Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31709 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31709 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da
1. Salvatore Priola, nato a S. Agata di Militello il 05/09/1971
2. Santo Sciortino, nato a Tusa il 30/06/1959
3. Giuseppe Lo Re, nato a Caronia il 02/06/1962
4. Antonino La Monica, nato a Caronia il 24/03/1966
avverso la sentenza del 18/07/2013 della Corte d’appello di Messina
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi
Riello, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della pronuncia,
limitatamente al capo B) perché estinto per prescrizione, con le conseguenti
statuizioni ed rigetto nel resto dei ricorsi;
uditi gli avvocati Bernadette Felice Grasso per Priola, Andrea Fares trn
:f.IT:1311eler4.011~CII i…-foito—AuvaliTIIMI

per Lo Re e Sciortino, Alessandro Pruiti Ciarello

per Lq_Monacc‘ i quali tutti si sono riportati ai rispettivi ricorsi, sollecitando l’avv.
Pruiti in subordine l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 dl. 13 maggio 1991
n. 152, con accertamento di estinzione del reato per prescrizione;
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18/07/2013 la Corte d’appello di Messina, in parziale
riforma della sentenza del Gup di quel Tribunale del 24/06/2008, ha
rideterminato la pena nei confronti di Antonino La Monica, in relazione al reato
estorsione, aggravato ai sensi dell’art. 7 dl 13 maggio 1991 n. 152 convertito
nella I. 12 luglio 1991 n. 203; assolto Giuseppe Lo Re dalla medesima
imputazione, rideterminando la sanzione a suo carico per le residue imputazioni
di cui ai capi B) -art 513 cod. pen-, C) -art. 629 cod. pen.-, F) -art 416 bis cod.

Data Udienza: 26/06/2014

pen-, U) -art. 416 bis cod. pen.- in anni sette di reclusione ed C 1.500 di multa;
assolto Santo Sciortino dalle imputazioni di cui ai capi Q) ed R), rideterminando
la pena per le residue imputazioni di cui ai capi B),C), F), U), già richiamate, in
anni sette di reclusione ed C 1.500 di multa; confermato la condanna di
Salvatore Priola per il reato di tentata estorsione aggravata ex art. 7 cit.
Il procedimento ha ad oggetto una serie di violazioni attinenti ad

corso dei lavori di realizzazione dell’autostrada Messina Palermo, nel tratto
Mistretta- Sant’Agata di Militello.
2.1. La difesa di Priola con un primo motivo di ricorso ha dedotto
violazione di legge ed erronea applicazione della disposizione di cui all’art. 192
cod. proc. pen. conseguente al mancato svolgimento, a cura della Corte di
merito, dell’approfondito esame della credibilità del testimone richiesto nel caso
in cui questi rivesta la qualità di parte civile, come nella specie.
Richiamate le osservazioni del teste si rileva la natura incidentale del suo
riferimento, che rende dubbia l’effettiva percezione di una intimidazione, oltre
che la mancata registrazione di elementi indicativi rilevanti, quali ad esempio la
targa del mezzo su cui viaggiavano le persone che gli rivolsero le richieste di
pagamento, e la sua marca e, per contro la scarsa attendibilità di una richiesta
veicolata tramite Priola, legato al teste da rapporti di parentela, di cui il
ricorrente non conosceva l’attività di lavoro, ed al quale si era rivolto, ritenendolo
capo squadra, per sollecitargli l’assunzione.
Si deduce travisamento della prova, nella parte in cui la Corte ha ritenuto
le accuse di Costantino confermate dal suo dipendente, che nulla ha riferito al
riguardo, né sarebbe stato in grado di farlo, poiché non risulta mai indicato dal
primo come presente alle richieste formulategli.
2.2. Si rileva violazione di legge, in merito all’avvenuto riconoscimento

estorsioni ed illecita concorrenza aggravata, che si assumono consumate nel

della circostanza aggravante dell’art. 7 cit., nella parte in cui manca qualsiasi
forma di intimidazione astrattamente riconducibile al metodo mafioso, tale non
potendo ritenersi il richiamo a persone di Tortorici, poiché non era noto
l’insediamento di una compagine mafiosa in quel luogo, sicché il riferimento
doveva ritenersi limitato ad un’indicazione territoriale, irrilevante al fine
richiamato, non ricavabile dalla scienza diretta della parte lesa, che aveva
affermato di non conoscere alcuna delle persone che gli avevano formulato la
richiesta, né poteva ritenersi individuato un metodo mafioso, non evincibile dalla
ricostruzione resa.
2.3. Con ulteriore motivo si contesta violazione di legge, con riferimento
alla ritenuta intraneità alla compagine, che avrebbe potuto giustificare
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q,-

l’accertamento dell’aggravante di cui all’art. 629 comma 2 cod. pen. di cui non
sussiste traccia in atti, né argomentazione sufficiente.
3.1

