Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31650 del 18/11/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 31650 Anno 2015
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
POMPOSO GIULIA N. IL 24/07/1975
PALOMBA RAFFAELE N. IL 25/05/1977
PALOMBA DONATO N. IL 03/08/1974
VITIELLO ANNA MARIA N. IL 10/11/1950
PALOMBA CIRO N. IL 19/11/1956
avverso la sentenza n. 3147/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
22/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/11/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha_concluso per

Ud. ,
Uditi

a e civi e,

vv

Data Udienza: 18/11/2014

udito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Eduardo Vittorio Scardaccione, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori della ricorrente Pomposo Giulia, avv. Francesco Maria Morelli, e
degli altri ricorrenti, avv.to Gaetano Laghi, che hanno concluso riportandosi ai
ricorsi, chiedendo l’accoglimento di essi
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 22 febbraio 2013 la Corte d’Appello di Napoli ha
confermato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 25.6.2009, con la

Pomposo Giulia erano stati condannati alla pena di giustizia – in concorso con
Palomba Aniello, deceduto nelle more del giudizio di primo grado,
amministratore dal 18.6.2001 e liquidatore dal 3.6.2002 della Italian Shoes
s.r.I., dichiarata fallita in data 19.6.2003- rispettivamente per i reati:
– Palomba Ciro, quale amministratore della Italian Shoes s.r.I., dal 1997 al
18.6.2001, di bancarotta fraudolenta documentale, avendo tenuto i libri e le
scritture contabili della fallita in guisa tale da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita (capo A/1),
nonché di cui agli artt. 110 c.p., 223 co. 2 n. 2 R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (capo
B) per avere, in concorso con gli altri imputati e nella qualità, cagionato, ovvero
concorso a cagionare, il fallimento della società con dolo o, comunque, per
effetto di operazioni dolose, mediante le condotte a lui ascritte al capo A);
-Palomba Donato, Palomba Raffaele, Vitiello Anna Maria e Pomposo Giulia, di
bancarotta fraudolenta per distrazione di beni, o somme di denaro della società
(capo A n. 2), nonché di cui agli artt. 110 c.p., 223/2 n. 2 R.D. 16 marzo 1942 n.
267 (capo B), per avere, in concorso tra loro, cagionato ovvero concorso a
cagionare il fallimento della società, con dolo o, comunque, per effetto di
operazioni dolose, mediante le condotte a ciascuno ascritte al capo A/2 .
1.1.Nella sentenza impugnata è stato evidenziato, tra l’altro, che sulla base
dei risultati della consulenza disposta dal P.M. e dalle dichiarazioni dibattimentali
del medesimo consulente, dott. ssa Acampora, la situazione di insolvenza della
società Italian Shoes s.r.l. era, sin dall’anno 2000, ormai, ad un punto di non
ritorno e, in tale situazione, gli imputati iniziarono a trasferire le attività sociali a
prestanome, o ad altre società operanti nell’ambito della famiglia Palomba; tutte
le attività sociali, con diversa intestazione/denominazione, ma aventi lo stesso
oggetto (commercio all’ingrosso e al dettaglio di calzature e articoli di
pelletteria), vennero fatte confluire, poi, nell’amministrazione di Palomba Aniello;
in proposito andava ritenuta illuminante la deposizione del teste Siglioccolo,
nella parte in cui dichiarava che “Palomba Aniello possedeva nella borsa venti
carnet di dieci aziende diverse, anche se intestate a terze sersone lui era la
1

quale Palomba Oro, Palomba Donato, Palomba Raffaele, Vitiello Anna Maria e

mente dominante”; inoltre il teste, avv. Napoletano, aveva riferito che Palomba
Aniello aveva addirittura gestito tutte le società in termini unitari, come se si
trattasse di un’unica azienda

“parlava di gestione delle aziende della sua

famiglia, di negozi, e parlava di tutti i negozi, però poi, andando a vedere nei
documenti, risultava che il negozio stava a via Nazionale – per esempio – ed era
una società, un’altra…. io non riuscivo inizialmente a capire che erano più
società, diverse aziende e lui, insomma, in tutti i piani entrava”.
2. Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione,

