Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31678 del 22/05/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31678 Anno 2015
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SEKKARI LARBI N. IL 01/01/1972
avverso la sentenza n. 129/2012 GIUDICE DI PACE di PfNEROLO,
del 15/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/05/2015

Il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, dott.ssa Paola
Filippi, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 novembre 2013 il giudice di pace di Pinerolo
condannava alla pena di giustizia Sekkari Larbi, per i reati di lesioni e minaccia in

2. Ha proposto appello il difensore dell’imputato, avv. Gregorio Colonna,
deducendo erronea valutazione dei fatti ed errata applicazione della legge in
relazione alle lesioni volontarie ed erronea valutazione dei fatti ed errata
applicazione della legge in relazione al delitto di minaccia, concludendo per
l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste o con altra formula; in
subordine chiedendo la condanna dell’imputato al minimo della pena, con tutti i
benefici di legge.
3. Con ordinanza del 18 settembre 2014 il Tribunale di Torino, rilevato che
l’imputato ha proposto ricorso unicamente con riferimento alle statuizione penali,
ha qualificato l’impugnazione come ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo
568, comma 5, cod. proc. pen., ed ha trasmesso gli atti a questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione proposta dal difensore del Sekkari va riqualificata come
appello e gli atti vanno trasmessi al Tribunale di Torino, affinché provveda al
giudizio di appello.
Infatti, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 274/2000 nel procedimento davanti al
giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto da detto decreto si osservano, in
quanto applicabili, le norme contenute nel cod. proc. pen., fatte salve le
esclusioni in esso elencate e fra le quali non rientra l’art. 574, comma 4, per il
quale l’impugnazione proposta avverso i punti della sentenza riguardanti la
responsabilità dell’imputato estende i suoi effetti agli altri punti che dipendano
dai primi, fra i quali sono ricompresi quelli concernenti il risarcimento del danno,
che ha il suo necessario presupposto nell’affermazione della responsabilità
penale. La norma è applicabile anche nel giudizio davanti al giudice di pace,
considerato che la sua estensione, ricavabile dal dato letterale dell’art. 2 d.lgs. n.
274/2000, non trova ostacolo nell’art. 37, comma 1, seconda parte, stesso
d.lgs.; né l’applicazione dell’art. 574, comma 3, svuota di significato l’art. 37 cit.,
in quanto restano inappellabili (e ricorribili solo per cassazione) tutte le condanne
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danno di Guiot Bruno, con statuizioni civili in favore della parte civile costituita.

a sanzione pecuniaria, accompagnate da statuizioni civili, allorquando l’imputato
intenda contestare soltanto la specie e/o l’entità della pena.
2. La soluzione qui accolta è in linea con la giurisprudenza largamente
maggioritaria di questa Suprema Corte, la quale statuisce che il dettato dell’art.
37, comma 1, seconda parte, del d.lgs. n. 274/2000, va coordinato con quello
dell’art. 574, comma 4, cod. proc. pen., in virtù del quale l’impugnazione
dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale o di assoluzione estende i

ed alla rifusione delle spese processuali, se questa dipende dal capo o dal punto
impugnato (Sez. 5, n. 6952 del 29/11/2011 – dep. 22/02/2012, Calò, Rv.
252944; Sez. 2, n. 5576 del 21.1.2009, Sidoli, Rv. 243288).
pur vero (come affermato nell’ordinanza del Tribunale di Torino) che
talune pronunce di questa S.C. sono state di avviso contrario (Sez. 5, n. 19382
del 21/04/2005, Di Giovanni, Rv. 231498; Sez. 5, n. 4886 del 16/12/2005 – dep.
08/02/2006, Giannini, Rv. 233619), ma è proprio l’indubbia perdurante
applicabilità dell’art. 574, comma 4, anche al ricorso per cassazione nei
procedimenti per reati di competenza del g.d.p. ad indurre un’ingiustificata
aporia di sistema, se la norma si ritiene invece inapplicabile ove venga proposto
l’appello.
3. Rafforza il giudizio di compatibilità fra la norma dell’art. 574, comma 4,
cod. proc. pen., e quella dell’art. 37, comma 1, d.lgs. 274/2000, il rilievo che il
sistema delineato dalla seconda è inteso proprio ad assicurare, nell’ambito del
procedimento davanti al g.d.p., un doppio grado di merito solo in caso di
statuizioni civili conseguenti ad un’affermazione di penale responsabilità
sanzionata con pena pecuniaria, in deroga a quanto avviene nell’ordinario
processo penale, nel quale le sentenze applicative della sola pena dell’ammenda
sono e restano inappellabili, ai sensi dell’art. 593 ult. co . cod. proc. pen., pur
ove contengano anche la condanna dell’imputato o del responsabile civile al
risarcimento dei danni in favore della parte civile.
In altre parole, la finalità perseguita dal legislatore del 2000 è quella di
differenziare l’ambito di appellabilità delle sentenze del g.d.p. rispetto a quanto
avviene nel rito ordinario (diversamente, gli sarebbe bastato mantenere sic et
simpliciter il regime di inappellabilità di cui all’art. 593 cod. proc. pen.), per certi

