Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31663 del 25/02/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31663 Anno 2015
Presidente: NAPPI ANIELLO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CIPRIANI MARIO N. IL 02/01/1976
avverso la sentenza n. 506/2011 CORTE APPELLO di MESSINA, del
27/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 25/02/2015

Io

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Gabriele MAZZOTTA, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 27 gennaio 2014 la Corte di Appello di Messina ha confermato la
pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale della stessa città in data 19 febbraio 2009, con
la quale Mario CIPRIANI era stato condannato per il reato di cui all’art. 485 cod. pen., per aver
formato un falso contrassegno assicurativo della UNIPOL s.p.a per l’autovettura tg A3357JK in

2. Ha proposto ricorso l’imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Ha censurato in primo luogo la sentenza nella parte in cui ha ritenuto di confermare
l’affermazione di responsabilità in ragione della contumacia e quindi della conseguenziale
rinuncia a fornire qualsiasi giustificazione circa la condotta contestata.
Il ricorrente poi lamenta la carenza di elementi probatori dai quali desumere una
partecipazione all’attività di contraffazione del tagliando ovvero la sussistenza del dolo, non
essendo egli proprietario del mezzo, bensì la moglie.
Censura, inoltre, la sentenza nella parte in cui non ha valutato la possibilità di riqualificare il
fatto ai sensi dell’art. 489 cod. pen.
Deduce inoltre violazione di legge ed omessa motivazione in ordine alla mancata concessione
delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. Va premesso che alcuni motivi dedotti in questa sede reiterano quelli già proposti in appello
avverso la pronunzia di primo grado; e l’esame della sentenza d’appello consente di ritenere
che su di essi è stata fornita adeguata, congrua e logica risposta in motivazione, con la quale,
peraltro, la Corte territoriale ha specificamente e correttamente affrontato anche le questioni di
diritto poste dal ricorrente in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 485 cod. pen. (si
vedano in materia, Sez. 2, n. 22906 del 16/05/2012, Brogi, Rv. 252997; Sez. 5, n. 35090 del
22/04/2010, Gullo, Rv. 248396; Sez. 2, n. 16566 del 17/03/2009, Stasino, Rv. 244380).
Va ricordato che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso
il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di motivi che, a pena di
inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di
diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
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suo uso.

specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del
merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013 – dep. 21/02/2013, Leonardo e altri, Rv. 254584). Risulta pertanto
di chiara evidenza che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in esame- a riprodurre il
motivo d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la
critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il
provvedimento impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica argomentata, è di
fatto del tutto ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n.

2005, Giagnorio, rv. 231708).
In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello può essere presente nel
motivo di ricorso solo quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si riferisca al provvedimento impugnato
con il ricorso e che si confronti con la sua integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti,
Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 34521 del
27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
Nel caso in esame il ricorso, per quanto già accennato, si limita a ribadire le contestazioni
mosse in appello alla sentenza di primo grado, senza tener conto del tenore effettivo della
sentenza impugnata e della argomentazioni espresse per superare i rilievi.
2. Va giusto precisato, con riferimento ai motivi di ricorso con i quali si contesta l’affermazione
di responsabilità, che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non
consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la
modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia inalterata la natura del
controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla
motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal
testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente
indicati; è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza
allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo
oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. Attraverso
l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa, si consente nel giudizio
di cassazione di verificare la correttezza della motivazione. Più approfonditamente, si è
affermato che la specificità dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., dettato in tema di ricorso per
Cassazione al fine di definirne l’ammissibilità per ragioni connesse alla motivazione, esclude
che tale norma possa essere dilatata per effetto delle regole processuali concernenti la
motivazione, attraverso l’utilizzazione del vizio di violazione di legge di cui al citato articolo,
lett. c). E ciò, sia perché la deducibilità per Cassazione è ammessa solo per la violazione di
norme processuali stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, sia
3

22445 del 8 maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio

perché la puntuale indicazione di cui al punto e) ricollega ai limiti in questo indicati ogni vizio
motivazionale; sicché il concetto di mancanza di motivazione non può essere utilizzato sino a
ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici
elementi probatori (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).
Tanto premesso, occorre rilevare che i motivi proposti dal ricorrente si limitano a censurare la
sentenza impugnata che avrebbe ritenuto sussistente la sua responsabilità in mancanza di
prove in ordine alla sua partecipazione alla condotta falsificatrice del contrassegno. Quanto
dedotto però appare finalizzato meramente ad una rilettura delle emergenze processuali, senza

sentenza impugnata proprio nella valutazione delle fonti di prova.
Giova, a tal proposito, precisare che in sede di legittimità non è consentita una diversa lettura
ed interpretazione delle risultanze processuali finalizzata alla ricostruzione dei fatti. Né la Corte
di cassazione può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se
riprodotte nel provvedimento impugnato. Solo l’argomentazione critica che si fonda sugli
elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere
sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza
alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6,
n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella).
Peraltro, l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la motivazione
sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza.
Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo
grado, sicché vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando
ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo
e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio
di travisamento può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente
rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è
stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del
provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi e altro, Rv.
258438).
3. Del tutto generico è il motivo relativo al diniego delle attenuanti ex art. 62 bis cod. pen. e
alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
Peraltro, i giudici di merito nel determinare la pena e nel negare le attenuanti generiche hanno
fatto specifico riferimento agli elementi considerati.
Va evidenziato in proposito che nel determinare la pena e nel motivare il diniego della
concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione
tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è
sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo

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alcuna effettiva considerazione degli elementi evidenziati e degli argomenti spesi nella

,

,

..

tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule,
Rv. 259899).
4. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità

segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro
1000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2015

5

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