Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31642 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31642 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OTTINO DANIELA N. IL 14/01/1970
avverso l’ordinanza n. 174/2014 TRIBUNALE di AGRIGENTO, del
08/10/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/seRifte le conclusioni del PG
.
~

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 16/06/2015

54515/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza dell’8 ottobre 2014 il Tribunale di Agrigento quale giudice dell’esecuzione
ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a Ottino Daniela
con sentenza dello stesso Tribunale del 15 febbraio 2011, divenuta irrevocabile il 15 ottobre
2013, essendo stato concesso in subordine all’ottemperanza di ordine di demolizione entro 60

2. Ha presentato ricorso il difensore, denunciando violazione degli articoli 165 e 168, primo
comma, c.p.p., nonchè vizio motivazionale, per erronea interpretazione della motivazione e del
dictum della sentenza di condanna. Questa aveva condannato la ricorrente per un abuso
edilizio consistente nella “collocazione di una copertura in pannelli isopan” e nella “apertura di
vani finestra”, assolvendola invece per gli altri capi d’imputazione relativi a una nuova
elevazione dell’edificio. Il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Montallegro, in data 23
ottobre 2013, con ordinanza n.3/2013, disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio
comunale di porzione del fabbricato in questione, e in particolare dell’ultimo piano dell’edificio,
senza considerare che questo era stato sanato e pertanto incorrendo in eccesso di potere e
violazione di legge. Il nuovo titolare dell’ufficio tecnico comunale aveva in effetti ritenuto che la
concessione edilizia in sanatoria in precedenza rilasciata dal Comune non fosse concedibile
perché il retro del fabbricato raggiunge una altezza superiore a quella consentita dal
Regolamento edilizio comunale. Quindi il Comune aveva emesso ordinanza ablativa dell’intero
piano in questione, togliendo così la disponibilità materiale e giuridica di quella parte di
manufatto prima che scadesse il termine stabilito nella sentenza di condanna. Da tutto ciò la
ricorrente desume che l’ordinanza impugnata è erronea, non essendo stata la ricorrente stessa
condannata a demolire l’intero ultimo piano come essa ha inteso, e non avendo comunque
avuto la ricorrente la possibilità di demolirlo, non avendone più disponibilità. Inoltre il
manufatto è rimasto sottoposto a sequestro giudiziario, non procedendosi dopo il passaggio in
giudicato della sentenza alla rimozione dei sigilli. Perciò non esiste nel caso di specie una
inottemperanza ingiustificata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
Nella ordinanza impugnata, il giudice dell’esecuzione, dopo aver correttamente premesso che
il beneficio della sospensione condizionale, ex articolo 168, primo comma, n.1, c.p., va
revocato di diritto in caso di inadempimento dell’obbligo di eliminazione delle conseguenze

giorni dal passaggio in giudicato, ottemperanza colpevolmente inadempiuta dalla condannata.

,

dannose o pericolose del reato ex articolo 165 c.p. tranne nel caso in cui detto inadempimento

,

sia derivato da impossibilità assoluta del condannato – impossibilità appunto che il giudice
dell’esecuzione deve verificare – conferma che il 23 ottobre 2013 l’Ufficio Tecnico Urbanistica
del Comune di Montallegro ha emesso ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio
comunale del fabbricato abusivo, ma rileva che, secondo la costante giurisprudenza di
legittimità, tale acquisizione non è incompatibile con l’adempimento dell’ordine di demolizione,
essendo essa stessa finalizzata in via principale alla demolizione e ben potendo il condannato
richiedere al Comune l’autorizzazione a procedere a proprie spese alla demolizione, così come,

l’incompatibilità dell’acquisizione al patrimonio comunale si verifica esclusivamente quando è
adottata una delibera consiliare che dichiari espressamente l’esistenza di prevalenti interessi
pubblici alla conservazione del bene, sempre che questo non contrasti con rilevanti interessi
urbanistici o ambientali, ex articolo 31, commi terzo e quinto, d.p.r. 380/0 2001. Poiché nel
caso di specie tale delibera non sussiste, e altresì “appare evidente il contrasto del manufatto
agli interessi urbanistici”, come emerge dall’ordinanza comunale in questione, il giudice
dell’esecuzione giunge a concludere che la prevenuta “ha colpevolmente omesso di
ottemperare all’ordine di demolizione”.
Condivide pienamente, in tal modo, il giudice dell’esecuzione la consolidata giurisprudenza su
tali tematiche di questa Suprema Corte che, da un lato, esclude infatti che l’ordine di
demolizione sia reso ineseguibile per l’emissione di provvedimento di acquisizione del bene al
patrimonio comunale (da ultimo v. il chiarissimo insegnamento di Cass. sez. III, 25 settembre
2014 n. 47263, per cui nei reati edilizi “l’ordine di demolizione impartito dal giudice con la
sentenza di condanna costituisce espressione di un potere sanzionatorio autonomo e distinto
rispetto all’analogo potere dell’autorità amministrativa, e, conseguentemente, deve essere
eseguito in ogni caso, anche se sia stata disposta acquisizione gratuita dell’opera abusiva al
patrimonio del Comune, ferma restando la sola eccezione dell’adozione di una deliberazione
consiliare, dichiarativa dell’esistenza di prevalenti esigenze pubbliche, e sempre che l’opera
non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali”)

e, dall’altro, puntualizza che la

sussistenza di un vincolo da sequestro penale sul bene a sua volta non inibisce l’ottemperanza
dell’ordine di demolizione (in tal senso: Cass. sez. III, 26 settembre 2013 n. 42637; Cass. sez.
III, 24 marzo 2010 n. 77188; Cass. sez. III, 14 gennaio 2009 n. 9186).
Ogni altro profilo addotto nel ricorso risultando evidentemente irrilevante, il ricorso stesso, in
conclusione, deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con
conseguente condanna della ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di
Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

del resto, può provvedervi, a spese del condannato, la stessa autorità giudiziaria;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 16 giugno 2015

Il Presidente

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