2.1. Palomba Ciro, con il ricorso a mezzo del suo difensore, lamenta la
ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per
erronea applicazione dell’art. 216 L. Fall. ed erronea qualificazione del fatto
quale bancarotta fraudolenta, anziché semplice, nonché omessa motivazione in
ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi dei reati ascrittigli ai capi Al) e
B); in particolare, la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che le condotte
omissive individuate in sentenza configurano gli estremi della bancarotta
fraudolenta documentale, atteso che nei libri e nei bilanci redatti fino al 2000 e
giugno 2001 non vi era contezza della impossibilità di recupero dei crediti,
essendo le società creditrici della “Italian Shoes” fallite solo nell’autunno del
2000, o, comunque, essendo stata in tale epoca rigettata la richiesta della
società di insinuazione nel loro fallimento, di guisa che, nel periodo di interesse, i
crediti di difficile recupero per la “Italian Shoes” non erano ancora certamente
“perdite su crediti”; il consulente del P.M. ha ricostruito le irregolarità nei libri
contabili sulla base delle annotazioni ivi contenute, contestando e rilevando
errori metodologici effettuati nell’attribuzione del valore delle merci in giacenza,
o consistenti nella genericità dell’indicazione delle stesse, ma ha ben potuto
ricavare, proprio attraverso la correzione delle irregolarità, il movimento degli
affari ed il patrimonio sociale fino al 2001, sicchè non vi è stata l’impossibilità di
ricostruzione dell’attivo, avvenuta sulla base dei dati presenti nelle scritture,
attraverso l’applicazione di altre e senz’altro più corrette metodologie di calcolo;
anche a voler considerare che l’imputato, affidando ad un tecnico l’attività
“contabile” della società, avrebbe dovuto effettuare adeguati controlli, tale
omissione comporta una culpa in vigilando e non il dolo del delitto di cui all’art.
216 L.Fall., che sebbene non debba essere specifico, implica che sia chiara e
certa la prova della consapevolezza dell’amministratore di diritto che la tenuta
irregolare delle scritture implicherà il difetto della ricostruzione del patrimonio
sociale; non viene indicato in sentenza, da quali fatti o circostanze la Corte ha
desunto che il Palomba abbia avuto, nel periodo in cui era amministratore, la
consapevolezza che la tenuta irregolare delle scritture fino 2001 (giugno)
2

specificamente,

fosse tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio sociale, ammesso e
non concesso che fosse realmente impossibile; per il capo B) la condanna del
ricorrente si basa sulla mera presunzione che la condotta di bancarotta
documentale attribuita sino al giugno 2001, oltre ad essere dolosa, abbia anche
cagionato il dissesto e, quindi, il fallimento della società, senza che, però, siano
state spiegate in sentenza in maniera adeguata e precisa le ragioni per cui possa
ritenersi accertato che il dissesto finanziario della società “Italian Shoes” sia da
attribuirsi alla condotta rimproverata all’imputato, ponendosi, quindi, il fallimento

2.2. Palomba Donato, Palomba Raffaele, Vitiello Anna Maria, con il ricorso a
mezzo del loro difensore, lamentano la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606,
primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., per erronea applicazione dell’art. 216 L.Fall.
e dell’art. 110 c.p., nonchè per omessa motivazione circa la sussistenza degli
elementi costitutivi dei reati loro rispettivamente attribuiti al capo a2) punti 1, 2,
3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e B); agli imputati è stata rispettivamente ascritta la condotta
dell’aver concorso, mediante operazioni commerciali, nelle condotte distrattive
dell’amministratore della Italian Shoes, tra il 2001 ed il 2002, ricevendo beni di
tale società ed essendo a loro volta amministratori di società, ma la sentenza
impugnata non ha accertato il dolo del singolo extraneus nell’ambito del reato di
bancarotta per distrazione; sul punto la sentenza si limita ad asserire che
Palomba Donato era amministratore della società “Mondo Scarpa” che ha
ricevuto beni, in merci, per euro 44.122,26, dalla società in dissesto, ma tale
circostanza non è sufficiente, occorrendo che in capo al percettore dei beni,
quale concorrente nel delitto di bancarotta per distrazione, sia configurabile la
certezza della conoscenza del dissesto e di decozione dell’impresa da cui
provengono i beni ricevuti; nel caso di specie, i giudici di merito hanno omesso
l’accertamento sulla consapevolezza di Palomba Donato, Palomba e Vitiello Anna
Maria circa lo stato di grave crisi della società Italian Shoes, da cui avevano
ricevuto il denaro, le merci o i beni (tra l’altro non gratuitamente, ma attraverso
legittime operazioni commerciali o traslazioni a titolo di lucro), né è possibile
presumere, che lo stato di dissesto della società doveva necessariamente essere
noto agli amministratori delle società riceventi, in quanto familiari di Palomba
Aniello, amministratore della società in dissesto; la sentenza si limita ad asserire
che tutte le operazioni fraudolente hanno volutamente aggravato la decozione
dell’impresa, senza, però, che la predetta volontà sia stata oggetto di puntuale
accertamento e, comunque, la Corte territoriale non spiega compiutamente
neanche il motivo per cui proprio le condotte contestate ai ricorrenti abbiano
cagionato il dissesto e, quindi, il fallimento della società “Italian Shoes”;

