Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31697 del 15/05/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 31697 Anno 2014
Presidente: GARRIBBA TITO
Relatore: CONTI GIOVANNI

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
1. Y.U.,
2. O.R.,
3. D.F.,

avverso la sentenza del 22/04/2013 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere G. C.;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
G.D., che ha concluso per il rigetto dei ricorsi di Y. e O. e
per l’annullamento con rinvio relativamente al ricorso di D.;
udito per la parte civile INPS l’avv. G. M., che ha concluso chiedendo
la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso di Y., e ha depositato
nota-spese;
uditi gli avvocati V. S. per Y., M.A. per O. e
A.D., anche in sostituzione dell’avv. M. F., per D., i quali
hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Data Udienza: 15/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 22 novembre 2010, il Tribunale di Torino, per
quanto qui di interesse, dichiarava la responsabilità penale di R. O.
(capo 1: reato ex art. 317 cod. pen.) e di U. Y. (capo 6: reato ex art.
346, primo e secondo comma, cod. pen.) e assolveva Rinaldo D., “per non
aver commesso il fatto” (capo 13: reato ex art. 319 cod. pen.), condannando il
O. e il Y. alle pene ritenute di giustizia e il Y., inoltre, al risarcimento

A seguito di appello degli imputati O. e Y., nonché, con riferimento
alla sola statuizione assolutoria nei confronti del D., del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Torino, la Corte di appello di Torino, con la
sentenza in epigrafe, confermava la responsabilità penale del O. (con
riqualificazione del fatto di cui al capo 1 ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen.) e
del Y. e dichiarava il D. colpevole del reato ascrittogli.
Tenuto conto di tale ultima statuizione, gli imputati sono stati condannati: il
O., con le attenuanti generiche, alla pena di due anni e tre mesi di
reclusione; il Y., con le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante
contestata , e con entrambi i benefici di legge, alla pena di un anno di reclusione
e 200 euro di multa; il D., con le attenuanti generiche, alla pena di un anno
e sei mesi di reclusione, salve le statuizioni accessorie.

2. I fatti per i quali è stata ritenuta la responsabilità penale dei predetti
imputati possono essere riassunti nei termini che seguono.
2.1. O. (capo 1: reato ex art. 319-quater, cod. pen.): per avere, con
abuso della qualità e dei poteri di maresciallo della Guardia di Finanza, indotto
L.F., nel corso di una verifica fiscale presso l’azienda “F.
TRADING” s.p.a., di cui questo era socio e presidente del consiglio di
amministrazione, a versargli in due rate, per il tramite del collaboratore e
consulente esterno T.S., la somma di 25.000 euro onde evitare
l’applicazione di una sanzione elevata e il pregiudizio al buon esito delle
trattative in corso per la cessione dell’azienda, prospettiva da lui comunicata
all’amministratrice dell’azienda M.J. che a sua volta ne riferiva all’exmarito L.F. (in Chieri e Torino, tra l’aprile e il luglio del 2004).
2.2. Y. (capo 6: reato ex artt. 110 e 346, primo e secondo comma, cod.
pen.): perché, in concorso con A.I. e T.S., giudicati
separatamente, simulando di essere tale Cipriani, dirigente dell’INPS, si faceva
promettere la somma di 30.000 euro e successivamente consegnare la somma di
10.000 euro da O.O., titolare della “M.A.M.” s.r.I., adducendo

dei danni subiti dalla parte civile INPS.

previamente la A. e lo T. il pretesto di dovere comprare il favore di
pubblici ufficiali in servizio presso gli uffici INPS di Torino, o comunque di doverli
remunerare, al fine di fare ottenere al O., malgrado la impossibilità per la
“M.A.M.” di procurarsi le necessarie fideiussioni dagli istituti bancari, la
rateizzazione del debito che l’azienda aveva con l’INPS, (in Pianezza e Torino, nel
settembre-ottobre 2006).
2.3. D. (capo 13: reato ex artt. 110, 319 cod. pen.): per avere, in
concorso con A.I., giudicata separatamente, quale titolare della