La difesa di Lo Re e Sciortino deduce violazione di legge penale e

processuale, illogicità e mancanza della motivazione, con riguardo
all’applicazione dell’art. 34 cod. proc. pen. per avere la Corte, in unica camera di
consiglio, deciso i due procedimenti – ordinario ed abbreviato- generati dalla

cognizione degli elementi acquisiti in dibattimento. Si rileva la ricorrenza nella
specie della causa di incompatibilità prevista dall’art. 34 cod. proc. pen. che la
difesa non avrebbe potuto eccepire prima, proponendo la ricusazione, essendosi
la condizione di fatto manifestata in sede di lettura dei dispositivi di
quell’udienza.
3.2. Si rileva violazione di legge e vizio di motivazione sull’eccezione di
nullità del giudizio per mancata notifica al difensore dell’avviso di conclusione
indagini prevista dall’art. 415 bis e 416 cod. proc. pen. Premessa in fatto la
circostanza, pacifica, dell’intervenuto accertamento di una comunicazione
effettuata a tal fine presso altro difensore, si contesta la conclusione raggiunta
dalla Corte di merito, che ha valutato tale irregolarità superata dalla richiesta di
giudizio abbreviato, che presuppone esclusivamente una richiesta di definizione
del procedimento allo stato degli atti, non la rinuncia al rilievo di violazioni di
legge già verificatesi, e fatte salve espressamente dal difensore, in sede di
opzione per il rito contratto.
3.3. Si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione sull’eccezione
di inutilizzabilità delle intercettazioni disposte sulle autovetture di Mancino e
Marino nello stesso procedimento, e dichiarate inutilizzabili nel procedimento
separato in cui erano confluite, per carenza di motivazione e per la mancanza dei
decreti nel corso dell’udienza preliminare, rilievo rispetto al quale nulla aveva
disposto la Corte di merito.
3.4. Si lamenta violazione di legge ed assenza di motivazione con
riguardo all’eccezione di inutilizzabilità nei confronti degli odierni ricorrenti delle
dichiarazioni acquisite nel corso dell’udienza dal coimputato Aniello Ruggero, che
aveva condizionato a tale esame la sua richiesta di abbreviato. Il Gip non ha mai
disposto tale atto, non ritenendolo necessario al fine di decidere e tuttavia è
stato ammesso l’esame, che era proseguito anche con le domande del P.m.;
durante l’acquisizione del mezzo non erano mai state consultate le difese dei
coimputati, e la portata probatoria di tale acquisizione non poteva estendersi a
quanto acquisito per suo tramite, in assenza dell’accertamento del Gip sulla

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medesima indagine, con ciò condizionando la decisione sulla base della

necessarietà dell’atto, la cui sola verifica autorizzava l’ampliamento
dell’accertamento.
3.5. Si deduce omessa motivazione sull’eccezione difensiva, riguardante
la nullità della condanna per mancanza di correlazione con l’accusa, il mancato
accertamento della presenza di precedente giudicato e la mancata assoluzione
degli imputati per insussistenza del fatto.

assumono ignorate dal giudicante, e superate dall’accertamento di insussistenza
dei fatti oggetto della denuncia presentata da Costantini, a seguito della
deposizione resa da questi sulle medesime circostanze in procedimento parallelo,
ed anche nel giudizio di riesame, che riguardano elementi costitutivi dei reati di
cui ai capi B) e C). In tali procedimenti le dichiarazioni rese dal teste hanno
subito una differente valutazione, a conferma dei rilievi di inattendibilità
formulati in ricorso e dell’impossibilità di desumere dalle circostanze riferite
conferma delle pressioni mafiose, la cui sussistenza ha indotto all’accertamento
di responsabilità oggetto dell’impugnazione.
Sul punto è evidente una contraddizione della sentenza, nella parte in cui
ha ritenuto implicito il metodo mafioso, per la notorietà dell’appartenenza degli
interessati alla compagine, ma ne ha individuato la natura nelle modalità di
attuazione delle minacce.
In ogni caso, sul punto si denuncia un mutamento della contestazione,
che non ha mai riguardato le pressioni ipoteticamente formulate per convincere
Costantini a non presentare offerte per l’appalto con la Te.Di.G. scarl, fornitura
ben diversa da quella riguardante l’appalto Caronia Uno cui si riferiva il capo di
imputazione.
La genericità della motivazione raggiunge anche la qualificazione giuridica
dei fatti, in quanto alla pressione realizzata dai ricorrenti è stata collegata la
presenza dei reati di estorsione e illecita concorrenza, e la Corte ha avallato
l’impostazione di accusa, senza analizzare in concreto la possibilità della doppia
qualificazione della medesima attività, posta in dubbio nell’impugnazione di
merito.
Riguardo al reato associativo si denuncia carenza ed illogicità della
motivazione, ove la sentenza è giunta all’affermazione di responsabilità, pur
escludendo la sussistenza dei fatti estorsivi, relativi alla vicenda Caronia Uno e
l’utilizzabilità delle intercettazioni ambientali.
Si osserva in particolare che ai capi F) ed U) si contesta l’appartenenza ad
associazione per delinquere di stampo mafioso, denominata cosa nostra, nel
secondo caso tratteggiata quale diramazione della compagine palermitana. Sotto
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Sul punto si richiamano le osservazioni difensive di merito, che si

