Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31687 del 31/10/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31687 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
Magnoni Aldo, nato in Spagna il 16.7.1948; Magnoni Luca, nato a
Milano 1’11.1.1970; Magnoni Giorgio, nato a Roma il 19.1.1941,
avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per
le indagini preliminari di Milano in data 5.5.2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso di Magnoni Aldo; per l’annullamento senza rinvio del
decreto impugnato in relazione ai reati di cui ai capi B1) ed E2)

Data Udienza: 31/10/2014

nei confronti di Magnoni Luca; per con rinvio dell’ordinanza
impugnata; per l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato
in relazione ai reati di cui al capo E2) nei confronti di Magnoni
Giorgio;
udito per i ricorrenti Magnoni Giorgio e Magnoni Luca, l’avv. Giulia

Giorgio, anche in sostituzione dell’avv. Guido Carlo Alleva, del
Foro di Milano, difensore di fiducia di Magnoni Luca, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento di entrambi i ricorsi

FATTO E DIRITTO

1. Con decreto adottato in data 5.5.2014 il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Milano disponeva il sequestro
preventivo per valore equivalente, ex artt. 321, co. 2, c.p.p., 11,
I. n. 146 del 2006, dei beni, mobili ed immobili, specificamente
indicati nel suddetto provvedimento, nei confronti, tra gli altri, di
Magnoni Aldo, Magnoni Giorgio e Magnoni Luca, nell’ambito di un
procedimento penale sorto per il reato di associazione a
delinquere finalizzata alla commissione di una pluralità di delitti in
materia di bancarotta fraudolenta, truffa aggravata,
appropriazione indebita, frode fiscale, trasferimento fraudolento di
valori, finalizzato ad agevolarne il riciclaggio, ed i connessi reati
fine, commessi utilizzando le strutture societarie del gruppo
“Sopaf S.p.a.”, l’holding di partecipazione, nonché le relative
società controllate e collegate, come puntualmente descritto
nell’imputazione provvisoria.

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Bongiorno, del Foro di Roma, difensore di fiducia di Magnoni

2. Avverso tale decreto, di cui chiedono l’annullamento, hanno
proposto tempestivo ricorso per cassazione Magnoni Aldo,
Magnoni Giorgio e Magnoni Luca, a mezzo del rispettivi difensori,
articolando motivi di impugnazione sostanzialmente comuni.
In particolare i ricorrenti lamentano il vizio di violazione di legge,

è sorretto da una reale motivazione in ordine alla sussistenza del
requisito del fumus commissi delicti, sia in relazione al reato
associativo che ai singoli reati-fine, poiché, sul punto, il giudice di
merito ha operato un mero rinvio per relationem alla motivazione
dell’ordinanza applicativa della misura cautelare nei confronti dei
suddetti indagati; 2) violazione di legge in relazione alla ritenuta
sussistenza della circostanza aggravante ex art. 4, I. 146/2006,
sotto un duplice profilo: da un lato il giudice per le indagini
preliminari non ha specificato quale sarebbe il gruppo criminale
operante in territorio estero che avrebbe cooperato con quello
attivo in Italia per il raggiungimento delle finalità illecite,
condizione necessaria, come chiarito dalla giurisprudenza della
Suprema Corte, per la sussistenza della menzionata aggravante,
non potendo il gruppo criminale transnazionale coincidere con
l’associazione stessa; dall’altro non è possibile affermare che il
gruppo criminale italiano abbia operato all’estero, in quanto
l’unico dato emerso al riguardo nel corso delle indagini preliminari
è il semplice trasferimento di somme di denaro verso l’estero,
attraverso società o fiduciari 3) il giudice per le indagini
preliminari, prima di procedere al sequestro per valore
equivalente, avrebbe dovuto verificare se fosse stato possibile
sequestrare direttamente il profitto del reato; 4), il sequestro
preventivo è stato disposto anche in relazione ad una serie di

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sotto diversi profili, in quanto: 1) il provvedimento impugnato non

reati-fine, in realtà non contestati agli indagati, mentre, rileva il
solo Magnoni Aldo, in relazione al reato di cui al capo B10), il
sequestro è stato illegittimamente disposto per l’intero profitto di
euro 10.782.927, 93, laddove avrebbe dovuto essere limitato
all’entità del profitto conseguito dal ricorrente, nella misura di

3.