3

come diretta conseguenza di essa;

2.3.- Pomposo Giulia, con il ricorso a mezzo del suo difensore, lamenta la
violazione ed erronea applicazione della legge fallimentare, in riferimento all’art.
216 L.Fall. e agli artt. 40 e 42 c.p., nonché per contraddittorietà o manifesta
illogicità della sentenza, così come risulta dal testo della stessa; in particolare, ai
fini della corretta configurabilità del reato di bancarotta patrimoniale, o per
distrazione, è richiesto che nei confronti di colui il quale sia stato ritenuto una
“testa di legno” debba essere ipotizzabile un quid pluris, non essendo sufficiente
ad integrare l’elemento psicologico della bancarotta, il mero formale contributo al

che investa i singoli episodi di distrazione; tale considerazione si collega anche
alla parte motiva della impugnata sentenza ove si legge: ” le considerazioni sin
qui svolte permettono di escludere nel modo più assoluto che si possa ricondurre
le condotte degli imputati ad un’ipotesi di bancarotta semplice, attesa la notevole
reiterazione di condotte di sottrazione di beni alle garanzie dei creditori,
unitamente alla donazione spasmodica di società palombiane “;

l’assunto in

questione sembrerebbe valutare la possibilità di una diversa qualificazione
giuridica dei fatti (riconducibili ad una bancarotta semplice) che appare essere
stata esclusa sulla scorta della ritenuta reiterazione di condotte distrattive, ma,
se la ritenuta reiterazione delle condotte distrattive, costituisce l’unico elemento
ostativo alla invocata diversa qualificazione giuridica dei fatti, tale considerazione
è manifestamente illogica, nella misura in cui alla ricorrente è stata contestata
un’unica condotta distrattiva e che diversamente le ripetute condotte e le
riportate considerazioni sulle stesse sono contestate e possono avere la giusta
rilevanza esclusivamente per la posizione di Palomba Aniello, unico imputato
consapevole della pluralità delle stesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di Palomba Ciro va respinto, mentre vanno accolti, limitatamente al
reato di cui al capo B), i ricorsi di Pomposo Giulia, Palomba Raffaele, Palomba
Donato, Vitiello Anna Maria, con rigetto di essi nel resto.
1. Va preliminarmente evidenziato che la sentenza di primo grado e quella di
appello concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova, posti
a fondamento delle rispettive decisioni, sicchè le strutture motivazionali delle due
sentenze si saldano, così integrando un unitario corpo argornentativo.
Giova richiamare in proposito il principio secondo cui non sussiste mancanza o
vizio di motivazione allorquando il giudice di secondo grado, in conseguenza
della ritenuta completezza e correttezza dell’indagine svolta in primo grado,
confermi la decisione del primo giudice. In tal caso, le motivazioni della sentenza
di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda,
confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso
4

perfezionarsi della distrazione, bensì una specifica e comprovata consapevolezza

fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. In questa
prospettiva, nella motivazione della sentenza il giudice di appello non è tenuto a
compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in
esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece
sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e
risultanze, spieghi logicamente le ragioni che hanno determinato il suo
convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo, nel
qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive,

