal Collegio, che esclude la configurabilità del delitto di interferenze
illecite nella vita privata nel caso di riprese dell’area condominiale destinata a
parcheggio e del relativo ingresso, trattandosi di luoghi destinati all’uso di un
numero indeterminato di persone e, pertanto, esclusi dalla tutela di cui all’art.
615 bis cod. pen., la quale concerne, sia che si tratti di “domicilio”, di “privata
dimora” o “appartenenze di essi”, una particolare relazione del soggetto con
l’ambiente in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze
esterne indipendentemente dalla sua presenza (Sez. 5, n. 44701 del 29/10/2008
– dep. 01/12/2008, P.M. in proc. Caruso, Rv. 242588; non contrasta con tale
principio Sez. 5, n. 16558 del 08/01/2010 – dep. 29/04/2010, Bianchi,
richiamata dalla difesa, non risultando dalla stessa che l’area antistante al
garage

presa in considerazione fosse destinata all’uso di un numero

indeterminato di persone). Del resto, mentre nella nozione di privata dimora
(pure evocata dai ricorrenti) «devono ricomprendersi tutti quei luoghi, non
pubblici, nei quali le persone si trattengano per compiere, anche in modo
transitorio e contingente, attività della loro vita privata ovvero attività di
carattere culturale, professionale e politico» (Sez. 4, n. 11490 del 24/01/2013 dep. 11/03/2013, P.G. in proc. Pignalosa, Rv. 254854), connotazioni, queste,
estranee all’area antistante un’autorimessa, per luogo aperto al pubblico la
giurisprudenza di questa Corte intende quello in cui ciascuno può accedere in
determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di
persone che abbia determinati requisiti (Sez. 1, n. 28853 del 16/06/2009 – dep.
15/07/2009, Leonini, Rv. 244301, che ha considerato luoghi aperti al pubblico
l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni).

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luoghi di cui all’art. 614 cod. pen., in quanto in tale zona ha diritto di accedere

Né in senso contrario è decisiva la circostanza che, nel caso di specie, l’area
antistante alle porte di ingresso delle autorimesse fosse inaccessibile
dall’esterno: come hanno rilevato le Sezioni unite di questa Corte, il concetto di
domicilio individua «un rapporto tra la persona e un luogo, generalmente chiuso,
in cui si svolge la vita privata, in modo anche da sottrarre chi lo occupa alle
ingerenze esterne e da garantirgli quindi la riservatezza», un rapporto tra la
persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche
quando la persona è assente, sicché «la vita personale che vi si svolge, anche se

esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che
ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare,
sia o meno questi presente» (Sez. U., n. 26795 del 28/03/2006 – dep.
28/07/2006, Prisco), connotazioni queste estranee all’area in questione.
Neppure può sostenersi la riconducibilità dell’area in questione nell’ambito
dei luoghi in cui si svolgono attività destinate a rimanere riservate

(toilette,

camerini, privés): l’evidente differenza tra questi ultimi luoghi e quello oggetto
delle riprese di cui si discute si ricollega al rilievo che, a differenza di questi
ultimo, per l’area antistante l’ingresso ad un’autorimessa non sussiste l’esigenza
di «tutelare l’intimità e la riservatezza delle persone» (Sez. U., n. 26795 del
28/03/2006 – dep. 28/07/2006, Prisco).
Escluso che, in senso contrario, possa argomentarsi sulla base del
riferimento, peraltro del tutto generico, all’art. 8 Cedu, inconferente è il
richiamo, contenuto nel terzo ricorso, alla pronuncia della Corte di giustizia
dell’Unione europea nella causa C-212/13, che ha negato natura di trattamento
dei dati a norma della direttiva 95/46/CE (il cui 16° Considerando, peraltro,
sottrae al campo di applicazione della direttiva stessa i dati di controllo video,
finalizzati, tra l’altro, alla pubblica sicurezza o all’esercizio di attività dello Stato
nella sfera del diritto penale) dell’«utilizzo di un sistema di videocamera, che
porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di
registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla
sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari
dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico».