In via preliminare va rilevato che in data 30.10.2014 è

pervenuta formale rinuncia al ricorso presentato nell’interesse del
Magnoni Aldo dal difensore di fiducia avv. Tommaso Cortesi del
Foro di Bergamo.
Ne consegue che, giusto il disposto dell’art. 591, co. 1, lett. d),
c.p.p., il ricorso in questione va dichiarato inammissibile, con
conseguente condanna del Magnoni Aldo, ai sensi dell’art. 616,
c.p.p., al pagamento delle spese processuali e della somma di
euro 500,00 in favore della cassa delle ammende.
4. Parzialmente fondati appaiono i ricorsi presentati nell’interesse
di Magnoni Luca e di Magnoni Giorgio, nel senso che, come si
evince dal testo del provvedimento impugnato, il sequestro
preventivo è stato adottato nei loro confronti in relazione ad
ipotesi di reato che non sono ad essi addebitati nell’imputazione
provvisoria.
Si tratta, in particolare, delle ipotesi di reato contestate,
rispettivamente, al Magnoni Luca nei capi B1) ed E2), al Magnoni
Giorgio nel capo E2) dell’imputazione provvisoria, per cui,
limitatamente a tali ipotesi, l’impugnato decreto di sequestro
preventivo va annullato senza rinvio.
5. Infondati appaiono, invece, gli altri motivi di impugnazione
posti a fondamento dei ricorsi proposti nell’interesse di Magnoni

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euro 509,620, come indicato dal pubblico ministero.

Giorgio e di Magnoni Luca, che, vanno, pertanto, sul punto
rigettati.
5.1. Al riguardo si osserva che, come affermato dal condivisibile
orientamento, prevalente in sede di legittimità, ai fini
dell’emissione del provvedimento di sequestro preventivo

occorre un compendio indiziario che si configuri come grave ai
sensi dell’art. 273, c.p.p., ma è comunque necessario che il
giudice valuti la sussistenza del “fumus delicti” in concreto,
verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai
quali desumere l’esistenza del reato astrattamente configurato, in
quanto la “serietà degli indizi” costituisce presupposto per
l’applicazione delle misure cautelari (cfr., ex plurimis, Cass., sez.
III, 4.6.2014, n. 37851, rv. 260945; Cass., sez. III, 6.3.2014, n.
18311, rv. 259103).
La particolare finalità cui è orientato il sequestro preventivo, ai
sensi dell’art. 11, I. 16.3.2006, n. 146, vale a dire la confisca dei
beni di valore equivalente alle cose che costituiscono il prodotto, il
profitto o il prezzo di uno dei reati previsti dall’art. 3 della
medesima legge, tra i quali è riconnpreso, comunque, il delitto di
cui all’art. 416, c.p., contestato nell’imputazione provvisoria
formulata a carico di Magnoni Giorgio e di Magnoni Luca, non
incide sulla natura del presupposto fondamentale che ne giustifica
l’adozione, non essendo necessario, nemmeno in questo caso,
valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico
della persona nei cui confronti il sequestro è operato (cfr. Cass.,
sez. II, 28.1.2014, n. 5656, rv. 258279; Cass., sez. V, 26.1.2010,
n. 18078, rv. 247134).