la decisione adottata (Sez. VI, n. 49970 del 19/10/2012).
2. Tanto precisato si osserva che a Palomba Ciro, amministratore della società
Italian Shoes s.r.l. dal 7.1.97 al 18.6.2001- data dalla quale subentrava il fratello
Palomba Aniello, che svolgeva nell’ultimo periodo, sino al fallimento, il ruolo di
liquidatore della società- risultano ascritti i reati di bancarotta fraudolenta
documentale e per operazioni dolose.
2.1. Quanto al reato di bancarotta fraudolenta documentale, va premesso che
l’imputato non ha contestato tutti gli elementi di responsabilità a suo carico,
come descritti in imputazione e già dagli elementi non censurati si ricava dalle
sentenze di merito, senza illogicità, la ricorrenza del reato in questione.
Tanto premesso, si osserva che a Palomba Ciro, in concorso con il fratello
Palomba Aniello, poi deceduto, è stata innanzitutto contestata la condotta
dell’aver indicato nei bilanci 2001 e 2002 una serie di crediti inesigibili o almeno
in parte inesistenti (dati questi conseguentemente confluiti nel bilancio
fallimentare), così da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del
movimento degli affari e segnatamente: un credito risalente all’anno 1998 di C
128.295,58 nei confronti di Stalder Pina, impresa per la quale la Guardia di
Finanza aveva accertato che non esisteva alcuna attività, risalendo l’ultima
dichiarazione fiscale al 1999 ed avendo la società liquidato l’attivo, estinguendo i
debiti; un credito di C 18138,77 nei confronti del Calzaturificio Zucchero Filato,
per il quale il curatore del fallimento di tale ultima società, in data 30.10.2000,
comunicava il rigetto dell’ammissione al passivo, senza che avverso tale
provvedimento venisse proposta opposizione; un credito di C 580.573,88 nei
confronti della Parking 44, per il quale la domanda di insinuazione al passivo del
fallimento della società comunicato già in data 31.8.2000 non sortiva effetto
positivo per l’insufficienza dell’attivo; un credito di C 59771,79 nei confronti
della Magic Shoes s.r.I., per il quale veniva accertato dal curatore del fallimento
di tale ultima società che in realtà era di euro 4.310,00, essendo stato il residuo
debito ripianato attraverso una serie di operazioni del 1999-2000, non annotate
nella contabilità; crediti nei confronti dell’erario per più di 20.000,00 euro, che
5

che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con

in realtà non rappresentavano una ragione di credito, essendo in corso un
contenzioso tributario.
A fronte di tali contestazioni il ricorrente

ha dedotto in questa sede

l’insussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, atteso che nei
libri e nei bilanci redatti fino al giugno 2001 non vi era contezza della
impossibilità di recupero dei crediti, essendo solo nell’autunno del 2000 le
società creditrici della “Italian Shoes” fallite, o avendo rigettato la richiesta della
società di insinuazione nel loro fallimento, sicchè non erano ancora “perdite su

ricostruiti specificamente nella sentenza di primo grado, non contestati dal
ricorrente. Infatti, come detto, il credito nei confronti di Stalder Pina, risale al
1998 e già nel 1999 non si registrava più alcuna attività dell’impresa in
questione, sicchè tale credito non risultava essere più recuperabile dalla Italian
Shoes, od ancora il credito nei confronti della Magic Shoes in realtà ammontava
ad euro 4.310,00 e non ad C 59771,79, essendo stato già quasi del tutto
soddisfatto, nel 1999-2000, senza alcuna contabilizzazione del pagamento
parziale, od ancora i crediti nei confronti dell’erario per i quali sussisteva
contenzioso tributario.
2.1.1. I giudici di merito, nel considerare l’inattendibile contabilità della Italian
Shoes hanno in proposito, senza illogicità, rilevato che se la società al
31.12.2000 avesse effettivamente esposto le suddette perdite su crediti per lire
1.159.269.342 avrebbe registrato una perdita di esercizio pari a lire
1.463.417.719, anziché a lire 304.148.377, sicchè la perdita effettiva avrebbe
azzerato il valore del patrimonio netto, rendendo visibile il reale stato in cui
versava la società; viceversa la falsa rappresentazione patrimoniale ed
economica della società aveva reso possibile la continuazione dell’attività sociale,
con l’omissione della reintegrazione del capitale -che sarebbe stata imposta
dall’art. 2447 c.c.- così da ritardare la dichiarazione di fallimento al 13.6.2003.
La sopravvalutazione delle attività della società con le false appostazioni dei
crediti in bilancio non recuperabili od inesistenti, pertanto, correttamente è stata
ritenuta integrante il profilo oggettivo della fattispecie di bancarotta fraudolenta
documentale, fattispecie questa che ben può concorrere con la
bancarotta fraudolenta impropria (Sez. 5, n. 7293 del 28/05/1996).
2.1.2 I giudici di merito hanno, poi, messo in risalto che l’inattendibilità
dell’impianto contabile della società emerge altresì dal fatto che non risultavano
riportate in bilancio le retribuzioni di cinque lavoratori in nero e dai verbali di
conciliazione sindacale relativi a tali lavoratori risultano corrisposti importi
maggiori rispetto ai dipendenti inquadrati; inoltre, in contabilità risultava a
riportato un pagamento a favore dei soci di C 40.000,00, che, invece, secondo
6

crediti”, ma ,tale deduzione appare senz’altro smentita dai fatti, come descritti e