5. Il quarto motivo dei primi due ricorsi è manifestamente infondato, al lume
del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui
l’attività di indagine volta a seguire i movimenti di un soggetto e a localizzarlo,
controllando a distanza la sua presenza in un dato luogo in un determinato
momento attraverso il sistema di rilevamento satellitare (cosiddetto GPS)
costituisce una forma di pedinamento eseguita con strumenti tecnologici, non

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per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che

essendo assimilabile in alcun modo all’attività di intercettazione prevista dagli
artt. 266 e seguenti cod. proc. pen., sicché essa non necessita di alcuna
autorizzazione preventiva da parte del giudice per le indagini preliminari poiché,
costituendo mezzo atipico di ricerca della prova, rientra nella competenza della
polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013 – dep. 21/05/2013,
Badagliacca e altri, Rv. 255542; conf.,

ex plurimis, Sez. 6, n. 15396 del

11/12/2007 – dep. 11/04/2008, Sitzia e altri, Rv. 239635; Sez. 4, n. 48279 del

6. Il quinto motivo dei primi due ricorsi è inammissibile. L’ordinanza
impugnata – dato atto che, con riguardo agli indagati le cui posizioni sono qui in
esame, la difesa non ha mosso alcuna censura circa la valutazione del materiale
probatorio effettuata dal G.i.p. in relazione alla corretta identificazione degli
indagati stessi – ha diffusamente ripercorso, scandendone il susseguirsi nello
sviluppo della vicenda e dell’attività di indagine, i diversi elementi indiziari
valorizzati al fine di ricostruire i fatti e la loro riconducibilità agli indagati: sono
stati quindi ripercorsi i dati indiziari offerti dalle intercettazioni eseguite, dalle
riprese effettuate, dall’attività di indagine sviluppatasi su molteplici piani
(identificazione dei colloquianti, individuazione delle autovetture utilizzate,
servizi di pedinamento e di osservazione, verifica dei pagamenti dei pedaggi
autostradali, etc.), nonché delle perquisizioni dorníciliari nei confronti di Stefano
Di Maggio (presso il quale sono stati rinvenuti, tra l’altro, le chiavi di alcuni
garages utilizzati dal gruppo per il ricovero delle autovetture, guanti,
passamontagna, radio ricetrasmittenti, etc.) e di Saverio Orlando e Fulvio Maggio
(presso i quali sono state rinvenute somme di denaro formate da banconote con
i bordi bruciati, circostanza, questa, che nella ricostruzione del giudice del
riesame, le ricollega ai furti eseguiti dal gruppo utilizzando l’esplosivo). Con
particolare riguardo all’imputazione provvisoria di associazione per delinquere,
l’ordinanza richiama gli specifici connotati della struttura criminale operante con
continuità – e con predisposizione dei mezzi risalente nel tempo – per la
commissione di furti ai danni degli sportelli bancomat delle agenzie delle banche
presenti in diverse aree del Paese.
A fronte dell’articolata motivazione resa dal Tribunale del riesame al fine di
ricostruire un quadro indiziario espressivo di una qualificata probabilità di
colpevolezza (Sez. 2, n. 28865 del 14/06/2013 – dep. 08/07/2013, Cardella, Rv.
256657; Sez. U, n. 11 del 21/04/1995 – dep. 01/08/1995, Costantino ed altro,
Rv. 202002), le doglianze dei ricorrenti – ancorate al prospettato carattere
neutro e ambiguo dei contatti telefonici e ad altri rilievi di analoga genericità risultano del tutto carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni

11

27/11/2012 – dep. 13/12/2012, Lleshi e altri, Rv. 253953).

riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo,
Rv. 253849).

7. Il sesto motivo dei primi due ricorsi è del pari inammissibile.
Con riguardo alle esigenze cautelari, l’ordinanza impugnata – distinta la
disamina della posizione degli indagati sotto il profilo dei precedenti penali – ha
ritenuto, per tutti, la sussistenza di un allarmante pericolo di recidiva,