pubblico ufficiale A.I., ispettore del lavoro presso la Direzione
provinciale di Torino, l’utilità consistita nell’impegno contrattuale ed economico
rappresentato dall’attivazione di uno stabile rapporto di collaborazione e
consulenza continuativa tra l’azienda e lo studio della figlia della A.I.
Y., ove operava la stessa A.I., affinché la stessa compisse atti contrari ai
doveri del suo ufficio, e in particolare otteneva che la A.I., dopo che l’INPS di
Collegno aveva effettuato una ispezione nei confronti dell’azienda, da cui era
risultata la posizione irregolare di due dipendenti, avviasse illegittimamente una
nuova ispezione presso l’azienda sul medesimo oggetto dell’ispezione già svolta
dall’INPS, all’esito della quale la medesima, dopo avere preso contatto con un
funzionario dell’INPS di Collegno, attestava l’insussistenza delle irregolarità
rilevate dell’INPS, inviando in data 24 maggio 2006 il verbale di ispezione
all’INPS, nonché, dopo che il ricorso presentato dall’azienda era stato rigettato,
si attivava per reperire un legale al fine della proposizione di un nuovo ricorso (in
Torino, nel novembre 2006.

3. Rilevava la Corte di appello quanto segue.
3.1. Con riferimento al reato di cui al capo 1, contestato al O., nella
sentenza si osserva che le marginali discrepanze rinvenibili nelle dichiarazioni dei
soggetti esaminati quali testi (O.O., L.f. e T.S.), e
una certa reticenza della Zorzi, non intaccavano il nucleo del loro racconto circa
l’illegittima iniziativa assunta dal O., che, prospettando l’applicabilità di una
sanzione molto elevata per le irregolarità fiscali riscontrate, richiese
esplicitamente l’illecita dazione di una somma di denaro, prima quantificata in
euro 30.000, poi “scontata” a 25.000, vergata in un bigliettino, cui era
subordinata la possibilità di una rilevante attenuazione dell’esborso economico a
carico della ditta; il tutto avvalendosi dei suoi incisivi poteri di capo-pattuglia,
nulla rilevando né che egli non sapesse della possibile compromissione delle
trattative in corso per la cessione dell’azienda derivante dalle gravi sanzioni
applicabili né che il verbale conclusivo dovesse poi essere sottoscritto da un

“R. COSTRUZIONI” s.r.I., promesso e successivamente accordato al

direttore della verifica, che comunque nella specie non aveva partecipato
all’accesso. Tanto bastava a ritenere integrato il reato, contestato, da qualificare
a termini della nuova fattispecie di cui all’art. 319-quater cod. pen., sussistendo
il metus publicae potestatis a seguito della prospettiva di un rilevante danno
economico per l’azienda derivate dalle sanzioni applicabili.
3.2. Con riferimento al reato di cui al capo 6, contestato al Y., la Corte
territoriale ha osservato che le concordi dichiarazioni della persona offesa
O.O. e del coimputato (in separato procedimento) Davide

realtà dei fatti, erano univoche nel senso che aveva contribuito decisivamente al
successo della millanteria preparata dalla D.F.e dallo T. la
partecipazione del Polito alla cena con il O., nel corso della quale il
ricorrente si presentò con il falso nome di C.e nella qualità di autorevole
funzionario dell’INPS, assicurando all’imprenditore, dietro versamento della
tangente di 10.000 euro il suo diretto interessamento per risolvere la questione
della rateizzazione del credito nei confronti dell’istituto previdenziale.
A fronte di tali elementi di prova non rivestivano alcun rilievo, ai fini
dell’accertamento della responsabilità penale, minime discrasie sui particolari
della vicenda, considerato anche che il Y. aveva ammesso la sua
partecipazione alla cena, pur negando la millanteria.
3.3. Infine, con riferimento al reato di corruzione di cui al capo 13,
contestato al D., la Corte di appello, nell’accogliere l’impugnazione del P.M.,
ha osservato che doveva essere risolto nel senso indicato dall’Ufficio ricorrente il
dubbio ravvisato dal primo giudice circa l’accertamento della condotta corruttiva
in capo al D., atteso che a quest’ultimo, data la sua qualità di
amministratore della società edile interessata dalla verifica, erano
necessariamente riferibili le decisioni rilevanti nei rapporti con l’ente
previdenziale, e del resto era provato attraverso anche l’attività di
intercettazione che l’imputato si era recato personalmente nello studio
professionale della figlia della D.F.per stipulare un contratto di consulenza
continuativa che non poteva ragionevolmente avere altra causale se non quella
di ricompensare la D.F.per una a lui ben nota attività di neutralizzazione
degli esiti della verifica ispettiva dell’INPS che avevano messo in luce la sua
posizione contributiva irregolare.

4. Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.

5. L’avv. Mauro Anetrini, difensore di O., deduce i seguenti motivi.

T., nessuno dei quali aveva un apprezzabile interesse a deformare la

5.1. Vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità
penale, sotto il profilo di un duplice travisamento del fatto: in primo luogo,
essendosi la società F.Trading avvalsa del condono “tombale” che copriva
gli inadempimenti fiscali fino a tutto il 2003, essa poteva essere chiamata a
rispondere solo per i fatti relativi all’anno in corso 2004, quando appunto
avvenne la verifica, non essendo però ancora scaduti i termini per la
dichiarazione, sicché non vi era alcuna ragione per la società di temere la
contestazione di ulteriori illeciti e quindi di sottostare a illegittime richieste di

comportando un certo grado di autonomia, implicava comunque il suo dovere di
riferire sui risultati della verifica all’ufficiale direttore della stssa, che certamente
non avrebbe non potuto circoscriverla agli adempimenti imposti dalla legge
successivamente al condono del 2003; e non è stata comunque accertato che il
O. abbia condizionato l’attività dei suoi subalterni per “alleggerire” la
verifica.
D’altro canto la sentenza impugnata svaluta illogicamente il dato della
genericità delle dichiarazioni della O., che ben poteva inquadrarsi nella
consapevolezza da parte sua di avere posto in essere una condotta corruttiva, e
di quelle del O., che ha affermato di non avere dato corso alla richiesta
economica formulata dal O.. Inoltre lo stesso T., pur riferendo di una
intesa raggiunta sulla somma di 25.000 euro da versare al O., ha precisato
che la iniziativa da parte dell’imputato sarebbe derivata dalla frase da lui
pronunciata “che tempo farà nei prossimi giorni”, di evidente scarsa
significatività
Nessuna traccia documentale, poi, vi è sul biglietto sul quale il O.
avrebbe vergato l’importo richiesto.
Infine, l’assenza di riscontri sui conti correnti del ricorrente della somma che
sarebbe stata a lui versata mette in ulteriore crisi la tesi accusatoria.
5.2. Erroneo inquadramento giuridico del fatto nella ipotesi di cui all’art.

319-quater cod.pen., essendo semmai ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 322,
comma quarto, o all’art. 319 cod. pen., considerato che, stando allo T., si
raggiunse una “intesa” sulla somma da versare, e che comunque il dato della
iniziativa da parte del pubblico ufficiale non esclude l’ipotesi della istigazione alla
corruzione.

6. Con atto personalmente sottoscritto il O. denuncia il vizio di
motivazione sul medesimo punto, sviluppando, sulla base della definizione dei
rispettivi compiti assegnati dalla circolare n. 1 del 2008 al direttore della verifica
e al capo-pattuglia la considerazione della illogicità fattuale della ricostruzione

tangenti; in secondo luogo, il ruolo di capo-pattuglia rivestito dal O., pur

operata dalla sentenza impugnata; e ribadendo che nessun riscontro
documentale è stato reperito sul pagamento che secondo l’imputazione sarebbe
stato fatto al O..

7. Con motivi aggiunti l’avv. M.A. espone le considerazioni per le
quali, anche sulla base di quanto affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite del
23 ottobre 2013, il fatto avrebbe dovuto essere semmai qualificato ai sensi

8. L’avv. A. ha anche depositato in data 8 maggio 2014, e quindi
tardivamente, una memoria, con la quale peraltro si ripetono le considerazioni
sviluppate nel ricorso proposto personalmente dal O..

9.