quanto dichiarato da Palomba Aniello, era da riferirsi a pagamenti effettuati in
favore di lavoratori saltuari non assicurati presso enti previdenziali; l’inventario
delle merci, poi, non conteneva alcuna classificazione analitica per categorie
omogenee e con attribuzione del valore, sicchè dai bilanci non era possibile
comprendere la quantità effettiva di rimanenze giacenti in magazzino; la
massiccia operazione di rottamazione delle rimanenze posta in essere, poi, dalla
società che aveva comportato il passaggio delle rimanenze da lire
13.295.112.000 (dell’anno 2001) ad euro 1.432.000,00 (dell’anno 2002),

state contabilizzate per un valore superiore a quello effettivo, ovvero una
valutazione di esse al costo di acquisto, sebbene fosse superiore al valore di
realizzo desumibile dall’andamento del mercato, in violazione dell’art. 2426 n. 9
c.c., così da determinare un risultato economico diverso da quello reale.
La sentenza di primo grado ha evidenziato, altresì, come il libro inventari
risultasse mancante delle pagine da 86 a 93 e privo di indicazioni analitiche,
limitandosi a riportare attività e passività in modo del tutto generico e come
fosse stato costantemente utilizzato dalla società il conto cassa e titoli, con
inattendibilità dei valori riportati, come attestato dal fatto che, a fronte di
pagamenti per cassa dichiarati come effettuati in favore di creditori, questi
ultimi interpellati negavano di aver ricevuto pagamenti.
2.1.3. Il ricorrente ha, poi, dedotto come nel caso in esame non si
configurerebbe il reato di bancarotta fraudolenta documentale e segnatamente la
condizione dell’impossibilità di ricostruzione dell’attivo, atteso che il consulente
del P.M., una volta corrette le irregolarità contabili riscontrate ha ricostruito il
movimento degli affari ed il patrimonio sociale fino al 2001, ma tale deduzione è
chiaramente priva di fondamento. Giova richiamare in proposito la
giurisprudenza di questa Corte, secondo cui sussiste il reato di bancarotta
fraudolenta documentale (L. Fall., art. 216, comma 1, n. 2), non solo quando la
ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture
contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli
organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con
particolare diligenza” (Sez. 5^, 18 maggio 2005, Mattia; Sez. 5^, 22 maggio
2000, Piana, m. 218383 Sez. 5 n. 21588 del 19/04/2010). E nel caso in esame
la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari è stata possibile solo
sulla base di informazioni fornite, ad esempio, dai presunti debitori della società
e, comunque, all’esito della consulenza contabile.
2.1.4 Anche le deduzioni relative all’insussistenza dell’elemento psicologico,
essendo al più ascrivibile all’imputato una culpa in vigilando, in dipendenza dell’

7

lasciava intendere che per gli anni precedenti le rimanenze medesime erano

affidamento ad un tecnico della cura della contabilità si presenta destituita di
fondamento.
Questa Corte ha più volte affermato il principio secondo cui il reato previsto
dall’art. 216, comma primo n. 2, L.Fall. richiede il dolo generico, costituito dalla
consapevolezza nell’agente che la confusa tenuta della contabilità potrà
rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo,
per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione
(Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013).

contabilità sia stata affidata ad un soggetto fornito di specifiche cognizioni
tecniche, posto che la qualifica rivestita non esime dall’obbligo di vigilare e
controllare la attività svolta dal delegato (Sez. 5, n. 2055 del 15/12/1993; Sez.
5, n. 11931 del 27/01/2005). Nel caso di bancarotta fraudolenta documentale
deve presumersi che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i
documenti forniti dall’imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una
presunzione iuris tantum, che può essere vinta da rigorosa prova contraria
(Sez. 5, Sentenza n. 2812 del 17/10/2013), prova che nel caso di specie è
completamente mancata,
2.2. A Palomba Ciro risulta, altresì, ascritto il reato di cui al capo B (art. 223/2
n.2. L. Fall.) per aver cagionato o concorso a cagionare con gli altri imputati, il
fallimento della società in quanto, pur in presenza di una perdita di esercizio
pari a lire 1.463.417.719, per la sopravvenuta inesigibilità dei crediti indicati in
riferimento alla bancarotta documentale (ad es. nei confronti delle società
Calzaturificio Zucchero Filato, o Parking 44) comportante l’azzeramento del
capitale sociale, ometteva di esporla nel bilancio al 31.12.2000 e di convocare
l’assemblea dei soci, consentendo così alla società di continuare ad operare,
nonostante dovesse considerarsi in scioglimento automatico per l’azzeramento
del capitale. In proposito, il primo giudice ha rilevato senza illogicità come, in
realtà, nel prolungamento della operatività della Italian Shoes si rinvenivano le
precondizìoni per operare la sottrazione delle risorse ai creditori mediante le
condotte distrattive di cui al capo A2.
La condotta addebitata a Palomba Ciro, in sostanza, si è tradotta in un facere
(ossia far risultare nei bilanci una situazione patrimoniale diversa da quella reale
ostentando crediti per svariati milioni delle vecchie lire, in realtà inesistenti od
inesigibili, sulla base di quanto rilevabile in relazione alla bancarotta fraudolenta
documentale) ed al tempo stesso in omissioni riconducibili al mancato
svolgimento dei doveri sullo stesso incombenti nella qualità di amministratore,
consistenti nella immediata convocazione dell’assemblea dei soci, ai sensi degli