lungo tempo del sodalizio criminoso, la programmata prosecuzione dell’attività
criminosa in altre zone del Paese, la dotazione di molti mezzi per la realizzazione
dei reati – scopo (tra i quali l’esplosivo per far deflagrare gli sportelli bancomat
presi di mira), la notevole professionalità specifica dimostrata e la particolare
temerarietà messa in luce dal trasporto e dall’utilizzo di esplosivo. In questo
quadro, il giudice del riesame ha escluso l’adeguatezza di misure non carcerarie
e, in particolare, degli arresti domiciliari con controllo attraverso mezzi
elettronici, richiamando, per un verso, il grado di pericolosità degli indagati
messo in luce e, per altro verso, il contesto delinquenziale di particolare spessore
nel quale essi risultano inseriti, rilievi, questi, convergenti nel senso di escludere
una prognosi di capacità di auto-disciplina che consenta l’applicazione di una
misura non custodiate e in linea con l’affermazione di questa Corte secondo cui,
per l’applicazione della misura degli arresti domiciliari, il giudice cautelare, con
congrua motivazione, deve fare necessario riferimento alla prognosi di spontaneo
adempimento da parte dell’imputato degli obblighi e delle prescrizioni che a detta
misura sono collegati (Sez. 3, n. 7421 del 03/12/2014 – dep. 19/02/2015); ha
rilevato ancora l’ordinanza impugnata, che chi si è dichiarato disponibile ad
ospitare gli indagati in regime di arresti domiciliari non si è assunto l’impegno di
mantenerli, né ha prodotto documentazione idonea a comprovare il possesso di
redditi adeguati al loro sostentamento.
Nei termini sinteticamente indicati, la motivazione dell’ordinanza impugnata
risulta incentrata su elementi concreti (e non congetturali come dedotto dai
ricorrenti) desunti – in modo non apodittico – dalle specifiche modalità e
circostanze del fatto, considerate nella loro obiettività (Sez. 2, n. 51843 del
16/10/2013 – dep. 30/12/2013, Caterino e altri, Rv. 258070) e sulla base di una
valutazione coerente ai dati indiziari richiamati – non oggetto di specifica censura
– e immune da vizi logici, laddove le ulteriori doglianze relative all’adeguatezza
degli arresti domiciliari con controllo attraverso mezzi elettronici non risultano
puntualmente correlate alle argomentazioni della decisione impugnata.

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valorizzando in tal senso, una molteplicità di elementi, quali l’operatività da

8. Il terzo e il quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di Sebastiano
Corso non meritano accoglimento.
L’individuazione del Corso come partecipe ai fatti oggetto di imputazione
provvisoria è argomentata dall’ordinanza impugnata sulla base di molteplici,
convergenti elementi indiziari, quali, per un verso, l’identificazione operata dalla
polizia giudiziaria (cui l’indagato era noto anche per i suoi trascorsi
delinquenziali) sulla base di conversazioni non compromesse da rumori esterni e
la forte somiglianza dell’indagato rispetto alla figura ripresa dalla polizia

diminutivo di Sebastiano, nonché la circostanza che, all’epoca dei fatti, egli era
sottoposto, nell’ambito di un diverso procedimento, alla misura cautelare
dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e, in una conversazione
intercettata, Molinelli afferma che sarebbe passato a prendere “Sebi” dopo che lo
stesso fosse andato “a firmare”, riferimenti, questi ultimi, che il Tribunale del
riesame interpreta come convergenti nell’individuazione del Corso. A fronte della
motivazione dell’ordinanza impugnata, le doglianze articolate con il terzo motivo
in parte involgono questioni di merito sottratte al sindacato di questa Corte (in
punto, qualità dell’audio della conversazione intercettate), mentre, più in
generale, fanno leva su una lettura atomistica del materiale indiziario valorizzato
dal Tribunale del riesame e, prima ancora, risultano prive di correlazione con gli
elementi relativi ai riferimenti, da parte dei coindagati, a “Sebi” e alla
conversazione richiamata, così amputando il compendio indiziario di dati
conoscitivi che, nel percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata, rivestono
marcata rilevanza; da ciò consegue l’aspecificità delle censure e, quindi,
l’inammissibilità del motivo.
La doglianza relativa alla sussistenza dei gravi indizi ex art. 273 cod. proc.
pen. in ordine al reato associativo non è fondata, in quanto, nella ricostruzione
dei fatti e nella descrizione del compendio indiziario, l’ordinanza impugnata ha
delineato lo specifico ruolo del Corso in vari momenti dell’attività criminosa
oggetto di indagine (ad esempio, il trasferimento dell’esplosivo), la conoscenza
da parte sua dei locali a disposizione del gruppo e l’utilizzo del materiale
predisposto per il compimento dei reati scopo, nonché, attraverso la
conversazione intercettata già richiamata, alla predisposizione di strutture in
vista della programmata realizzazione di ulteriori furti, elementi, questi,
riconducibili nel novero di quelli valorizzati dal giudice del riesame nel ritenere la
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo e,
peraltro, non oggetto di puntuale disamina critica da parte del ricorrente.

13

giudiziaria e, per altro verso, i riferimenti all’indagato con l’appellativo “Sebi”,

9. I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati e i ricorrenti vanno condannati
al pagamento delle spese del procedimento; la cancelleria curerà gli
adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma

Così deciso il 31/03/2015

1 ter disp. att. c.p.p.

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