Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31688 del 31/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31688 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cervice Giuseppe, nato a Pozzuoli il 14.6.1966, avverso la
sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione il 12.2.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi per il ricorrente, l’avv. Clara Veneto, del Foro di Roma, in
qualità di sostituto processuale del difensore di fiducia, avv.
Armando Veneto, del Foro di Roma, che ha concluso, riportandosi
ai motivi di ricorso, di cui chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 31/10/2014

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 12.2.2014 la Corte di Cassazione,
Prima Sezione Penale, rigettava il ricorso presentato nell’interesse

assise di appello di Napoli il 27.6.2012, che confermava la
sentenza con cui la corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, in
data 13.1.2011, aveva condannato alle pene ritenute di giustizia
Cervice Giuseppe, per il delitto di omicidio volontario commesso in
danno della convivente Katiuscia Gabrielli, consumato in Caste!
Volturno in data 8 settembre 1999.
2. Avverso la sentenza della Suprema Corte, ricorre l’imputato, a
mezzo del suo difensore di fiducia, ai sensi dell’art. 625 bis, c.p.p.,
eccependo l’errore di percezione della realtà processuale in cui
sarebbe caduta la Corte di Cassazione, nell’affermare,
esaminando il quinto motivo di ricorso, che non vi fossero dubbi
circa la prova della soppressione del cadavere della vittima da
parte del Cervice, trattandosi di circostanza approfondita, provata
ed affermata dalla corte di assise di appello, laddove, evidenzia il
ricorrente, da un lato non vi è nessuna prova, nessuna certezza
espressa al riguardo nella sentenza di secondo grado, dall’altro
che la stessa difesa dell’imputato nell’atto di appello aveva
specificamente dedotto l’impossibilità di addebitare al Cervice di
avere soppresso il cadavere della convivente mediante
combustione nel forno per le pizze, di cui l’imputato aveva la
disponibilità.

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di Cervice Giuseppe avverso la sentenza pronunciata dalla corte di

Si è trattato di un errore, rileva il ricorrente, causato da una
svista ovvero da un equivoco immediatamente ed oggettivamente
rilevabile in base ad un semplice controllo del contenuto del
ricorso e che ha determinato una decisione diversa da quella che
sarebbe stata adottata, in quanto la Corte di Cassazione si è
determinata al rigetto delle censure del ricorrente sul presupposto

ad una condotta volontaria, deducendo la configurabilità del dolo
dalla provata soppressione del cadavere da parte del Cervice.
3. Il ricorso è infondato.
4. Al riguardo si osserva, che come chiarito da tempo dalla
giurisprudenza di legittimità, il nuovo testo dell’art. 625 bis c.p.p.
prevede due istituti distinti: uno, il ricorso per la correzione di
errore materiale, costituisce un mezzo di emenda del testo
grafico; l’altro (il ricorso per correzione di errori di fatto)
costituisce una vera e propria impugnazione, dovendosi qualificare
come errore di fatto che legittima il ricorso avverso sentenze di
legittimità, soltanto quello avente ad oggetto l’erronea
supposizione dell’esistenza (o dell’inesistenza) di un fatto decisivo
ai fini del decidere (cfr. Cass., sez. un., 27/03/2002, n. 16104).
Siffatto errore, dunque, deve essere connotato dall’influenza
esercitata sulla decisione dalla inesatta percezione dei dati
processuali, dovendosi pur sempre trattare di una svista tale da
avere avuto un’efficacia causale determinante nel formarsi della
decisione, nel senso che quest’ultima sarebbe potuta essere
diversa, in mancanza dell’errore (cfr. Cass., sez. H, 11/10/2005,
n. 44327; Cass., sez. III, 16/04/2013, n. 21967).
Orbene l’errore in cui è incorsa la Corte di cassazione non
presenta tali caratteristiche.

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che la corte di assise di appello avesse ritenuto l’omicidio riferibile

La corte di assise di appello di Napoli, invero, non ha preso
posizione sulle modalità di soppressione del cadavere della
vittima, per la decisiva ragione che la declaratoria di non
procedibilità nei confronti del Cervice per il delitto di soppressione
di cadavere di cui al capo b) dell’imputazione non ha formato
oggetto di impugnazione, deducendo la colpevolezza dell’imputato

una volta esclusa che la scomparsa della vittima fosse ascrivibile
ad una scelta volontaria di quest’ultima (cfr. pp. 6 e seguenti della
sentenza di secondo grado), l’impossibilità di un diverso
atteggiarsi dell’elemento psicologico del reato in termini di colpa
ovvero di preterintenzione, in quanto “la difesa al di là della mera
prospettazione della ricostruzione alternativa non ha provveduto
ad indicare in che modo si sarebbe concretizzata la condotta
colposa o l’azione lesiva di tal che per la Corte non è stato
possibile analizzare e valutare la sussistenza di ipotesi alternative,
che, conseguentemente, non possono che essere escluse” (cfr. p.
12 della sentenza di secondo grado).
Nel quinto motivo aggiunto di ricorso, peraltro, il ricorrente
contestava proprio la possibilità di ritenere sussistente in capo al
Cervice la volontà di uccidere, evidenziando come essa non
potesse desumersi, a differenza di quanto affermato dal giudice di
primo grado, dalla soppressione del cadavere da parte del
prevenuto, non essendovi certezza su tale evento, e come non
potesse escludersi una condotta dell’imputato spiegabile in termini
di omicidio colposo o preterintenzionale (cfr. p. 7 della sentenza
della Corte di Cassazione).
Ne consegue che l’errore in cui è caduto il collegio della prima
sezione della Corte di Cassazione nel ritenere che la corte di

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da altri elementi sintomatici ed evidenziando, al tempo stesso,

assise di appello avesse affermato con certezza che l’imputato ha
soppresso il cadavere della compagna bruciandolo nel forno della
pizzeria, deve ritenersi del tutto irrilevante ai fini della decisione
assunta, in quanto la corte territoriale, nel confermare la sentenza
di primo grado, con particolare riferimento alla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato, che, lo si rammenta, è il profilo

di ricorso ed in relazione al quale egli lamenta l’erronea
considerazione da parte del giudice di legittimità, non ha utilizzato
tale ipotizzato segmento dell’azione delittuosa.
La stessa Corte di Cassazione, peraltro, nel rigettare il ricorso
dell’imputato sul punto, si è avvalsa anche di due ulteriori
argomenti decisivi, nel sottolineare, da un lato come la stessa
corte territoriale avesse escluso la configurabilità di un elemento
soggettivo diverso dal dolo specifico, sostenendo “con logico
argomentare, che è interesse dell’imputato disvelare
immediatamente l’omicidio riferibile a condotta colposa ovvero
oltre l’intenzione”, dall’altro come il ricorrente non avesse
adempiuto all’onere, su di lui incombente, di provare la
sussistenza di condotte psicologicamente connotate dalla colpa
ovvero dalla preterintenzione (cfr. p. 7 citata).
Per le indicate ragioni la svista in cui è incorsa la Corte di
Cassazione non ha, dunque, svolto un ruolo determinante nella
decisione assunta, per cui, alla luce dei principi in precedenza
indicati, il ricorso proposto nell’interesse del Cervice va rigettato,
con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

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specificamente aggredito dal ricorrente nel quinto motivo aggiunto

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Così deciso in Roma il 31.10.2014

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