8

L’imprenditore, inoltre, non va esente da responsabilità per il fatto che la

artt. 2446 e 2447 c.c. ovvero degli obblighi di cui agli artt. 2484 e 2485 c.c. in
dipendenza delle “perdite” verificatesi che avevano azzerato il capitale.
Tuttavia, a voler considerare anche solo tale ultimo segmento di condotta, i
giudici di merito hanno correttamente ritenuto che le omissioni del Palomba
integrassero il reato di cui all’art. 223/2 n.2 L. Fall., avendo questa Corte più
volte affermato il principio, secondo cui le operazioni dolose di cui all’art 223,
comma secondo, n. 2, L. Fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o
di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio

economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio
patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto
attivo, bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in
qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una
pluralità di atti coordinati all’esito divisato (Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014;
Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014). Non deve necessariamente trattarsi,
pertanto, di fatti in sè costituenti reato, ma di qualsiasi comportamento del
titolare del potere sociale che, concretandosi in un abuso o in infedeltà delle
funzioni o nella violazione dei doveri derivanti dalla sua qualità, cagioni lo stato
di decozione al quale consegua il fallimento. Consistendo, dunque,
I’ operazione dolosa nel compimento di qualunque atto intrinsecamente
pericoloso per la salute economica e finanziaria dell’ impresa, essa può tradursi
anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non
giustificabile in termini di interesse per l’impresa
(Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014).
Nel caso di specie, l’avere l’amministratore

tenuto una contabilità

inattendibile, preordinata alla protrazione dell’operatività della società, senza
attivare i rimedi (convocazione dell’assemblea dei soci per il ripianamento delle
perdite, ovvero per lo scioglimento della società) per consentire le attività
distrattive di cui al capo A2 costituisce senz’altro comportamento rilevante come
scelta imprenditoriale dolosa, anche in relazione all’attività distrattìva
frattempo posta in essere, che ha comportato

nel

uno stato di irrevocabile

esposizione debitoria della società, tale da comportare, a sua volta, la
dichiarazione di fallimento.
D’altra parte è stato rilevato, in proposito, come

nella

fattispecie di

bancarotta da operazioni dolose, che si sostanzia in un’eccezionale ipotesi di
fattispecie a sfondo preterintenzionale, l’onere probatorio dell’accusa si
esaurisce nella dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore
della complessa azione arrecante pregiudizio patrimoniale nei suoi elementi
naturalistici e nel suo contrasto con i propri doveri a fro degli interessi della
9

della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute”

società, nonché dell’astratta prevedibilità dell’evento di dissesto quale effetto
dell’azione antidoverosa, non essendo invece necessarie la rappresentazione e la
volontà dell’evento fallimentare (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014).
2.2.1. Il ricorrente si duole, in particolare, del fatto che nella sentenza
impugnata non sarebbero stati compiutamente indicati gli elementi attestanti la
sussistenza dell’indispensabile nesso di causalità tra la condotta contestata ed il
fallimento della società “Italian Shoes”, ma tale deduzione è priva di pregio, in
quanto sostanzialmente generica, come in effetti appare evidente, dal momento

