Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31648 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31648 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Pierantozzi Massimiliano, nato a San Benedetto del Trono (Ap) il 7/2/1969

avverso l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Teramo in data 29/4/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Fulvio Baldi, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. Ernesto TorinoRodriguez, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29/4/2014, il Tribunale del riesame di Teramo
rigettava il ricorso proposto da Massimiliano Pierantozzi e, per l’effetto,
confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini
preliminari in sede il 25/10/2013; al ricorrente – nella qualità di amministratore
della “Mare s.r.l.” – era contestato il delitto di cui all’art. 10-bis, d. Igs. 10 marzo
2000, n. 74, per aver omesso il versamento delle ritenute risultanti dalle

Data Udienza: 18/06/2015

certificazioni rilasciate ai sostituiti – anno di imposta 2008 – per l’importo di
54.062,00 euro.
2. Propone ricorso per cassazione il Pierantozzi, a mezzo del proprio
difensore, deducendo le seguenti doglianze:
– erronea applicazione dell’art.

10-bis citato, difetto motivazionale. Il

Tribunale non avrebbe verificato che la somma oggetto dell’omissione sarebbe
pari, in realtà, a 48.788 euro, cifra inferiore alla soglia di punibilità fissata dalla
stessa norma (in 50.000 euro). Al quale art. 10-bis, peraltro, dovrebbe potersi

dichiarato l’incostituzionalità del successivo art.

10-ter nella parte in cui, con

riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso
versamento dell’i.v.a. per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta,
a 103.291,38 euro;
– insufficiente e manifesta illogicità della motivazione con riguardo
all’elemento soggettivo del reato. L’ordinanza avrebbe confermato la misura pur
in presenza di elementi che dimostrerebbero l’assenza del dolo e, in particolare,
la grave situazione di decozione in cui versava la società nel 2008 (anno cui si
riferiscono le certificazioni rilasciate ai sostituiti); in uno, peraltro, con gli sforzi
personali del Pierantozzi, che aveva tanto effettuato ingenti conferimenti
personali, quanto rinunciato a crediti verso la società.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Osserva preliminarmente questa Corte che, in sede di ricorso per
cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 cod. proc.
pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla
violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in
particolare, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di
legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla
lett. e) dell’art. 606 stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004,
P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003,
Pellegrino S., Rv. 224611).
4. Ciò premesso, il ricorso è infondato; con la precisazione che lo stesso
deve essere esaminato soltanto con riguardo alle doglianze originarie, non
potendo essere valutate quelle aggiunte di cui alla memoria depositata
nell’odierna udienza (ed allegata documentazione), perché evidentemente
tardive.

2

applicare la sentenza della Corte costituzionale 8 aprile 2014, n. 80, che ha

Orbene, con riguardo al primo motivo, il Pierantozzi contesta al Tribunale di
non aver eseguito particolari accertamenti in ordine alla reale somma che non
sarebbe stata versata, indicata nel gravame in misura inferiore alla soglia di
punibilità. Orbene, trattasi di una censura non condivisibile, atteso che
l’ordinanza – rispondendo alla medesima questione – ha sottolineato 1) che gli
atti prodotti evidenziavano un omesso versamento proprio per 54.062 euro, oltre
interessi e sanzioni, «così come accertato a seguito dei controlli effettuati dai
funzionari dell’Agenzia per le entrate competente (il cui prospetto viene riportato

ogni singolo codice tributo)»; 2) che il ricorrente non aveva indicato quali importi
sarebbero stati conteggiati in aggravio rispetto al dato relativo alle sole ritenute
I.r.p.e.f..
Una motivazione, dunque, adeguata, logica e priva di vizi, come tale
insuscettibile di esser ritenuta mancante o meramente apparente. La quale,
peraltro, non pare superabile neppure con riguardo alla sentenza della Corte
costituzionale n. 80 del 2014, atteso che la Consulta medesima – con sentenza
n. 100 del 13/5/2015 – ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
sollevata con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., sì ribadendo la differenza tra le
fattispecie di cui agli artt.

10-bis e 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000 e non

“estendendo” alla prima gli effetti della sentenza n. 80/2014 quanto ai secondi.
5. Negli stessi termini, poi, si conclude anche in ordine alla seconda
doglianza.
Il Tribunale del riesame, infatti, ha respinto la medesima censura in tema di
dolo ancora con argomento solido ed adeguato, sostenuto da rigoroso impianto
motivazionale. In particolare, l’ordinanza ha evidenziato che: 1) la consulenza
predisposta dalla difesa aveva concluso per una scarsissima capacità finanziaria
nell’esercizio 2008, non già, quindi, nel successivo mese di settembre 2009,
allorquando sarebbe andato a scadenza il termine per il versamento di cui all’art.
10-bis in esame; 2) lo stesso elaborato, comunque, aveva prospettato mere
difficoltà di far fronte a tutte le obbligazioni assunte, senza mai evocare una
impossibilità obiettiva ed assoluta; 3) il riferimento alla significativa “iniezione” di
danaro effettuata dal Pierantozzi in proprio non poteva ritenersi, di per sé,
motivo sufficiente per negare il dolo del reato, specie in fase cautelare, atteso
che non escludeva che a monte vi potesse essere una

«male gestío

eventualmente allo stesso addebitabile nel corso degli anni, che possa aver
indotto la società de qua a vivere uno stato di decozione così marcato».
Una motivazione ancora congrua e fondata su oggettive risultanze
investigative, quindi, nient’affatto apparente o mancante; e senza che, peraltro,

3

allegato alla denunzia di reato pro. n. 65441/12 del 10/1/2013, circostanziando

in questa sede possano prendersi in considerazione i numerosi dati contabili
prospettati nel ricorso, invero riferibili soltanto al giudizio di merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2015

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