tale ultimo profilo il sopraggiungere della sentenza del Tribunale di quella città,
che ha declinato la propria competenza, ha di fatto posto in crisi tale
ricostruzione ed i successivi accertamenti, mentre nel provvedimento impugnato
è stato escluso l’episodio estorsivo relativo alla Caronia Uno, circostanza che
priva ulteriormente di sostegno l’ipotesi di accusa.
Le sentenze di merito intervenute in questo giudizio non hanno chiarito

senso realizzata da persone estranee al presente processo, il cui coinvolgimento
può ipotizzarsi per periodi di tempo del tutto risalenti e non riconducibili a quelli
oggetto dell’imputazione, che si sarebbe sviluppata in ambiti territoriali del tutto
diversi.
Si rileva travisamento del fatto nella parte in cui si è ritenuto di attribuire
valenza di conferma all’ipotesi di affiliazione di tutte le persone considerate nella
cd mafia di Mistretta, dando per presupposto il coinvolgimento in questa di Lo
Re, che si deve escludere per la mancanza di qualsivoglia accertamento
giudiziale sul punto, sia riguardante Lo Re, mai condannato per reati associativi,
contrariamente a quanto è dato ricavare da un passo della sentenza impugnata,
sia in relazione agli altri pretesi associati, tutti assolti dall’imputazione in esame
nei procedimenti paralleli.
Quanto all’eccezione di giudicato, si precisa che i fatti associativi hanno
subito diversa contestazione per Lo Re e Sciortino.
Il primo è stato rinviato a giudizio con accusa di aver fatto parte del cd
clan Galati tra il 1990 con condotta perdurante, contestazione aperta poi mutata
dal P.m. con delimitazione al novembre 1995, data di esecuzione della misura
cautelare, seguendo un procedimento, che il giudice ha definito di chiarimento
dell’accusa, che ne comporta di fatto la ritrattazione, per la parte temporale
successiva a tale data, e che avrebbe richiesto l’attivazione del rimedio di cui
all’art. 516 cod. proc. pen. non applicato. A ciò consegue che, in assenza di
delimitazioni temporali contenute nel dispositivo della sentenza, l’assoluzione dal
reato associativo doveva ritenersi estesa anche al periodo successivo.
Quanto a Sciortino la medesima accusa, con la massima estensione
temporale, era stata oggetto di diversa pronuncia, a seguito delle diverse scelte
difensive sul rito, ed ha condotto all’accertamento di responsabilità fino al
31/12/1989 in conseguenza dell’intervento di una pronuncia di condanna per il
periodo successivo, e dell’assoluzione per l’ulteriore periodo in contestazione,
che doveva imporre l’accertamento di improcedibilità ai sensi dell’art. 649 cod.
proc. pen. per l’ulteriore accertamento.

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con chi i ricorrenti si fossero associati, svolgendo un richiamo all’attività in tal

3.6.

Si deduce violazione di legge e vizio di motivazione sulla

determinazione del trattamento sanzionatorio, con riguardo al riconoscimento
delle aggravanti contestate, alle attenuanti negate ed alla concreta
determinazione della sanzione.
In particolare, si deduce omessa motivazione su tutte le aggravanti
riconosciute, citate, e non giustificate esclusivamente nella sentenza di primo

malgrado i precedenti a carico degli interessati non legittimassero tale severo
trattamento. Peraltro, la decisione congiunta del procedimento ordinario e di
quello con il rito contratto, ha condotto all’irrogazione di sanzioni, per lo stesso
fatto in misura notevolmente maggiore nel secondo giudizio, circostanza che
evidenzia la mancanza di motivazione della decisione sulla pena, di cui emerge
l’illogicità.
Si lamenta inoltre violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla
mancata declaratoria di estinzione del reato di cui al capo B) per prescrizione.

4.1. Nell’interesse di La Monica la difesa deduce violazione di legge e vizio
di motivazione, e si rileva che l’accusa di estorsione, consumata in concorso con
Lo Re, Sciortino ed altri coimputati per i quali si era proceduto separatamente,
era descritta nel senso di ritenere la pressione estorsiva per consentire di
acquisire la fornitura di calcestruzzo per un cantiere della Palermo Messina i
coimputati erano stati assolti, conformemente a quanto verificato dal Tribunale
del riesame, adito dai coimputati nei diversi procedimenti sorti sulla stessa
imputazione, che avevano univocamente concluso per la mancanza di indizi,
escludendo l’azione del La Monica dall’attività di imposizione di scelte
economiche alle imprese presso cui venivano eseguite le forniture.
La difforme decisione che si impugna è giustificata dal richiamo alle
dichiarazioni accusatorie di Aiello, coimputato la cui credibilità oggettiva e
soggettiva non risulta vagliata, ma alla cui ritrattazione in appello è stata
immotivatamente attribuita valenza di riscontro di attendibilità.
La contraddittorietà della decisione emerge dalla circostanza che le sue
motivazioni, pur essendo riproposte con la tecnica del copia ed incolla rispetto
alla sentenza di primo grado, giunge poi a conclusioni diametralmente opposte
rispetto alla prima, e dispone l’affermazione di responsabilità in maniera non
circostanziata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso di Priola è inammissibile, mentre gli ulteriori ricorsi risultano
fondati, limitatamente a quanto qui di seguito precisato.