precedenza sintetizzata, limitandosi ad un richiamo della nota sentenza n. 47502
del 24/09/2012, imp. Corvetta; richiamo che, a prescindere dal fatto che tale
sentenza è stata poi sconfessata da numerose altre pronunce successive (come
illustrato nella trattazione dei ricorsi proposti dagli altri imputati), appare del
tutto in conferente, trattandosi di pronuncia che riguarda la bancarotta
fraudolenta per distrazione e non la diversa ipotesi di reato di cui il ricorrente è
stato ritenuto responsabile.
3. Infondati si presentano i ricorsi di Palomba Donato, Palomba Raffaele,
Vitiello Anna Maria e Pomposo Giulia, in relazione alle condotte di bancarotta
fraudolenta per distrazione cui al capo A2 a ciascuno ascritte, delle quali
rispondono a titolo di concorrenti estranei nel reato proprio dell’amministratore.
3.1. I ricorrenti non svolgono censure specifiche con riguardo alle attività
materiali poste in essere nelle rispettive qualità, come contestate in imputazione,
ma adducono l’insussistenza dell’elemento psicologico, poiché occorreva
dimostrare la certezza della conoscenza del dissesto dell’impresa da cui
provenivano i beni ricevuti, richiamando sul punto una pronuncia di questa Corte
(Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012), che conforterebbe tale doglianza.
La deduzione non merita accoglimento, atteso che la pronuncia richiamata dai
ricorrenti si presenta isolata a fronte di antecedenti e successive decisioni di
questa Sezione che hanno costantemente escluso la prospettiva del dissesto
dall’oggetto del dolo dei reati di bancarotta, evidenziando che il delitto
di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo genericoconsistente nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una
destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che
possano cagionare danno ai creditori ( Sez. V, 11 novembre 1999, n. 12897,
Tassan Din, in Riv. trim., dir. pen. econ., 2000, p. 477; Sez. V, 20 agosto 2002,
n. 29896, Arienti, in questa rivista, 2003, p. 2789; da ultimo, Sez. V, 2 marzo
2006, n. 7555, De Rosa, in C.E.D. Cass., n. 233413)- per la cui sussistenza,
pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di

10

che non si confronta con la motivazione adottata dai giudici di merito, quale in

insolvenza dell’impresa, nè che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai
creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012; Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014).
Anche recentemente è stato ribadito che ai fini della sussistenza del reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso
causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5,
n. 32352 del 07/03/2014).
3.2. Essendo estraneo il dissesto all’oggetto del dolo del reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione, in quanto elemento non qualificabile come

regolano il concorso di persone nel reato, il soggetto esterno alla struttura
sociale può concorrere nel reato proprio, mediante condotta agevolatrice di
quella dell’intraneus (Sez. V, 19 marzo 1999, n. 6470; Sez. V, 26 giugno 1990,
n. 15850), senza che in tal caso all’elemento psicologico venga attribuito
contenuto diverso e più ampio rispetto a quello che è richiesto all’amministratore
della società.
Giova sul punto richiamare i principi più volte espressi da questa Corte secondo
cui il dolo dell'”extraneus” nel reato proprio dell’amministratore consiste nella
volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'”intraneus”, con la
consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai
danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del
dissesto della società. Ne consegue che ogni atto distrattivo assume rilievo ai
sensi dell’art. 216 L.Fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla
rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato che,
invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che
se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della
consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa
non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l’entità
dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società ( Sez. V,
24/03/2010, n. 16579; sez. V, 13/01/2009, n. 9299).
3.3. Tanto precisato, si osserva che nella fattispecie in esame ben si coglie
dalle modalità delle distrazioni poste in essere da ciascuno degli imputati
mediante “operazioni commerciali fittizie” la volontarietà dell’ apporto alla
condotta dell'”intraneus”, con la consapevolezza di determinare un
depauperamento del patrimonio sociale in danno dei creditori.
Sullo sfondo di tali operazioni le sentenze di merito hanno innanzitutto, senza
illogicità, valorizzato le circostanze, messe in risalto anche dai testi escussi,
secondo cui le società amministrate dai familiari di Palomba Aniello, cessionarie
dei beni elencati nel capo A2, in realtà erano state create da Palomba Aniello

11

costitutivo del reato di bancarotta patrimoniale, sulla base dei principi che

”che possedeva nella borsa venti carnet di dieci aziende diverse, anche se
intestate a terze persone, lui era la mente domínante”e le gestiva tutte.
In tale contesto le plurime cessioni o dissipazioni di merci, beni, diritti, rami
d’azienda della Italian Shoes -senza un reale corrispettivo- proprio alle società
endofamiliari, ovvero a componenti della famiglia Palomba sono state ritenute
correttamente rappresentative della consapevolezza degli estranei di contribuire
con l’intraneus al depauperamento del patrimonio sociale in danno .
Gli elementi in base ai quali è stata ritenuta la fittizietà delle operazioni