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funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato, non

Al tempo stesso, il giudice può compiutamente adempiere al
proprio dovere motivazionale, operando un rinvio “per relationem”
al contenuto di altri provvedimenti, noti ai destinatari del
provvedimento cautelare reale.
Sul punto, infatti, si è da tempo formato un puntuale

al quale poiché la motivazione richiesta dall’art. 321, c.p.p., è
diretta a consentire all’interessato e al giudice degli eventuali
successivi gradi di giurisdizione la conoscenza delle ragioni del
provvedimento per verificarne correttezza e legittimità, allorché
nell’ambito dello stesso procedimento vengono emanati più
provvedimenti, è legittima la motivazione “per relationem” a uno
di quelli precedenti, giacché lo scopo della norma è raggiunto,
essendo la motivazione richiamata conosciuta o conoscibile
dall’interessato (cfr. Cass., sez. I, 12.1.2000, n. 191, rv. 215364;
Cass., sez. VI, 17.3.1995, n. 1022, rv. 201942).
Orbene il giudice per le indagini preliminari si è compiutamente
attenuto a tali principi, in quanto, nel motivare in ordine alla
sussistenza del “fumus delicti”, sia in relazione al delitto
associativo, sia in ordine ai singoli reati-fine, da un lato, ha
operato un rinvio al contenuto dell’ordinanza con cui sono state
applicate agli indagati, nell’ambito del medesimo procedimento, le
misure cautelari che hanno inciso sulla loro libertà personale,
provvedimento da ritenersi pacificamente conosciuto o conoscibile
dalle parti; dall’altro ha operato un’esaustiva valutazione delle
risultanze processuali (cfr. pp. 3-5 dell’impugnato decreto),
rispetto alla quale i rilievi difensivi non colgono nel segno,
connotandosi, piuttosto, in termini di evidente genericità.

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orientamento della Suprema Corte, condiviso dal Collegio, in base

5.2. Quanto alla seconda questione di diritto prospettata, si
osserva che correttamente il giudice per le indagini preliminari ha
adottato il sequestro preventivo di cui si discute, individuando la
normativa di riferimento nel combinato disposto degli artt. 11 e 3,
lett. d), I. 16 marzo 2006 n. 146, che ha ratificato e dato

criminalità organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della
Conferenza di Palermo del 12 – 15 dicembre 2000.
Secondo quanto previsto dal citato art. 11, I. 16 marzo 2006, n.
146 (“Ipotesi speciali di confisca obbligatoria e confisca per
equivalente”), infatti, “per i reati di cui all’articolo 3 della presente
legge, qualora la confisca delle cose che costituiscono il prodotto,
il profitto o il prezzo del reato non sia possibile, il giudice ordina la
confisca di somme di denaro, beni od altre utilità di cui il reo ha la
disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per
un valore corrispondente a tale prodotto, profitto o prezzo”
L’art. 3, lett. d), del menzionato testo normativo, richiamato dal
suddetto art. 11, nel definire la nozione di reato transnazionale,
considera tale il “reato punito con la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a quattro anni”, in cui “sia coinvolto un
gruppo criminale organizzato”, quando, tra l’altro, “sia commesso
in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato”.
A completare il quadro delle norme da prendere in considerazione
in subiecta materia, concorre, infine, l’art. 4, co. 1, I 16 marzo
2006, n. 146, secondo cui “per i reati puniti con la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni nella
commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo
criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno
Stato la pena è aumentata da un terzo alla metà”.

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esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la

In sede di interpretazione delle menzionate disposizioni normative
la Suprema Corte, nella sua espressione più autorevole, ha
chiarito che “la transnazionalità non è un elemento costitutivo di
un’autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a
qualsiasi delitto a condizione che sia punito con la reclusione non