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grado, mentre era stato escluso il riconoscimento delle attenuanti generiche,

2.1. L’impugnazione proposta da Priola propone un problema di credibilità
del teste di accusa, argomento estraneo a questa fase del giudizio, che sul punto
può solo occuparsi, oltre che della tenuta logica della ricostruzione operata sulla
base delle prove legittimamente assunte, del controllo della legalità
nell’assunzione. Nella specie, oltre a non essere avanzati rilievi sotto tale ultimo
profilo, si prospettano elementi di scarsa credibilità della parte offesa che fanno

ignorando che mai Costantini risulta essersi costituito nel procedimento al fine di
sollecitare soddisfazione dei suoi interessi economici.
Inoltre si avanzano dubbi sull’attendibilità dell’ulteriore teste di accusa, che
risulta aver confermato quanto a lui confidato da Costantini nell’immediatezza
dei fatti, malgrado nel giudizio di merito mai sia stato posta in dubbio la
rispondenza di tale riferimento alla diretta percezione del dichiarante, con rilievi
anch’essi estranei a questo grado del giudizio.
2.2. Manifestamente infondata risulta la contestazione della sussistenza
dell’aggravante speciale, individuata nell’utilizzazione di un metodo mafioso. La
sussistenza in fatto di tale aggravante è stata giustificata nella pronuncia in
ragione delle modalità della richiesta, formulata da una persona, quale Priola,
noto al Costantini per la sua qualità di pregiudicato, che ha fatto riferimento non
alla sua capacità intimidatoria, ma alla provenienza della richiesta dai
tortoriciani, così richiamando l’intervento di terzi non identificati, ma
evidentemente titolari di un controllo nel territorio, la cui evocazione è risultata
funzionale a vincere le resistenze della controparte.
Contrariamente a quanto prospettato dalla difesa nel ricorso, risulta del
tutto pacifico (Sez. 2, n. 322 del 02/10/2013 – dep. 08/01/2014, Ferrise, Rv.
258103) che l’individuazione della metodologia mafiosa, ritenuta sufficiente alla
configurazione dell’aggravante, non richieda l’identificazione di una specifica
compagine associativa e la dimostrazione della sua esistenza, rilevante per
verificare l’ulteriore profilo della norma, riguardante il favoreggiamento di una
specifica associazione, ma è sufficiente che la richiesta sia veicolata con tipologia
mafiosa, che non può negarsi ove l’agente richiami, in territorio purtroppo
controllato da vari potentati locali, riconducibili a tale struttura illecita, la
formulazione della richiesta da parte di un definito gruppo territoriale, con
l’evidente finalità di far assumere serietà e spessore alle proprie pretese e di
restringere l’ambito di reazione della controparte.
2.3. Palesemente infondato è l’ulteriore motivo di ricorso riguardante la
violazione di legge attinente alla riconosciuta aggravante di cui all’art. 629
comma 2 cod. pen. Al di là del rilievo di inammissibilità per mancata eccezione
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leva sui suoi interessi risarcitori, evidenziati dalla qualità di parte civile,

sul punto nei motivi di appello, il motivo risulta inammissibile anche per difetto di
interesse in quanto la pronuncia impugnata, pur formalmente non escludendo la
circostanza, non ne ha tenuto conto nella determinazione della pena, quantificata
nella misura di anni tre e mesi quattro di reclusione per effetto della riduzione
del terzo della pena base che si deve applicare per la fattispecie del tentativo,
che deve conseguentemente identificarsi in quella di anni cinque prevista per il
reato di estorsione non aggravato.

3.1. L’eccezione in rito, proposta nell’interesse di Lo Re e Sciortino,
formulata sulla pretesa violazione della disposizione di cui all’art. 34 cod. proc.
pen., al di là di qualsiasi rilievo sulla ritualità della sua esposizione al di fuori di
un giudizio incidentale di ricusazione, è infondata, in quanto la conseguenza
dell’incompatibilità del giudice si verifica solo nell’ipotesi di precedente pronuncia
nel medesimo procedimento, laddove nel caso di specie si è verificata la
contestuale pronuncia in procedimenti che, sia pure generati dalla medesima
notizia di reato, si sono poi sviluppati autonomamente, per effetto di differenti
scelte di rito, ed in cui la piattaforma probatoria, rilevante ai fini della decisione,
è completamente autonoma.
Ne consegue che l’eccepita incompatibilità non possa derivare né da
pregresse pronunce sullo stesso fatto, né dalla contestuale valutazione della
medesima fattispecie, in quanto la diversità dei procedimenti derivante dalle
scelte degli imputati, ed il conseguente differente regime probatorio, esclude la
commistione valutativa che la previsione dell’incompatibilità è tesa ad evitare.
Deve poi evidenziarsi che il motivo di incompatibilità deve preesistere alla
decisione, derivando da una pregressa conoscenza degli atti per valutazioni
assunte sul punto, laddove nella specie, in cui giudizio abbreviato e ordinario
riguardante diversi imputati, sia pure su medesime imputazioni, vengano decisi
contestualmente, non sussiste alcuna pregressa disamina, sicché l’eventuale
vizio valutativo potrebbe desumersi esclusivamente dall’analisi delle pronunce,
ove rivelino un’illegittima considerazione di elementi di prova non utilizzabili nello
specifico procedimento; risulta evidente quindi che non di incompatibilità possa
parlarsi, ma di tenuta logica della motivazione, che richiede conseguentemente
una specifica deduzione sul punto, nella specie insussistente, poiché basata
esclusivamente su di una insussistente incompatibilità (principio pacifico; da
ultimo, in fattispecie del tutto analoga a quella in esame v. Sez. 6, n. 16365 del
27/04/2012 – dep. 03/05/2012, Trani, Rv. 252509).
3.2. Altrettanto infondata è l’eccezione di nullità del giudizio per mancata
notificazione al difensore degli imputati dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc.
pen., poiché tale irregolarità poteva trovare una sanatoria con la reiterazione
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dell’atto, omessa in quanto è sopraggiunta la richiesta di definizione del giudizio
allo stato degli atti. Tale istanza, segnando definitivamente il passaggio dalla
fase delle indagini a quella di merito, risulta formulata in forza di una valutazione
personale dell’interessato, assistito dal proprio difensore, e non può che sanare
le nullità non assolute verificatesi nella fase precedente del giudizio, precludendo
la regressione del procedimento. Del resto logicamente la verifica di nullità della

