Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31645 del 18/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31645 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Polillo Emilio, nato a Cosenza il 10/5/1967

avverso l’ordinanza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Milano in data 9-10/4/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9-10/4/2014, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Milano rigettava la richiesta di restituzione in termini per proporre
opposizione a decreto penale di condanna, proposta da Emilio Polillo; il G.i.p.
riteneva, infatti, che la notifica del decreto medesimo si fosse regolarmente
perfezionata, sì che l’opposizione depositata il 24/3/2014 doveva esser
considerata tardiva.

Data Udienza: 18/06/2015

2. Propone ricorso per cassazione il Polillo, a mezzo del proprio difensore,
deducendo due motivi:
– inosservanza o erronea applicazione di legge processuale. Il G.i.p. avrebbe
disatteso la ratio dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla I.
n. 22 aprile 2005, n.. 60; per respingere l’istanza, infatti, avrebbe dovuto
ritenere provata l’effettiva conoscenza dell’atto e la volontaria inerzia
all’opposizione. Quel che non sarebbe avvenuto nel caso di specie;
– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La

destinatario, il quale l’avrebbe invece ricevuta soltanto il 21/3/2014. La
presunzione di conoscenza di cui alla prima notifica, ritenuta dal Tribunale,
sarebbe stata infatti superata dalla prova della non conoscenza dello stesso atto
in capo al Polillo, quale la dichiarazione dell’impiegata a data 22/3/2014.
3. Con requisitoria scritta del 12/1/2015, il Procuratore generale presso
questa Corte ha chiesto rigettarsi il ricorso. L’impiegata citata avrebbe dichiarato
di aver ricevuto l’atto giudiziario il 3/3/2014, così contraddicendo la circostanza
che lo stesso sarebbe stato invece preso in pari data dal Minterno (addetto alla
casa del ricorrente); il quale, peraltro, ben avrebbe potuto poi consegnare la
busta all’impiegata della società, che avrebbe inviato la corrispondenza al Polillo.
Il mancato tempestivo ricevimento del decreto di condanna, pertanto, sarebbe
stato causato dall’incuria del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
L’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nel testo anteriore all’ultima novella di
cui alla I. 28 aprile 2014, n. 67, stabiliva che “se è stata pronunciata sentenza
contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta, nel
termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia
avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento e abbia
volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od
opposizione”; la citata novella, invece, ha modificato la lettera del comma, nel
senso che ha stabilito che “l’imputato condannato con decreto penale, che non
ha avuto tempestivamente effettiva conoscenza del provvedimento, è restituito,
a sua richiesta, nel termine per proporre opposizione, salvo che vi abbia
volontariamente rinunciato”.
Orbene, ritiene il Collegio che debba trovare applicazione la disciplina
previgente alla I. n. 67 del 2014, atteso che – giusta art. 15-bis della stessa,
introdotto con I. 11 agosto 2014, n. 118 – “le disposizioni di cui al presente capo

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notifica di cui al 3/3/2014 sarebbe avvenuta in mani di soggetto terzo rispetto al

si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente
legge, a condizione che nei medesimi procedimenti non sia stato pronunciato il
dispositivo della sentenza di primo grado”; nel caso di specie, invece, alla
medesima data, il decreto penale di condanna – del tutto assimilabile alla citata
sentenza – era stato già emesso (2/12/2013).
Ciò posto, osserva la Corte che il provvedimento del Tribunale di Milano
risulta adeguatamente motivato e sostenuto da logico apparato argomentativo.
In particolare, il Giudice ha rilevato che la notifica del decreto penale era

(pacificamente) la propria residenza; non già – come affermato dallo stesso
nell’originaria istanza ex art. 175 cod. proc. pen. – al diverso civico n. 28,
laddove ha sede l’albergo gestito da una società di cui il Polillo è legale
rappresentante. La stessa notifica, ancora, era stata effettuata nelle mani di
persona – tale Piero Minterno – qualificatasi come addetto alla casa; sì da
operare una legittima presunzione di conoscenza. Presunzione, peraltro, che
l’ordinanza – ancora con argomento congruo – ha ritenuto non superata dalla
dichiarazione resa dall’impiegata del Polillo, Annalisa Mazzuca, la quale aveva
affermato che «il giorno 3 marzo 2014, presso l’hotel sito in viale Mancini n. 28,
in Cosenza, ho provveduto a ritirare una busta verde proveniente dal Tribunale
di Milano e indirizzata al sig. Polillo. Dato che il sig. Emilio Polillo ha la propria
residenza in viale Mancini al n. 26, mentre il citato hotel (di cui io sono
dipendente) ha la propria sede sempre in viale Mancini, ma al n. 28, ho ritenuto
legittimamente che riguardasse corrispondenza della società, e non personale del
datore di lavoro, e pertanto ho effettuato il ritiro», per poi inviarla il 20/3/2014
alla sede amministrativa della società, in Firenze. Orbene, al riguardo,
l’ordinanza impugnata ha evidenziato che questa dichiarazione «si riferisce ad un
passaggio successivo tra la notifica e la trasmissione dell’atto al destinatario, ma
non è sicuramente idonea ad inficiare l’attestazione dell’avvenuta notifica in via
Mancini al n. 26, anziché al n. 28, che quindi si deve reputare a tutti gli effetti
avvenuta» al primo indirizzo.
Non solo.
Il provvedimento del Tribunale ha evidenziato anche che l’errore dedotto
non appare credibile, atteso che il decreto in esame era stato indirizzato al Polillo
quale amministratore della “Agorà 2001 s.r.l.”, mentre la società cui ha fatto
riferimento la dipendente (assumendo di aver erroneamente ritenuto che a
questa si riferisse la raccomandata) è la “Mediterranea s.r.l.”.
Una motivazione, pertanto, logica, esaustiva e conforme alla lettera dell’art.
175, comma 2, cod. proc. pen., all’epoca vigente; tale, quindi, da superare la

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avvenuta in Cosenza, alla via Mancini n. 26, laddove il ricorrente ha

presunzione di non conoscenza che la norma stessa poneva a favore del
condannato.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

nsigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2015

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