criminale organizzato, anche se operante solo in ambito nazionale
e ricorra, in via alternativa, una delle seguenti situazioni: a) il
reato sia commesso in più di uno Stato; b) il reato sia commesso
in uno Stato, ma con parte sostanziale della sua preparazione,
pianificazione, direzione o controllo in un altro Stato; c) il reato
sia commesso in uno Stato, con implicazione di un gruppo
criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno
Stato; d) il reato sia commesso in uno Stato, con produzione di
effetti sostanziali in altro Stato” (cfr. Cass., sez. un., 31/01/2013,
n. 18374, rv. 255038).
Al fine della applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per
equivalente prevista dall’art. 11, I. 16 marzo 2006, n. 146,
dunque, è sufficiente che sia contestata e configurabile la
condizione di transnazionalità del delitto per cui si procede,
proprio perché, come si è detto, la transnazionalità non
rappresenta un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie
di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i
requisiti indicati dalla stessa legge n. 146/2006 (cfr. Cass., sez.
III, 15/10/2013, n. 44309).
Non è necessario, pertanto, per disporre il sequestro finalizzato
alla confisca per equivalente di cui si discute, che sia contestata e
ricorra la circostanza aggravante ad effetto speciale prevista
dall’art. 4, co. 1, I. 16 marzo 2006, n. 146, per la cui

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inferiore nel massimo a quattro anni, sia riferibile ad un gruppo

configurabilità, alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite del
Supremo Collegio fatto proprio dalla giurisprudenza di legittimità
nei suoi più recenti arresti, occorre che la commissione del reato
sia stata determinata o anche solo agevolata, in tutto o in parte,
dall’apporto di un gruppo criminale organizzato, distinto da quello

stato (cfr. Cass., sez. VI, 2.7.2013, n. 31972, rv. 255887; Cass.,
sez. III, 4.12.2013, 7768, rv. 258849), in quanto tale circostanza
costituisce solo uno degli eventuali sintomi del carattere
transnazionale del delitto, la cui insussistenza non impedisce
l’adozione del vincolo reale ove il delitto per cui si procede sia
comunque caratterizzato dalla condizione di transnazionalità.
Cadono, pertanto, in un evidente equivoco interpretativo i
ricorrenti nel ritenere irrilevante, ai fini della sussistenza delle
condizioni legittimanti il sequestro, l’accertato trasferimento di
somme verso l’estero attraverso fiduciari o società comunque
riconducibili agli indagati, in mancanza di “qualsiasi indicazione
circa le ragioni che varrebbero a differenziare e a distinguere
l’associazione operante in Italia…..ed il “gruppo criminale
organizzato” di cui all’aggravante” (cfr., in particolare, p 9 del
ricorso a firma dell’avv. Bongiorno, nonché, nello stesso senso, p.
9 del ricorso a firma dell’avv. Guido Carlo Alleva).
Si tratta, viceversa, di un profilo assolutamente rilevante, sul
quale il giudice per le indagini preliminari si è specificamente
soffermato, evidenziando come sia coessenziale alla struttura
stessa dell’organizzazione criminale “l’utilizzo di fiduciari e/o
finanziarie o comunque strutture societarie estere”, in termini di
“sistematicità, varietà dei luoghi di allocazione delle risorse ed
operatività dei soggetti coinvolti, rilevanza degli importi di

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cui è riferibile il reato, impegnato in attività illecite in più di uno

provenienza illecita movimentati”, come dimostrato, ad esempio,
dagli episodi descritti nei capi B9) e B10) dell’imputazione
provvisoria (cfr. p. 6-7 del decreto impugnato), circostanza di
fatto che non ha formato oggetto di specifica censura da parte dei
ricorrenti (entrambi i difensori ne parlano in termini del tutto