stato degli atti, in quanto con la regressione che il suo accertamento
comporterebbe è idonea a rimettere in termini anche per la richiesta di rito
abbreviato. In tal senso risulta irrilevante la riserva apposta dal difensore alla
formulazione dell’istanza di definizione, in quanto non prevista dalla legge, ed
inidonea a rendere rilevabile in ogni stato e grado una nullità priva di tali
caratteristiche, soprattutto ove risulti, dalle scelte difensive svolte, che la
mancata comunicazione non ha precluso la piena conoscenza delle imputazioni,
né una compiuta valutazione della scelta difensiva più efficace per l’imputato, in
attuazione concreta della sanatoria prevista dall’art. 183 cod. proc. pen.
(giurisprudenza pacifica; Sez. U, n. 39298 del 26/09/2006 – dep. 28/11/2006,
Cieslinsky e altri, Rv. 234835;da ultimo in fattispecie attinente al mancato
interrogatorio dell’imputato Sez. 2, n. 19483 del 16/04/2013 – dep. 07/05/2013,
Avallone e altri, Rv. 256040).
3.3.

Del tutto generica risulta l’eccezione di inutilizzabilità delle

intercettazioni captate nell’auto, di fatto già accertata nella pronuncia ove,
analizzando la posizione di La Monica, il giudicante dichiara di prescinderne,
valorizzando ulteriori elementi di prova, in quanto formulata in mancanza
dell’indicazione della loro concreta utilizzazione, nei confronti di Lo Re e Sciortino
che non solo non risulta argomentata in ricorso, o in atto di appello, ma neppure
è dato ricavare dalla lettura del provvedimento impugnato. In tal senso quindi il

fase di chiusura indagini non può che precedere la definizione del giudizio allo

rilievo risulta privo dell’indicazione riguardante lo specifico interesse
all’impugnazione sul punto.
3.4. Altrettanta genericità raggiunge l’eccezione di inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese da Aniello Ruggero nel corso del giudizio abbreviato
condizionato. Si deve sul punto osservare che, pur prescindendo dall’analisi sulla
loro modalità di acquisizione e sulla possibilità concreta concessa ai difensori
delle altre parti di interloquire in argomento, la Corte di merito ha sul punto già
sottolineato che il rilievo era privo di specificità, non essendo stati indicati gli
elementi di prova offerti dall’Aniello nel corso di tale successiva audizione,
precedentemente insussistenti ed incidenti sulla posizione processuale dei

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P

coimputati oggi ricorrenti, genericità che non risulta superata neppure
nell’odierno ricorso, e dà luogo ad un’inammissibilità del motivo di gravame.
3.5. Infondata risulta l’eccezione di mancata correlazione tra la sentenza e
l’accusa e di mancata considerazione della preclusione derivante dal giudicato,
poiché l’esame degli atti allegati al ricorso ed in esso richiamati non ha permesso
di accertare le circostanze di fatto genericamente evocate nell’impugnazione,