L’avv. V.S., difensore di Y., con un unico motivo

denuncia il vizio di motivazione e la violazione della legge processuale in punto di
affermazione della responsabilità penale, osservando: che non è stata dedicata
alcuna attenzione al rilievo difensivo con il quale si sottolineava che nessuna
rilevanza causale poteva essere data all’intervento dell’imputato, che si limitò a
partecipare a una cena con il O. e gli altri quando ormai, secondo la
stessa ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, ogni trattativa tra le
parti si era ormai definitivamente conclusa; che nessuna valutazione critica è
stata svolta sull’attendibilità delle dichiarazioni del coimputato T. e sulla
concludenza di quelle del teste O., all’evidenza confuse e imprecise; che
non era stata definita con certezza la data in cui intervenne la cena, circostanza
di evidente rilievo al fine di stabilire un collegamento tra la stessa e gli illeciti
accordi contestati; che non era stata considerata la differente versione resa da
T. e O. sull’ammontare della somma oggetto della dazione,
oscillante tra i 6.000, i 10.000 e i 15.000 euro; che, irragionevolmente, non è
stato dato rilievo al fatto che il O. non ha confermato di avere sentito il
Y. presentarsi con il nome di C.né al del tutto diverso comportamento
dello T. in occasione della distinta ma analoga vicenda della cena
interessante Adriano Bortolon nel corso della quale è escluso che il Y. si sia
presentato con il nome di Cipirani, funzionario dell’INPS.

10. L’avv. M.F., difensore del D., deduce i seguenti motivi.
10.1. Erronea applicazione degli artt. 319 e 321 cod. pen., essendosi la
sentenza impugnata basata, in riforma della sentenza assolutoria, su una mera
presunzione circa l’esistenza di una promessa del presunto corruttore
antecedente al compimento dell’atto (istruttoria condotta da D.F.

dell’art. 319 cod. pen., per il quale era ormai decorso il termine di prescrizione.

conclusasi il 4 maggio 2006) cui sarebbe seguita la corresponsione della utilità
(contratto stipulato nel gennaio 2007 tra la Rinaldo Costruzioni e lo studio A.P. di
D.Y., figlia della D.F.), potendosi semmai ravvisare nella specie
esclusivamente l’ipotesi di cui all’at. 323 cod. pen. senza un necessario concorso
di alcun soggetto facente capo alla R. Costruzioni.
10.2. Erronea applicazione dell’art. 319 cod. pen., essendosi erroneamente
ravvisata l’esistenza di un atto contrario ai doveri di ufficio nella violazione di una
mera prassi che farebbe divieto ai funzionari dell’Ispettorato del Lavoro di

INPS ed essendosi erroneamente affermato che contrasta con i doveri dell’ufficio
la condotta del pubblico ufficiale che, essendone stato richiesto, offra un
consiglio circa l’opportunità di ricorrere all’ausilio di un legale e in ordine alla
scelta di questo allorché il consiglio non riguardi un atto del suo ufficio.
10.3. Vizio di motivazione in merito alla sussistenza di un accordo tra
l’imputato e la D.F.che avrebbe previsto la stipulazione di un contratto di
collaborazione tra la R. Costruzioni e lo studio di consulenza A.P. quale
controprestazione della istruttoria favorevole alla società condotta dal pubblico
ufficiale D.F..
10.4. Travisamento della prova costituita dal contenuto del colloquio
telefonico intercorso in data 3 gennaio 2007 tra A.O. e la D.F.
posto a fondamento del convincimento della prova di un accordo corruttivo, non
essendosi considerato rilevante per negare un simile accordo il fatto che
l’opportunità per l’azienda di avvalersi della consulenza della A.P. proveniva dagli
stessi suoi dipendenti.
10.5. Travisamento della prova con riferimento all’oggetto dell’incontro
avvenuto in data 3 gennaio 2007 presso la R. Costruzioni, riguardante
soggetti estranei alla vicenda processuale, F. D. e la figlia E..
10.6. Mancanza di motivazione in punto di negata concessione della
sospensione condizionale della pena detentiva, non ostandovi il beneficio
concesso con precedente sentenza di condanna.

11. Con motivi aggiunti, i difensori del D., avvocati M.F. e
A. D., espongono i seguenti rilievi.
11.1. Erronea qualificazione del fatto ai sensi degli artt. 319 e 321 cod.
pen., in quanto, stando all’accusa, la D.F.non avrebbe ricevuto una utilità per
poi trasferirla ad altri (la figlia) ma semmai avrebbe fatto solo da tramite tra i
due soggetti, essendo così al più configurabile la nuova ipotesi dell’art. 319quater cod. pen., non applicabile retroattivamente.

operare autonomamente in caso di precedente istruttoria condotta da funzionari

11.2. Non configurabilità della ipotesi della corruzione antecedente, perché
dagli atti non si ricava che il D. avesse promesso alla D.F.l’utilità di cui
si discute antecedentemente agli atti compiuti dalla stessa.
11.3. Non configurabilità nemmeno della ipotesi della corruzione
susseguente, in quanto, come esattamente rilevato dal primo giudice, non è
emersa alcuna prova che il D. e la D.F.abbiano concordato l’utilità
consistita nell’affidamento del’incarico di consulenza come rennunerazione per la
condotta illecita del pubblico ufficiale, che peraltro non aveva evitato al D.