sequestro preventivo previsto dal combinato disposto degli artt.
degli artt. 11 e 3, lett. d), I. 16 marzo 2006, n. 146
Appare evidente, infatti, che il delitto associativo commesso nel
territorio dello Stato italiano, addebitato nel capo A)
dell’imputazione provvisoria, tra gli altri, a Magnoni Giorgio,
Magnoni Luca e Magnoni Aldo, per il quale è prevista una pena
superiore nel massimo a quattro anni di reclusione, ha prodotto i
suoi effetti sostanziali nel territorio degli stati esteri dove
operavano le menzionate strutture societarie “con le quali si è
inteso schermare le condotte illecite realizzate, ostacolandone
l’identificazione e parallelamente agevolando l’occultamento dei
profitti così conseguiti” (cfr. p. 6 del provvedimento impugnato),
dovendosi ricondurre in siffatta categoria concettuale tutti gli
eventi che costituiscono una concreta e diretta conseguenza della
commissione del delitto transnazionale, tale dovendo qualificarsi il
trasferimento all’estero delle somme di denaro che costituiscono
l’oggetto dell’attività illecita consumata in territorio italiano (cfr.
Cass., sez. V, 7.3.2014, n. 40042, rv. 260546), come, ad
esempio, nel caso in esame, i pagamenti di natura distrattiva
posti in essere dagli indagati.
Siffatto approdo interpretativo appare, peraltro, anche conforme
al contenuto dell’art. 12 della citata Convenzione delle Nazioni
Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, nella parte

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generici) e che da sola appare sufficiente a giustificare il

in cui prevede l’assoggettabilità a sequestro e confisca dei
proventi derivanti dai reati transnazionali, anche nel caso in cui
tali proventi siano stati convertiti, in tutto o in parte, in altri beni,
assimilando, altresì, espressamente, ai fini dell’adozione dei
provvedimenti di sequestro e confisca, al provento di reato “gli

quali il provento di reato è stato trasformato o convertito o da
beni con i quali il provento di reato è stato confuso”.
5.3. Infondato, infine, appare il motivo di ricorso sub n. 3).
Al riguardo si osserva che, come è stato affermato in un recente e
condivisibile arresto della Suprema Corte nella sua espressione
più autorevole, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per
equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del
reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia
transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della
richiesta e dell’adozione della misura, non essendo necessaria la
loro preventiva ricerca generalizzata (cfr. Cass., sez. U.,
30.1.2014, n. 10561, rv. 258648).
Tale profilo è stato espressamente preso in considerazione dal
giudice per le indagini preliminari, che ha evidenziato come, al
momento della richiesta di applicazione della misura cautelare
reale, non era possibile procedere alla precisa e definitiva
individuazione del profitto derivante dai reati commessi in capo a
ciascuno degli indagati, proprio in ragione della complessità, del
numero, dell’articolazione e della reiterazione delle condotte
illecite poste in essere secondo l’assunto accusatorio (cfr. p. 10
dell’impugnato decreto), per cui, non potendosi procedere per tale
ragione al sequestro preventivo dei beni costituenti tale profitto,

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incassi o altri vantaggi derivati dal provento di reato, da beni nei

del tutto legittimamente è stato disposto il sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per valore equivalente.
Sul punto, pertanto, il provvedimento impugnato non può dirsi né
adottato in violazione dell’art. 11, I. n. 146 del 2006, né dotato di
motivazione apparente, appalesandosi le censure dei ricorrenti sul

mera affermazione tautologica secondo la quale il giudice per le
indagini preliminari avrebbe adottato il provvedimento di
sequestro oggetto di ricorso senza verificare la concreta possibilità
di procedere al sequestro diretto del profitto del reato, che,
peraltro, e significativamente, nemmeno i ricorrenti sono in grado
di individuare.
6. Il parziale accoglimento delle ragioni del Magnoni Giorgio e del
Magnoni Luca, comporta che gli stessi non siano condannati al
pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato senza rinvio, limitatamente,
quanto a Magnoni Luca, al profitto dei reati sub B1 ed E2, e,
quanto a Magnoni Giorgio, al profitto del reato sub E2. Rigetta nel
resto i ricorsi dei suddetti ricorrenti.
Dichiara inammissibile il ricorso di Magnoni Aldo per intervenuta
rinuncia e condanna tale ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 500,00, oltre al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 31.10.2014

punto estremamente generiche, in quanto si risolvono in una

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