giudizio, o di altri dichiaranti delle cui affermazioni risulta non essersi tenuto
conto in quel procedimento, poiché si è verificata la loro cognizione dei fatti
limitata alla zona di Messina, al cui accertamento era estraneo il diverso giudizio.
Né emerge in alcun modo che la diversa sentenza richiamata possa riferirsi
alle pressioni operate su Costantini al fine di escluderlo dai lavori di cui al lotto
27 dell’autostrada Messina-Palermo, poiché nessuna specificazione al riguardo è
dato ricavare dal citato provvedimento che chiarisce, rafforzando quanto già
verificato sul punto dalla prima pronuncia, che Lo Re e Sciortino si mossero in
tempi diversi, ma con l’obbiettivo comune di consentire l’ingresso di Marcini
nell’appalto del ferro che Costantini era in grado di offrire alla Tecnogrup,
capofila della TeDiG, con pressioni di tale chiarezza da indurre Costantini ad
abbandonare l’appalto, lasciando spazio a Marcini che, sulla base di quanto
dichiarato da un dipendente della società consorziata con la TeDiG, risultava aver
poi convenuto con quest’ultimo, per la realizzazione delle opere, un prezzo più
alto di quello praticato da Costantini.
Tali elementi di fatto rientrano pienamente nella fattispecie contestata e non
risultano smentiti dagli accertamenti intervenuti negli altri procedimenti, la cui
decisione risulta allegata al ricorso, ed integrano la fattispecie estorsiva prevista
al capo C).
In argomento deve riconoscersi la fondatezza della contestazione
riguardante l’accertamento di sussistenza delle aggravanti contestate, con
riferimento sia all’appartenenza dei richiedenti all’associazione mafiosa, che alla
sussistenza dell’aggravante speciale di cui all’art. 7 d. I. 13 maggio 1991 n. 152,
in quanto all’accertamento di entrambi i profili si è giunti senza una
specificazione riguardante gli elementi di fatto che hanno sostenuto la verifica
dell’appartenenza dei due imputati ad una associazione mafiosa, anche in
relazione alla vaghezza sussistente sull’elemento di fatto, per quanto si dirà nella
disamina della successiva imputazione, ed alla mancata identificazione
dell’elemento concreto, desumibile dalle modalità dell’azione, riconducibile alla
fattispecie aggravante speciale.

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riguardanti la riferita non credibilità di Costantini, non accertata nel diverso

Conseguentemente,

accertata

la correttezza dell’affermazione di

responsabilità in ordine al reato di cui al capo C), la sentenza va annullata con
rinvio sul punto della verifica di sussistenza delle aggravanti ritenute.
La sentenza va annullata invece senza rinvio con riguardo all’ulteriore
imputazione di cui al capo B), riguardante la fattispecie di cui all’art. 513 bis cod.
pen., che risulta estinta per prescrizione alla data del 05/01/2013, ed in

merito rilievi cui non è stata fornita risposta.
Nella situazione descritta, risultando assenti elementi che ai sensi dell’art.
129 cod. proc. pen. possano legittimare una pronuncia di proscioglimento in
fatto, deve disporsi l’annullamento nel senso indicato.
Sussiste invece, per quanto meglio successivamente specificato, la
denunciata carenza di motivazione sugli elementi rivelatori dell’appartenenza dei
ricorrenti Lo Re e Sciortino all’associazione mafiosa, in ragione della genericità
degli elementi di accusa sul punto, evidenziati nella pronuncia oggetto di
impugnazione, che non permette di cogliere gli elementi rivelatori di una
associazione, con indicazione specifica dei suoi riferimenti personali e temporali,
oltre che gli elementi di collegamento di questa con i prevenuti.
In particolare, deve escludersi la fondatezza dell’assunto difensivo che fa
discendere dall’estraneità del gruppo considerato nel capo U) per il mancato
riscontro di collegamento con la mafia palermitana, tratteggiato nel capo di
imputazione, l’illegittimità del pronunciato assorbimento, poiché residua invece
una descrizione dell’illecito che ha giustificato la confluenza dell’accusa
nell’ipotesi omologa prevista al capo F); deve però convenirsi sulla genericità
degli elementi probatori individuati nel provvedimento impugnato che hanno
condotto la Corte ad accertare la responsabilità associativa, verificata sulla base
di richiami alle dichiarazioni rilasciate da Galati

ed Aniello sul punto, che

risultano prive di specificità quanto a composizione della compagine, tempi della
sua operatività, ruoli attribuiti ai partecipi, risultando convergenti solo
nell’attribuzione territoriale di competenza di Lo Re e di Sciortino, che, in quanto
priva degli ulteriori elementi costitutivi che caratterizzano la compagine
associativa P non risultano idonei a sostenere l’ipotesi di accusa. Le generiche
dichiarazioni risultano riscontrate, secondo il costrutto motivazionale, dalle
intervenute condanne nei confronti di entrambi i ricorrenti per appartenenza alla
compagine mafiosa, in tempi risalenti.
Come si è avuto modo di verificare, sia sulla base dell’esame delle sentenze
allegate al ricorso, che in forza dell’analisi della posizione giuridica del Lo Re e
del certificato penale in atti allo stesso riferibile, questi non risulta raggiunto da
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relazione alla cui sussistenza nel concreto risultano sollevati nel gravame di

condanne precedenti aventi tale oggetto, mentre la sussistenza di tale
accertamento in danno di Sciortino, ma in un periodo precedente, risulta
circostanza generica alla luce del

deficit nell’individuazione di una specifica

attività ascrivibile all’azione illecita del gruppo oggetto dell’attuale procedimento.
La pronuncia risulta trovare conforto argomentativo alle dichiarazioni dei
collaboranti nella condotta estorsiva realizzata dai predetti nel territorio di