11.4. Non configurabilità di un atto contrario ai doveri di ufficio, essendosi
semmai la D.F.limitata a discostarsi da una prassi del suo ufficio, compiendo
comunque un’attività rientrante nella sfera delle sue attribuzioni. Si tratterebbe
al più di una corruzione impropria susseguente, non configurante all’epoca un
reato.
11.5. Conseguente mancanza di dimostrazione del dolo in capo al ricorrente,
proprio in quanto non c’era in lui alcuna consapevolezza dell’illegittimità della
condotta posta in essere dalla D.F..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso di T. O. appare in tutti i suoi aspetti inammissibile..
1.1. La deduzione secondo cui la società F. Trading si sarebbe avvalsa
di un condono “tombale” per gli inadempimenti fiscali fino a tutto l’anno 2003 e
che per l’anno 2004 non era scaduto il termini per la dichiarazione fiscale, sicché
sarebbe mancata alcuna ragione per la ditta di temere sanzioni a seguito della
verifica fiscale, non risulta essere stata specificamente rappresentata nei motivi
di appello, ma solo meramente asserita con il presente ricorso, con ciò
devolvendosi un argomento logico – per di più all’evidenza non risolutivo fondato su elementi di fatto che fuoriescono dall’ambito riservato al giudizio di
legittimità.
1.2. Tutti gli altri rilievi appaiono meramente reiterativi di considerazioni
logiche o di riferimenti fattuali adeguatamente presi in esame e risolti della Corte
di appello, senza che possa rinvenirsi al riguardo alcuna carenza o incongruità di
ragionamento nella sentenza impugnata.
Nella sostanza il ricorrente si limita a dedurre argomenti che rivelerebbero la
inverosimiglianza delle dichiarazioni della persona offesa O.O. e del
consulente aziendale T.S., senza addurre alcun risolutivo elemento
logico dal quale desumere la ragione per la quale il titolare della ditta si sia

una sanzione non indifferente.

risolto ad accusare falsamente l’imputato di averlo indotto a consegnargli una
consistente somma di denaro al fine di ammorbidire gli esiti della verifica fiscale.
Vero è che il ricorrente, seppure non esplicitamente (posto che la specifica
deduzione è contenuta, formalmente in via subordinata, solo nell’ultimo motivo
di ricorso), sembra affidare le sue doglianze esclusivamente alla tesi della
inquadrabilità del fatto in una ipotesi corruttiva, di cui all’art. 319 cod. pen., o in
quella della istigazione alla corruzione di cui all’art. 322, quarto comma, cod.
pen., sostenendo una condizione “paritaria” tra il O. e gli esponenti della

Ma la tesi è stata efficacemente disattesa dai giudici di merito, che hanno
rimarcato che sulle base delle concordi dichiarazioni dello T. e del F.
(per nulla decisamente smentite dalla Zorzo, che ha semplicemente evitato di
scendere in particolari) doveva ritenersi provato che fu il O. – che assunse
subito un atteggiamento “molto aggressivo” – a prendere l’iniziativa, formulando
una richiesta esplicita di un versamento di una somma di denaro – prima
quantificata in euro 30.000, poi ridotta a 25.000 – per ammorbidire gli esiti della
verifica. Tale condotta integra l’ipotesi di concussione o di induzione indebita, e
non quella corruttiva, come da ultimo ribadito da Sez. U, n. 12228 del
24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258475).
1.3. Da ultimo va rimarcato che l’argomento speso dalla difesa circa la
mancanza di poteri decisori del capo-pattuglia (che per il vero osterebbe pure
alla configurabilità dell’ipotesi “corruttiva” prospettata dal ricorrente), da un lato
è irrilevante, non importando accertare se l’atto intimidatorio rifletta la specifica
competenza del soggetto agente, essendo sufficiente che la qualità soggettiva lo
agevoli e lo renda credibile ai fini della idoneità a costringere o a indurre il
soggetto passivo all’indebita promessa o dazione di denaro o altra utilità, ferma
restando la necessità che l’agire del soggetto pubblico si inserisca nella sfera
generale delle attribuzioni del suo ufficio (per tutte, Sez. 6, n. 23801 del
02/02/2004, Fanchin, Rv. 229641); dall’altro è infondato, perché, come bene
messo in luce dalla sentenza impugnata, al di là dei poteri formalmente decisori
spettanti al direttore della verifica, le mansioni del capo-pattuglia sono idonee a
orientare gli specifici contenuti e l’ambito della verifica e a dirigere il concreto
operato degli addetti alla pattuglia, influendo così concretamente sui relativi
risultati.

