Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31653 del 26/01/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 31653 Anno 2015
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VACCALLUZZO GIUSEPPE N. IL 09/07/1964
avverso la sentenza n. 1132/2005 CORTE APPELLO di CATANIA, del
02/07/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 26/01/2015

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 2.7.2013 la corte di appello di

data 9.11.2004, aveva

condannato alla pena di giustizia

Vaccalluzzo Giuseppe, imputato dei reati di cui agli artt. 81, cpv.,
624, 625, n. 7, c.p.; 9 co. 1, I. 1423/56,
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento,

l’imputato

ha

proposto,

personalmente,

tempestivo ricorso per cassazione, con cui lamenta violazione di
legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata sotto
diversi aspetti.
Evidenzia, in particolare, il ricorrente: 1) che si procede per tre
distinte ipotesi di furto, aventi ad oggetto due segnali stradali del
comune di Santa Venerina, un tondino di rame in uso all’ENEL,
ventiquattro collari metallici in uso alla SIRTI, beni, tuttavia, da
considerare res derelictae, non essendone stato denunciato il
furto e non essendo stato sorpreso l’imputato, che trasportava i
beni in questione sulla propria moto “Ape”, in possesso di arnesi
atti all’asportazione o allo scasso; peraltro, rileva il ricorrente,
avendo la stessa corte territoriale affermato che il tondino ed i
collari sono stati asportati da luoghi recintati e muniti di cancello,
se ne deduce l’impossibilità di configurare l’aggravante
dell’esposizione per necessità e consuetudine alla pubblica fede,
con conseguente impossibilità di procedere per tali ultimi furti in
difetto di querela; 2) l’intervenuta estinzione per prescrizione del
reato di cui all’art. 9, co. 1, I. 1423/56, già consumatasi prima
della pronuncia della sentenza di secondo grado; 3) difetto di

Catania confermava la sentenza con cui il tribunale di Catania, in

motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva ed al
mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art.
62, n. 4, c.p. e delle circostanze attenuanti generiche; 3)
l’erronea determinazione della pena, in quanto l’aumento previsto

cumulo ex art. 81, cpv., c.p., e non sulla pena inflitta per il reato
più grave.
3.

Il ricorso va accolto, essendo fondati i motivi che lo

sostengono.
4. Fondato appare, innanzitutto, il motivo sub n. 2).
Ed invero va rilevata l’intervenuta estinzione per prescrizione del
delitto di cui all’art. all’art. 9, co. 1, I. 1423/56, punito, all’epoca
dei fatti per cui si è proceduto, con la pena edittale dell’arresto da
tre mesi ad un anno.
Trattandosi, pertanto, di reato commesso il 10.2.2003, alla luce
della disciplina di cui agli artt. 157 e ss., c.p., antecedente alle
modifiche apportate dall’art. 6, co. 1, I. 5 dicembre 2005, n. 251,
applicabile nel caso concreto, il relativo termine di prescrizione,
nella sua estensione massima, considerati cioè gli atti interruttivi
intervenuti (termine pari a quattro anni e sei mesi), ed in assenza
di cause di sospensione del relativo decorso, risulta perento il
10.8.2007.
Di conseguenza, ben potendo il giudice di legittimità rilevare,
anche d’ufficio, la prescrizione del reato maturata prima della
pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice
d’appello, pur se non dedotta in quella sede (cfr.,

ex plurimis,

Cass., sez. III, 30/01/2014, n. 14438, rv. 259135), essa va
rilevata in questa sede di legittimità, non risultando, peraltro,
nessuna delle ipotesi previste dall’art. 129, co. 2, c.p.p., che

2

per la recidiva è stato applicato sulla pena inflitta all’esito del

imporrebbero una pronuncia più favorevole nei confronti
dell’imputato.
5. Del pari fondato deve ritenersi il motivo di ricorso sub n. 1).
La motivazione della sentenza impugnata presenta, infatti,

Non può, infatti, non rilevarsi, con particolare riferimento al furto
dei ventiquattro collari metallici in precedenza indicati, che
l’affermazione della corte territoriale, secondo cui i beni in
questione erano stati asportati dal deposito della “Sirti”, recintato
e munito di cancello (cfr. pp. 3 e 4), appare non coerente, sotto il
profilo logico-giuridico, con la contestuale affermazione della
sussistenza della circostanza aggravante di avere avuto, il furto,
ad oggetto beni per consuetudine o necessità esposti alla pubblica
fede.
La ragione dell’aggravamento della pena previsto per la
circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7, c.p., infatti, è data
dalla volontà di apprestare una più energica tutela penale a quelle
cose mobili che sono lasciate dal possessore, in modo permanente
o per un certo tempo, senza diretta e continua custodia, per
necessità o per consuetudine, e che perciò possono essere più
facilmente rubate (cfr. ex plurimis, Cass., sez. IV, 07/11/2007, n.
5113), circostanza che la presenza di una recinzione e di un
cancello a protezione del luogo privato dove le cose sono
custodite potrebbe, di fatto, impedire (cfr. Cass., sez. V,
16/09/2008, n. 41375, rv. 242593).
Con riferimento al furto del tondino di rame sottratto all’ENEL,
invece, la motivazione della sentenza impugnata appare
fortemente lacunosa, in quanto, premesso che secondo la corte
territoriale il tondino di rame rinvenuto nella disponibilità

3

/-

evidenti lacune e illogicità, che ne inficiano la coerenza interna.

dell’imputato è stato sottratto da una più ampia partita (cfr. p. 4),
non è possibile, dalla lettura della sentenza, individuare il percorso
logico-giuridico seguito dai giudici di merito (sul punto la decisione
oggetto di ricorso ricalca in sostanza quella di primo grado) per

625, co. 1, n. 7, c.p.
Con riferimento al furto dei due cartelli stradali del comune di S.
Venerina, infine, l’assunto accusatorio si fonda sul presupposto
che l’imputato se ne sia impadronito, asportandoli dalla propria
sede stradale; assunto, tuttavia, indimostrato, mancando, al
riguardo, una descrizione dello stato di conservazione dei cartelli
(la cui rimozione avrebbe dovuto lasciare delle tracce facilmente
percepibili) ed avendo il ricorrente formulato un’ipotesi alternativa
in ordine alla natura di rottami di tali beni, non meramente
congetturale, ma fondata su due dati di fatto: il mancato
rinvenimento da parte degli agenti operanti che fermarono il
Vaccaluzzo a bordo del suo veicolo di arnesi atti alla rimozione
ovvero allo scasso, nonché la mancanza di denuncia di furto da
parte dei competenti uffici comunali, cui i cartelli appartenenvano.
4. Sulla base delle svolte considerazioni l’impugnata sentenza va
annullata, senza rinvio, relativamente al reato di cui all’art. 9, I.
1423/56, perché estinto per intervenuta prescrizione; con rinvio,
relativamente agli altri reati ad altra sezione della corte di appello
di Catania, per un nuovo esame, finalizzato a colmare le lacune ed
a risolvere le incongruenze motivazionali innanzi indicate,
dovendosi ritenere assorbite nei motivi accolti tutte le altre
questioni prospettate dal ricorrente.
P.Q.M.

4

ritenere la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato
di cui all’art. 9, I. 1423/56, perché estinto per intervenuta
prescrizione; annulla la stessa sentenza relativamente agli altri
reati con rinvio alla corte di appello di Catania, altra sezione, per

Così deciso in Roma il 26.1.2015

un nuovo esame.

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