aggravanti, condiziona la possibilità di utilizzare tale dato quale riscontro di
fondatezza dell’ipotesi associativa, proprio per la mancanza di elementi diretti sui
richiamati collegamenti, che devono essere rimessi all’apprezzamento del giudice
del rinvio.
Deve però chiarirsi che a tale verifica risulta estranea qualsiasi valutazione
dell’effetto ostativo di precedenti giudicati, per l’estensione temporale della loro
efficacia.
In particolare, non ha pregio la deduzione difensiva in forza della quale si
prospetta che la modifica dell’accusa da parte del P.m. nel procedimento a carico
di Lo Re, quale componente del clan Galati, effettuata inizialmente con
contestazione aperta e quindi riferibile fino alla data della sentenza di primo
grado, possa interpretarsi quale assoluzione da tale accusa per tutto il tempo
inizialmente indicato, in quanto volutamente non conferisce efficacia alla
precisazione circa i tempi di esecuzione dell’attività resa dal P.m. nel corso del
primo giudizio, che collocano la fase finale della contestazione al 1995. Tale
indicazione quale definizione del fatto, non individua un fatto diverso e,
contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, non doveva essere sottoposta al
procedimento di cui all’art. 516 cod. proc. pen.
Peraltro tale attività di definizione dell’ambito temporale risulta svolta nel
contraddittorio, e non è emerso che in quella fase sia stata formulata
opposizione ad un tal modo di procedere per la mancata valorizzazione della
presenza di elementi indiziari relativi ad epoca successiva, che avrebbero
contribuito, in maniera irrefutabile, a collocare l’ambito del procedimento nel più
ampio periodo, sicché prendendo atto della delimitazione operata dall’accusa, sia
pure dopo il rinvio a giudizio, sulla base degli elementi di prova in atti ed in
anticipo rispetto allo sviluppo probatorio, non assume fondamento l’eccezione di
giudicato assolutorio proposto dalla difesa per il periodo successivo.
Analogamente insussistente è l’eccezione di cui all’art. 649 cod. proc. pen.
proposta in favore di Sciortino e fondata sul provvedimento di correzione della
sentenza del 25/11/2004 formulato dalla Corte d’assise di Messina con atto del
23/03/2009, atteso che l’ordinanza richiamata risulta pronunciata in ambito del
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riferimento, ma la povertà illustrativa rilevata riguardo alla sussistenza delle

tutto estraneo rispetto a quello tracciato dall’art. 130 cod. proc. pen. e
conseguentemente deve ritenersi inidonea a modificare il tempo
dell’accertamento di insussistenza del reato, allungandolo rispetto a quanto
riferito nella sentenza, di dodici anni, sulla base di un presupposto che si valuta
erroneo, che non risulta neppure correttamente individuato.
Deve invero ricordarsi che, proprio sulla base della giurisprudenza già

contenuto nel decreto di rinvio a giudizio indichi esclusivamente la data di
accertamento di un reato permanente, senza nessun riferimento a quella di
cessazione della permanenza, il giudice del dibattimento deve appurare,
attraverso l’interpretazione di detto capo, considerato nel suo complesso, se esso
riguardi una fattispecie concreta la quale, così come descritta, sia già esaurita
prima o contestualmente all’accertamento medesimo, ovvero una condotta
ancora in atto; in tal caso, poiché il capo di imputazione ascrive all’imputato una
condotta che, lungi dall’essersi già esaurita, è ancora perdurante alla data in
esso indicata, deve ritenersi che la contestazione comprenda anche l’ulteriore
eventuale protrazione della permanenza, di cui pertanto può tenere conto il
giudice del dibattimento ad ogni effetto penale, senza che sia richiesta a tal fine
un’ulteriore contestazione da parte del pubblico ministero” (Sez. U, n. 11930 del
11/11/1994 – dep. 26/11/1994, P.M. in proc. Polizzi, Rv. 199170). Al contrario
nella specie proprio tale accertamento di merito è mancato, facendosi discendere
nel provvedimento definito di correzione di errore materiale dalla contestazione
aperta la deduzione di una permanenza in atto, che pertanto avrebbe dovuto
essere inclusa nella pronuncia assolutoria, senza che si sia mai accertato se
effettivamente in quel procedimento siano stati dedotti elementi di prova
concretamente attinenti alla partecipazione per il successivo periodo in relazione
al quale si ritiene contestata la permanenza, e che attualmente si assume

citata in quell’accertamento di merito “Nell’ipotesi in cui il capo di imputazione

coperto da assoluzione.
Conseguentemente il giudice del rinvio dovrà analizzare gli elementi di
responsabilità sul reato associativo, secondo le modalità ed i tempi contestati in
questo procedimento, senza alcuna limitazione derivante da pretese preclusioni
processuali desumibili dalla sentenza richiamata, con riferimento a circostanze
presuntivamente escludenti la permanenza, e non ricollegabili strettamente allo
stato di carcerazione dell’interessato a tutto il 1995.
Come risulta già affermato a questa Corte in argomento “L’identità del fatto
che rileva ai fini dell’operatività del principio del “ne bis in idem”, non sussiste
con riguardo ad uno stesso reato permanente contestato in relazione a periodi
diversi, anche se parzialmente sovrapposti, poiché in tal caso il fatto, pur

13

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&

essendo naturalisticamente unico, risulta giuridicamente scomponibile in due
fatti diversi, in considerazione delle diverse circostanze di tempo” (Sez. 2, n.
33838 del 12/07/2011 – dep. 13/09/2011, Blandina, Rv. 250592) e del resto
quando, per effetto della genericità degli elementi caratterizzanti la
responsabilità per il reato associativo ritenuto, non sia neppure possibile
verificare nel concreto l’identità degli elementi, una preclusione fondata sulla

ratio dell’art. 649 cod. proc. pen. che non può includere anche manifestazioni
delittuose storicamente diverse, sia pure riconducibili alla stessa figura giuridica,
richiedendo l’applicazione del principio richiamato identità di modalità espressive
spazio-temporali (Sez. 2, Sentenza n. 292 del 04/12/2013, dep. 08/01/2014,
imp. Coccorullo, Rv. 257992).
3.6.