2. Anche il ricorso di G.Y. appare in toto inammissibile.
2.1. Nessun rilievo può essere dato alle peculiari modalità del fatto che, in
separato procedimento, ha visto coinvolto il Y. (oltre alla coimputata D.F.),
le quali evidentemente non esplicano alcun valore, sia pure sintomatico, sulla

ditta “F.Trading”.

ricostruzione del modus operandi dell’imputato con riguardo ai fatti oggetto del
presente procedimento.
2.2. Il ricorrente fa leva su alcune incertezze e contraddizioni che
caratterizzerebbero le dichiarazioni del coimputato T. e della persona
offesa O., aspetti che tuttavia sono stati puntualmente presi in esame e
disattesi con congrua motivazione dalla sentenza impugnata.
E’ stato così posto in rilievo che il O., come da questo riferito,
partecipò a una cena organizzata dallo T. e dalla D.F.proprio al fine di

durante la cena il Y. (marito della D.F.), presentatogli falsamente come
importante funzionario di quell’Istituto, si dichiarò disponibile a interessarsi della
faccenda proprio in tale supposta qualità; e la dazione di 15.000 euro avvenne
proprio in esito alla cena in questione e sulla base delle (false) assicurazioni date
alla persona offesa.
Le dichiarazioni del O., sotto nessun profilo sospettabili di mendacio,
sono state del resto in tutto confermate – salvo che per i dettagli relativi
all’importo della somma erogata o alla precisa data della cena – dallo T.,
che, come osservato dai giudici di merito, non aveva alcun plausibile interesse
ad accusare falsamente il Y..
Tale ricostruzione dei fatti, non eccepibile in questa sede in quanto immune
da carenze o da vizi logico-giuridici, dà ragione del ruolo per nulla accessorio del
Y. nella millanteria, avendo egli anzi rappresentato fisicamente, sotto le
mentite spoglie di funzionario INPS, la concretezza dell’impegno che era stato
rappresentato alla persona offesa in ordine all’affare che ad esso stava a cuore.

3. Alla inammissibilità dei ricorsi di Y. e di O. segue ex art. 616 cod.
proc. pen. la condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali e di
ciascuno di essi a versare una somma in favore della cassa delle ammende che,
in relazione alle questioni dedotte, appare equo determinare in euro mille.
Y. va inoltre condannato a rifondere alla parte civile INPS le spese del
grado, che si stima di liquidare in complessivi euro 3.510.

4. Il ricorso di R.D. appare invece fondato.
La Corte di appello ha ritenuto di accogliere l’impugnazione del P.M. avverso
la sentenza assolutoria di primo grado esclusivamente sulla base di una diversa
interpretazione delle risultanze processuali raccolte nel precedente dibattimento.
Il Tribunale aveva ritenuto oggettivamente accertato un rapporto di natura
corruttiva intercorso tra l’ispettrice del lavoro Iolanda D.F.e la ditta R.
Costruzioni, avente ad oggetto una mistificatoria rappresentazione della

condurre in porto l’operazione di rateizzazione del suo debito verso l’INPS e che

posizione lavorativa di due dipendenti rispetto a quanto accertato a seguito di un
precedente sopralluogo effettuato dall’INPS di Collegno, con il conseguente
vantaggio per la ditta del venir meno del versamento dei contributi omessi e
delle sanzioni irrogate dall’ente, a fronte dell’assunzione da parte della ditta
stessa di un rapporto stabile con lo studio di consulenza del lavoro A.P. cui era
preposta la figlia della D.F., O.Y..
Il Tribunale aveva però ritenuto non dimostrato il coinvolgimento in tale
accodo corruttivo del titolare della ditta R.Costruzioni, R.D.,