versi restringendolo (rendendo inappellabili le condanne alla sola multa), per
altro verso ampliandolo (rendendo appellabili le condanne alla sola ammenda
accompagnate da conseguenti statuizioni civili), in tal modo individuando il
criterio identificativo del tipo di impugnazione in caso di pena pecuniaria (multa
od ammenda) nell’essere o non la condanna accompagnata da statuizioni civili:
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suoi effetti alla pronuncia di condanna alle restituzioni, al risarcimento dei danni

non a caso il procedimento penale innanzi al g.d.p. si caratterizza per
l’inserimento di elementi misti che evocano più il rito civile che quello penale.
4. D’altro canto, ritenere che l’espressione che si legge nel comma 2° del
cit. art. 37 (“…se impugna il capo relativo alla condanna, anche generica, al
risarcimento del danno”) renda la sentenza appellabile solo se l’impugnazione è
espressamente estesa anche ai capi civili produrrebbe la singolare conseguenza
di prevedere tre gradi di giudizio se, ad esempio, l’imputato si duole della mera

determinativa di danno (id est: il fatto reato) senza avere cura di aggiungere, a
mo’ di mera clausola di salvaguardia, che le censure da lui svolte si estendono
anche alla conseguente pronuncia adottata sul piano civilistico.
5. L’esito interpretativo invece qui condiviso e che conduce a ritenere
appellabili tutte le sentenze del g.d.p. che, oltre a condannare ad una pena
pecuniaria,

contengano

altresì

statuizioni

risarcitorie

(ove,

s’intende,

l’impugnante non si limiti a contestare specie od entità della pena, ma censuri
l’affermazione di penale responsabilità) è avvalorato anche dalla motivazione di
Corte cost. n. 426/2008, che nel dichiarare non fondata la questione di
legittimità dell’art. 37, comma 1, cit. d.lgs., in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost.
dà atto che l’espressione “quelle che applicano la sola pena pecuniaria” che si
legge nell’art. 17, comma 1, lett. n), della legge delega n. 468/99, si riferisce
alle pronunce che rechino esclusivamente tale condanna, non accompagnata da
statuizioni civili. A ciò la Corte cost. perviene non solo in virtù del rilievo che la
regola generale — riguardo alle sentenze del g.d.p. — è quella dell’appellabilità,
di guisa che le relative eccezioni sono di stretta interpretazione, ma anche in
ragione della ratio legis come emergente dai lavori preparatori della legge delega
e dalla relazione ministeriale al d.lgs. n. 274/2000, in cui la logica della
semplificazione del rito (anche sul versante delle impugnazioni) giustificata dal
carattere delle competenze penali del g.d.p. (destinate ad esprimersi solo su
reati espressivi di meri microconflitti interpersonali) e dalla minima afflittività
delle sanzioni applicabili, cede il passo a fronte delle statuizioni civili, che
possono avere ad oggetto anche somme largamente superiori all’ordinario limite
di competenza per valore del g.d.p. ed assolvono ad una funzione per certi versi
sostitutiva della pena.
6. In conclusione, nel caso di specie, poiché il Sekkari aveva contestato
l’affermazione di

penale responsabilità,

il gravame deve

intendersi

automaticamente esteso ex art. 574, comma 4, cod. proc. pen., anche al capo
relativo alle statuizioni civili, per l’effetto non incontrando il divieto di appello nei
termini sanciti dall’art. 37, comma 1, seconda parte, d.lgs. n. 274/2000, come
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entità del risarcimento ed invece solo due se nega, a monte, la fattispecie

sopra interpretato.
Dunque, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, la summenzionata
sentenza del g.d.p. era appellabile; né l’impugnazione proposta dal Sekkari può
intendersi come ricorso per saltum ex art. 569 cod. proc. pen., giacché essa
denuncia vizi di merito della decisione di prime cure.
L’ordinanza del Tribunale di Torino del 18 settembre 2014 va annullata e,
qualificato come appello il proposto ricorso, gli atti vanno trasmessi al Tribunale

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza del Tribunale di Torino in data 18.9.2014 e,
qualificato come appello il proposto ricorso, dispone trasmettersi gli atti al
Tribunale di Torino per il relativo giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2015
Il consigliere es nsore

Il presidente

di Torino per il relativo giudizio.

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