L’annullamento sui capi di imputazione richiamati assorbe

necessariamente la pronuncia sulla determinazione della pena, su cui appare
opportuno segnalare la totale pretermissione nella sentenza impugnata dei
motivi di appello relativi, che il giudice di rinvio è chiamato ad integrare.
4.1.

La sentenza impugnata risulta generica con riferimento

all’individuazione della natura dell’attività estorsiva realizzata dal La Monica,
quale espressione degli interessi di un gruppo mafioso territoriale.
Deve rilevarsi in argomento che, a fronte di un iniziale inquadramento della
fattispecie nell’ambito di un’azione riconducibile ai componenti della cosca
territoriale locale, le successive assoluzioni di Lo Re e Sciortino hanno ridotto la
contestazione all’introduzione di La Monica, con condotta illecita in quanto diretta
a forzare con minacce l’opposta decisione organizzativa della società appaltatrice
nella fornitura del calcestruzzo in favore del cantiere Caronia Uno, e si omette
rispetto a tale condotta qualsiasi indicazione sull’inserimento dell’attività nelle
finalità illecite delle cosche territoriali, al punto da valorizzare nella motivazione
la valutazione già espressa dalla Corte d’appello di Palermo, che tale attività
risultava svolta nell’interesse esclusivo dell’impresa, in luogo che in favore di una
associazione mafiosa, come sarebbe richiesta per la sussistenza dell’aggravante
di cui all’art. 7 cit. (Sez. 5, n. 1706 del 12/11/2013 – dep. 16/01/2014, P.G.,
Barbaro e altro in proc. Papalia, Rv. 258951). Tale specifico passaggio
argomentativo viene recuperato per affermare la presenza di una verifica
sull’esistenza dell’azione estorsiva, ma non viene contrastato quanto all’ulteriore
assunto.
Sul punto in sentenza l’unico elemento di risconto della sussistenza delle
aggravanti contestate -quella di cui all’art. 629 cpv cod. pen. e dall’art. 7 di 13
maggio 1991 n. 152- lungi dall’evidenziare elementi di prova sulla partecipazione
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astratta identità della partecipazione associativa risulta del tutto estranea alla

del La Monica all’illecita associazione, come sarebbe richiesto dall’art. 628 cod.
pen. richiamato dalla prima disposizione, o modalità attuative rivelatrici di un
metodo mafioso o del favoreggiamento di una particolare associazione, come
sarebbe richiesto dalla norma speciale, si limita a richiamare risultanze di una
informativa di p.g. che risulterebbe collegare l’ascesa imprenditoriale del primo
alle sue frequentazioni con Lo Re ed Aniello, deduzione che non si confronta né

richiamo in precedente parte del provvedimento, né con la necessaria
esplicitazione alla vittima del metodo mafioso o del favoreggiamento di una
cosca di tale condizione (Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014 – dep. 24/02/2014,
Imbalzano, Rv. 258808), che non può essere tratto dall’oggettiva presenza di un
collegamento nella consumazione del reato, che in ogni caso risulta individuato
in modo del tutto generico.
La mancata individuazione di elementi riferibili con certezza alla sussistenza
delle aggravanti contestate impone la loro esclusione e conseguentemente
l’accertamento di estinzione del reato di estorsione non aggravato per
prescrizione, intervenuta in data gennaio 2012.
5. La cognizione degli elementi su cui è intervenuto l’annullamento con
rinvio della sentenza impugnata va rimessa alla Corte d’appello di Reggio
Calabria, mentre i ricorsi Lo Re, Sciortino e La Monica vanno rigettati nel resto.
L’accertamento di inammissibilità del ricorso proposto da Priolo ne impone la
condanna al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in
dispositivo, in favore della Cassa delle ammende in applicazione dell’art. 616
cod.proc.pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Sciortino e Lo Re
in ordine al reato di cui all’art. 513 bis cod. pen. (capo b) perché estinto per
prescrizione.
Annulla la stessa sentenza nei confronti di La Monica in ordine al reato di
estorsione di cui al capo a), previa esclusione delle aggravanti contestate, perché
estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza nei confronti di Sciortino e Lo Re in ordine al
reato associativo e alle aggravanti contestate per il reato di estorsione di cui al
capo c) e rinvia per nuovo giudizio su tali capi alla Corte d’appello di Reggio
Calabria;
rigetta nel resto i ricorsi.

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con l’assoluzione ottenuta dal La Monica dal reato associativo, cui pure si fa

Dichiara inammissibile il ricorso di Priola e lo condanna al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 26/06/2014.

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