non sono state specificamente censurate dai ricorrenti (cfr. ad esempio le merci
del valore di € 44.122,26 cedute senza un effettivo corrispettivo alla Mondo
Scarpa s.a.s. di Palomba Donato, ovvero la fornitura merci del valore di €
231.509,20, anch’essa senza effettiva contropartita, alla Boutique della Scarpa di
Vitiello Anna Maria, moglie di Aniello Palornba, ovvero le cessioni dei rami
d’azienda alla medesima Vitiello ed a Pomposo Giulia, nuora di Palomba Aniello,
e moglie di Palomba Donato, per un prezzo di gran lunga inferiore al valore
effettivo), e dalla fittizietà di operazioni commerciali, come detto, questa Corte
ha ritenuto può ricavarsi la consapevolezza che l’operazione medesima incide
negativamente sul patrimonio della società.
3.4.- Pomposo Giulia ha dedotto, altresì, che illogica si presenterebbe la
motivazione dei giudici di appello che hanno escluso la ricorrenza nella
fattispecie in esame della bancarotta semplice sulla base della ritenuta
reiterazione di condotte distrattive, sebbene la condotta distrattiva a lei
contestata sia unica. Tale deduzione è priva di fondamento, estrapolando da un
contesto più ampio il ragionamento della Corte territoriale che nel riferirsi alla
inconfigurabilità nella vicenda in esame della fattispecie della bancarotta
semplice ha messo in risalto come la complessiva operazione di spoliazione dei
beni della società da parte dell’amministrazione della società con il concorso
degli “estranei” in ciascuna delle attività distrattive, in uno agli accorgimenti
contabili descritti, rendesse fuori luogo l’ingresso della fattispecie più lieve
invocata.
4. I ricorsi di Palomba Donato, Palomba Raffaele, Vitiello Anna Maria e
Pomposo Giulia vanno, invece, accolti con riguardo al capo B), non avendo le
sentenze di merito adeguatamente motivato in merito al nesso di causalità tra le
operazioni dolose contestate a ciascuno dei ricorrenti e l’evento, espressamente
previsto dal disposto di cui all’art. 223/2 n. 2 L. Fall.
4.1. Premesso che in tema di bancarotta c.d. impropria, la particolare
fattispecie di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
riguardante, tra gli altri, gli amministratori, che hanno cagionato con dolo o per

12

attraverso le quali sono state realizzate le “cessioni” da parte della Italian Shoes

effetto di operazioni dolose il fallimento della società, si applica anche
nell’ipotesi in cui la condotta abbia aggravato una situazione di dissesto già
esistente (Sez. V, 28/03/2003, n. 19806) e che, dunque, non interrompono il
nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare, né la
preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo
la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., né l’aggravamento di un
dissesto già in atto (Sez. 5, n. 38728 del 03/04/2014), alla stregua di tali

dell'”extraneus”, beneficiario delle operazioni, gli elementi in base ai quali si
ricava che quest’ultimo fosse consapevole del rischio che le suddette operazioni
determinavano nell’equilibrio economico della società, non essendo invece
necessario che l’extraneus abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi
(Cassazione penale, sez. V, 08/02/2012, n. 11624).
L’avere cagionato con operazioni dolose il fallimento della società richiede
infatti, la prefigurazione che l’operazione incriminata determini uno squilibrio
economico della società, con la probabile diminuzione della garanzia dei
creditori, prefigurazione questa ben più ampia e generale rispetto a quella che
accompagna la condotta distrattiva, perché attiene agli aspetti della vita
economica della società nel suo complesso e nel contempo più stringente,
perché richiede la proiezione dell’incidenza dell’operazione dolosa posta in essere
dal concorrente extraneus anche solo in termini, come detto, di aggravamento
del dissesto.
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha motivato limitandosi a ritenere
che le operazioni fraudolente poste in essere dai concorrenti “estranei” abbiano
in sé aggravato il dissesto della Italian Shoes, senza dar conto di quanto sopra
detto.
5.La sentenza impugnata, pertanto, va annullata nei confronti di Pomposo
Giulia, Palonnba Raffaele, Palomba Donato, Vitiello Anna Maria, limitatamente al
reato di cui al capo b), con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione
della Corte d’Appello di Napoli, mentre vanno rigettati nel resto i ricorsi dei
predetti ed in toto quello di Palomba Ciro, che va condannato al pagamento
delle spese del procedimento.

p.q.m.

annulla la sentenza impugnata nei confronti di Pomposo Giulia, Palomba
Raffaele, Palomba Donato, Vitiello Anna Maria, limitatamente al reato di cui al
capo b), con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte

13

principi i giudici di merito avrebbero dovuto indicare, ai fini del concorso

d’Appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti ed in toto quello di
Palomba Ciro che condanna al pagamento delle spese del procedimento

Così deciso il 18.11.2014

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA