Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31637 del 15/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31637 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
– DI STEFANO CALCEDONIO, n. 1/11/1946 a Roma

avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di ROMA in data 19/11/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. G. Izzo, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. A. Giovagnoli e dell’Avv. A
Pallottino, che hanno chiesto accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 15/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 19/11/2014, depositata in data 20/11/2014, il
GIP del Tribunale di ROMA, rigettava ex art. 263 cod. proc. pen. l’opposizione al
diniego dell’istanza di dissequestro presentata al PM in data 29/09/2014; giova
precisare, per migliore intelligibilità della questione, che in data 5/09/2014 la PG

di nuova costruzione in cemento armato e laterizi su due piani di cui uno
seminterrato di mq. 210 circa, con altezza di nnt. 3, di cui uno fuori terra, e un
primo piano di mq. 210 circa”, dando atto la medesima PG di aver operato la
misurazione “sul massimo ingombro della sagoma in cemento armato”; che, con
istanza 13/07/2014, era stata presentata domanda di condono in sanatoria per
un precedente intervento di mq. 88 circa; che – come si legge nel
provvedimento impugnato – è in atti depositato un dispositivo di sentenza
emessa in data 2/03/2006 nei confronti del ricorrente dichiarato colpevole dei
reati al medesimo ascritti “con dissequestro del manufatto in favore
dell’imputato e demolizione e ripristino dello stato dei luoghi ad epoca
antecedente al 28/03/2003”; che, ancora, sempre dal medesimo provvedimento
impugnato, risulta che non vi è in atti altra decisione emessa in grado successivo
che abbia dichiarato la prescrizione del reato “posto che sia identico a quello oggi
in contestazione”, tale dunque da travolgere l’ordine di demolizione del
manufatto.

2. Ha proposto ricorso DI STEFANO CALCEDONIO a mezzo dei difensori fiduciari
cassazionisti, impugnando l’ordinanza predetta con cui deduce un unico motivo
di ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), cod. proc.
pen., per erronea applicazione di norme di legge.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver il GIP del tribunale
di ROMA, erroneamente rigettato l’opposizione ex art. 263 cod. proc. pen. al
diniego dell’istanza di dissequestro presentata al PM.
Premette il ricorrente che il sequestro concerne un’area sita in Roma, via dei
Gonzaga, su cui stava eseguendosi un intervento di sostituzione edilizia ai sensi
dell’art. 4, legge reg. n. 21/2009, consistente nella demolizione di un manufatto,
oggetto di domanda di condono edilizio perfezionatosi con silenzio – assenso, e
la ricostruzione con aumento del 30% di superficie così come previsto dalla legge
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aveva proceduto al sequestro di “opere edili abusive consistenti in realizzazione

regionale, in tipologia edilizia bifamiliare ad un solo piano rialzato oltre il
seminterrato destinato a garage e cantine; che, al momento del sequestro, le
opere avevano raggiunto lo stadio di struttura di fondazione e di elevazione del
cemento armato (ma non anche di copertura) e solo parzialmente di
tamponature esterne; che, ancora, a sostegno dell’istanza di dissequestro
presentata al PM e dell’atto di opposizione vennero presentati alcuni documenti

rilasciata dal Comune di Roma; d.i.a. in data 14/04/2014 e successiva d.i.a. in
variante 12/08/2014; c.t. di parte a firma arch. Degni); che, facendo riferimento
il provvedimento del PM di rigetto dell’istanza di revoca del sequestro, al fatto
che l’intervento in questione concernesse un manufatto già oggetto di processo
penale conclusosi con sentenza di condanna, all’udienza camerale tenutasi
davanti al GIP era stato depositato dalla difesa del ricorrente un attestato della
cancelleria di questa S.C. da cui risulta che il reato di cui all’art. 44, lett. b), TU
Edilizia era stato dichiarato estinto per prescrizione in data 28/11/2012.

2.2.

Tanto premesso, sostiene il ricorrente che l’ordinanza di rigetto

dell’opposizione all’istanza di dissequestro sia erronea per quattro ragioni.

2.2.1. Anzitutto, perché inspiegabilmente non da atto dell’esistenza in atti
dell’attestazione di irrevocabilità della sentenza che ha dichiarato l’intervenuta
estinzione per prescrizione del reato, come risulta dal verbale udienza GIP
tenutasi in data 19/11/2014 (e, comunque, si aggiunge, anche se la sentenza di
condanna fosse passata in giudicato, nessun elemento ostativo sarebbe
ravvisabile al dissequestro, in quanto – come confermato dalla giurisprudenza di
questa Corte – l’intervenuto perfezionamento del procedimento amministrativo di
sanatoria, rectius condono, renderebbe ineseguibile l’ordinanza di demolizione).

2.2.2. In secondo luogo per aver erroneamente ritenuto la costruzione illegittima
in quanto alla data del sequestro, intervenuto in data 5/09/2014, non erano
ancora trascorsi i 30 gg. previsti dalla normativa per la formazione del silenzio
assenso rispetto alla dia in variante protocollata in data 12/08/2014, laddove la
dia originaria era stata presentata in data 14/04/2014 (sul punto, sostiene il
ricorrente che, anzitutto, dal semplice raffronto tra i documenti di corredo alle
due dd.ii.aa. era agevolmente rilevabile che le opere in corso al momento del
sequestro erano solo quelle oggetto della prima dia e non di quella in variante; in
secondo luogo, il ragionamento sarebbe errato anche ove le opere in variante
fossero state eseguite prima del decorso del termine di gg. 30, in quanto l’art.
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indicati in ricorso (perizia giurata a firma arch. Biazzo; verifica paesaggistica

22, comma secondo, u.co. del TU Edil. prescrive che le varianti alla DIA possono
essere presentate anche in corso d’opera purchè prima della dichiarazione di
ultimazione dei lavori, fermo il principio della dia in sanatoria; infine, l’ordinanza
non considera la rilevanza, quantomeno sotto il profilo dell’art. 2 cod. pen.,
dell’intervenuta modifica normativa introdotta dall’art. 17, comma 1, lett. m),
d.l. n. 133 del 2014, conv. in legge n. 164 del 2014 che, novellando l’art. 22 TU
Edilizia, ha stabilito che le varianti in corso d’opera che non costituiscono

non sono più soggette a DIA ma a SCIA, i cui lavori possono essere iniziati
contestualmente alla sua presentazione, considerando che le eventuali difformità
e violazioni non integrano mai estremi di reato, essendo la SCIA estranea alle
ipotesi dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001).

2.2.3. In terzo luogo, perché sarebbe priva di giuridico fondamento la tesi
secondo cui l’intervento comporterebbe un’opera di superficie nettamente
superiore ai mq. 119 assentibili, in quanto, secondo il GIP, nel calcolo della
stessa dovrebbe ricomprendersi un’area destinata a balcone e pergolato non
coperta, ma senz’altro abitativa, per cui già il piano terra implica l’avvenuta
realizzazione di 210 mq. Abitativi, a nulla rilevando che soltanto una parte di essi
è coperta (tale affermazione – si osserva – in disparte la mancata realizzazione
della copertura o del pergolato o di opere o impianti che possano integrare una
loro intervenuta funzionalizzazione, donde si avrebbe una mera censura alle
intenzioni, sarebbe giuridicamente erronea, non potendo qualificarsi come
superficie abitativa una superficie scoperta, atteso che tutte le norme che
definiscono la S.U.L., ossia la c.d. superficie lorda utile, escludono che possa
essere costituita da balconi o logge e, in ogni caso, le pronunce giurisprudenziali
riguardanti tali opere riguardano sempre aumenti di superficie realizzati proprio
attraverso la loro chiusura).

2.2.4. Infine, erroneo risulterebbe il riferimento alla cubatura sotterranea,
destinata invece da progetto in minima parte a cantina e per la maggior parte ad
autorimessa, sottratta dunque dal calcolo della predetta S.U.L., donde non
sarebbero suscettibili ambedue dette volumetrie di utilizzazione a fini abitativi; il
riferimento all’altezza interna del garage, ottenuta attraverso la non
realizzazione di intercapedine sull’intradosso del locale, necessaria per
l’areazione tramite grigli – finestre nella limitata parte emergente da suolo ed il
riferimento alla presenza di scala di accesso diretto tramite disimpegno con porta
stagna, non apparirebbero infatti in contrasto con la destinazione impressa nel
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variante sostanziale e non ricadono in zona vincolata – come nel caso in esame –

progetto, trattandosi di edificio bifamiliare, ciascuno con proprio piano
seminterrato, carente di scale in comune e comunque rispondenti alle norme di
prevenzione incendi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Deve, anzitutto ricordarsi che, l’ordinanza del G.i.p., che a norma dell’art.
263, comma quinto, cod. proc. pen., provvede sull’opposizione degli interessati
avverso il decreto del P.M. di rigetto della richiesta di restituzione delle “cose” in
sequestro o di rilascio di copie autentiche di documenti, è ricorribile per
cassazione per tutti i motivi indicati dall’art. 606, comma primo, cod. proc. pen.
(Sez. U, n. 9857 del 30/10/2008 – dep. 04/03/2009, Manesi, Rv. 242290).

5. Tanto, premesso, può quindi procedersi all’esame dei singoli motivi di ricorso,
in relazione ai quali si osserva:
a) Quanto al primo profilo di doglianza deve rilevarsi che non risulta dagli atti
che il ricorrente sia stato mai giudicato per la realizzazione delle opere abusive
costituenti oggetto del presente procedimento penale.
Nel ricorso viene fatto riferimento ad una pronunzia di prescrizione adottata da
questa Corte Suprema in data 28/11/2012, ma l’argomento (non meglio
precisato) appare irrilevante a fronte di “opere nuove” (quelle attualmente
contestate) che, nel settembre 2014, si presentavano in fase soltanto iniziale
(vedi fotografie allegate al ricorso medesimo).
Ciò che emerge con certezza, invece, è che il DI STEFANO è stato giudicato per
un precedente e diverso (più ridotto) intervento edilizio abusivo, accertato fino al
25 maggio 2004, in relazione al quale è irrilevante la sorte dell’ordine di
demolizione già impartito dal giudice penale per quelle opere.
Quello che conta è stabilire se quel precedente intervento sia stato poi sanato
per condono, sì da potere essere considerato una preesistenza legittima, idonea
a rendere altresì legittimo il successivo ricorso alle procedure semplificate (DIA)
di cui alla legge n. 21/2009 della Regione Lazio. Sul punto, la difesa assume
essersi formato il silenzio – assenso sulla domanda di condono presentata il
13/07/2004 e sostiene, pertanto, la legittimità sia della DIA per sostituzione
edilizia con demolizione e ricostruzione presentata il 14/04/2014 (ex art. 4 della
citata legge regionale n. 21/2009) sia della DIA in variante presentata il
12/08/2014.
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3. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.

In relazione a tale assunto difensivo, però, l’ordinanza impugnata non ha fornito
alcuna risposta, limitandosi a valutare la DIA in variante ma non la legittimità
della DIA proposta in data 14/04/2014.
b) Quanto al terzo (ed al quarto, ad esso collegato) profilo di doglianza,
riguardante la ritenuta destinazione abitativa dell’area destinata a
balcone/pergolato, non rilevando la circostanza che l’area fosse solo

Superficie Utile Lorda in relazione alla cubatura sotterranea, trattasi di questioni
tipicamente fattuali, involgenti il merito della vicenda, in quanto tali non
deducibili davanti a questo giudice di legittimità; può solo rilevarsi, in questa
sede, che la circostanza che il giudice abbia disposto il sequestro tenuto conto
dell’attività edilizia in itinere, atteso che, per costante giurisprudenza di questa
Corte, in tema di reati edilizi, l’esigenza di impedire la prosecuzione dei lavori di
edificazione di un immobile abusivo ancora in corso è, di per sé, condizione
sufficiente per disporre e mantenere il sequestro preventivo del manufatto e
dell’area ove esso insiste, indipendentemente dalla natura e dalla entità degli
interventi ancora da eseguire per ultimarlo (Sez. 3, n. 49220 del 06/11/2014 dep. 26/11/2014, Santovito, Rv. 261215; Sez. 3, n. 38216 del 28/09/2011 dep. 24/10/2011, P.M. in proc. Mastrantonio, Rv. 251302).

6. Meritevole di accoglimento, nei limiti che vengono di seguito esposti, è anche
il secondo profilo di doglianza, che involge la questione della ritenuta illegittimità
della costruzione per mancato rispetto del termine di gg. 30 in relazione alla c.d.
DIA in variante.
Sul punto, osserva il Collegio che – a prescindere dalla valutazione, tipicamente
in fatto, richiesta a questa Corte e relativa al raffronto tra i documenti allegati
alle due denunce di inizio attività, operazione non consentita, essendo inibito
l’accesso agli atti del giudizio di merito, salvo che sia dedotto, mediante ricorso
per cassazione, un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c)cod. proc. pen., nel quale caso, unico, la Corte di cassazione è giudice anche del
fatto e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli
atti processuali: Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 – dep. 28/11/2001, Policastro
e altri, Rv. 220092) – può venire in rilievo nel caso in esame la normativa
sopravvenuta, costituita dall’ art. 17, comma 1, lett. m), D.L. 12 settembre
2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164,
che, nel modificare l’art. 22, d.P.R. n. 380 del 2001, ha modificato il comma 2 ed
ha inserito il comma 2-bis, prevedendo, rispettivamente, da un lato, che “Sono,
altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a
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parzialmente coperta, nonché la connessa questione del contestato calcolo della

permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle
volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non
alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le
eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di
vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di

integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento
principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione
dei lavori” (nuovo comma 2) e, dall’altro, che “Sono realizzabili mediante
segnalazione certificata d’inizio attività e comunicate a fine lavori con
attestazione del professionista, le varianti a permessi di costruire che non
configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle
prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali
atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici,
ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre
normative di settore” (nuovo comma 2 bis).

In definitiva, il comma 1, lettera m), dell’art. 17, del predetto d.l. n. 133 del
2014, conv. con modd. nella L. n. 164 del 2014, contiene disposizioni in materia
di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). In particolare il numero 2),
intende ampliare la casistica delle varianti attuabili in corso d’opera mediante
una semplice SCIA e da comunicare nella fase di fine lavori (nuovo comma 2-bis
dell’art. 22 del T.U. edilizia). Sono realizzabili in tal modo, con attestazione del
professionista, le varianti a permessi di costruire che soddisfano tutte le seguenti
condizioni: a) non configurano una variazione essenziale; b) sono conformi alle
prescrizioni urbanistico-edilizie; c) sono attuate dopo l’acquisizione degli
eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici,
idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed
archeologico e dalle altre normative di settore.

7. Orbene, in relazione alla sopravvenuta normativa edilizia, modificativa del
disposto dell’art. 22, d.P.R. n. 380 del 2001 (in vigore, quanto alla legge di
conversione, dal 12/11/2014), il giudice di merito dovrà necessariamente
operare una nuova valutazione della situazione di fatto e rapportarla pure al
mutato quadro normativo, al fine di verificare se – anche esaminando la prodotta
documentazione allegata alle denunce di inizio attività – l’intervento realizzato
potesse essere iniziato mediante presentazione di mera DIA e, qualora ciò sia

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agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte

ritenuto legittimo, potesse costituire oggetto della successiva variante,
controllando in proposito la eventuale sufficienza di SCIA.

8. L’ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale di ROMA
per nuova valutazione.

La Corte annulla con rinvio l’ordinanza impugnata al tribunale di ROMA.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 14/04/2015

P.Q.M.

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