alla impresa dedicandosi soltanto alla gestione dei cantieri edili in cui la ditta era
impegnata, e dato che non era stato accertato alcun contatto diretto tra il
D. e la D.F., fatta eccezione di quelli avuti nel maggio del 2006 in
occasione della notifica del verbale di ispezione e di quello del gennaio 2007 in
occasione dell’incontro presso lo studio A.P. (e ad analoga conclusione il
Tribunale perveniva con riferimento alla posizione della coimputata Milena
Cannizzaro, impiegata nella ditta del D. quale addetta alla tenuta della
contabilità ed assunta solo dopo che la verifica dell’INPS si era ormai chiusa).
Per contro, la Corte di appello ha ritenuto provato il coinvolgimento del
D. nell’accordo corruttivo sulla base della considerazione che, essendo egli
amministratore e legale rappresentante della R.Costruzioni s.r.I., ogni
decisione rilevante per l’attività sociale e in particolare inerente ai rapporti con
gli enti pubblici non poteva che dipendere da lui, ed era limitativo circoscrivere il
rapporto tra l’imputato e la D.F.alla mera approvazione del suggerimento di
questa di affidare le pratiche di consulenza allo studio A.P. senza
necessariamente presupporre che ciò fosse connesso a una volontà del D.
di compensare la D.F.per l’illecita attività dalla stessa compiuta per vanificare
gli effetti dell’attività ispettiva dell’INPS. In tal senso, secondo la Corte di
appello, deponeva sia il fatto che alla stipulazione del rapporto di collaborazione
presso lo studio A.P. prese parte di persona il D. sia l’incontro , presso la
sede della ditta, del 3 gennaio 2007, direttamente fissato da quest’ultimo con la
D.F., senza passare attraverso la segretaria M.C..
Sennonché appare alla Corte che tali argomentazioni non sono idonee a
superare i dubbi espressi dal Tribunale.
Nella sentenza di primo grado si erano invero dati per accertati gli intercorsi
contatti e le occasioni di incontro tra l’imputato e la D.F. cui ha fatto cenno la
Corte di appello; affermandosi inoltre che doveva plausibilmente essere
ricondotta all’imputato in persona la decisione di avallare il suggerimento della
D.F. di affidare la consulenza interessante i rapporti di lavoro della ditta con
lo studio A.P.

dato che egli pacificamente non si ocupava mai dei profili amministrativi inerenti

Ciò che il Tribunale ha ritenuto non accertata con tranquillante certezza è la
“causa” di tali incontri, e cioè se essa fosse effettivamente da ricondurre
sinallagmaticamente alla volontà del D. di “retribuire” la D.F. per
l’illegittimo atto di ufficio da essa compiuto al fine della neutralizzazione della
verifica effettuata dall’INPS di Collegno; e su questo punto il ragionamento
espresso dalla Corte di appello non appare affatto puntuale, limitandosi la
sentenza impugnata a evocare dati probatori già considerati dal Tribunale, dando
tuttavia ad essi un diverso significato.

impugnazione del pubblico ministero, un esito di condanna in secondo grado
basato anche sullo stesso materiale probatorio precedentemente valutato,
purché il giudice di appello non si limiti a offrire una diversa – e a suo avviso più
logica – interpretazione dei dati processuali, ma si impegni in una forza
persuasiva superiore, tale da far venire meno ogni ragionevole dubbio, mettendo
in luce insanabili contraddizioni o carenze argomentative della sentenza appellata
ovvero facendo riferimento a fonti di prova, anche di natura critica,
indebitamente trascurate dal primo giudice (v. per tutte, da ultimo, nel solco di
una linea giurisprudenziale ormai consolidata, Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013,
Paparo, Rv. 256869).
Non avendo la Corte di appello soddisfatto tale compito, la sentenza
impugnata va annullata nei confronti del’imputato D., con rinvio, per nuova
e più adeguata motivazione secondo il principio di diritto sopra espresso, ad altra
sezione della Corte di appello di Torino, in tale statuizione rimanendo assorbiti gli
ulteriori motivi di ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Y. e O. che condanna al pagamento
delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000 in favore della
cassa delle ammende.
Condanna il Y. alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile INPS
che liquida in euro 3.510.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.F. e rinvia per
nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.
Così deciso il 15/05/2014.

Ora, a fronte di un giudizio assolutorio in primo grado, è legittimo, su

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