Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31636 del 07/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31636 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’Argento Marco, nato a Chieti il 15.12.98
imputato art. 73 T.U. stup.

avverso la ordinanza del Tribunale di Roma, del 28.6.14

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Visto il parere scritto del P.G. dr. L. De Augustinis, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
Vista la memoria depositata il 20.3.15

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato L’ordinanza qui impugnata è
stata emessa dal Tribunale in replica all’incidente di esecuzione proposto dall’odierno ricorrente
il quale invocava una rideternninazione della pena a seguito dei recenti interventi della Corte
Costituzionale (25.2.14 n. 32) sulla c.d. legge Fini-Giovanardi che ha dichiarato
costituzionalmente illegittimi gli artt. 4 bis e 4 vides ter del D.L. 272/05 conv. I. 49/06.

Data Udienza: 07/04/2015

Il ricorrente – condannato per violazione alla disciplina sugli stupefacenti alla pena di
anni 1, mesi 10 di reclusione e 9000 € di multa – si è però visto respingere l’istanza.
2. Motivi del ricorso
difensore, deducendo:

Avverso tale decisione, egli ha proposto ricorso, tramite

2)
erronea applicazione dell’art. 676, co 1, c.p.p. con riguardo alle “altre
competenze” del giudice dell’esecuzione. Si fa notare, infatti, che se anche fosse vero che il
favor libertatis non è assicurato dalla norma sostanziale di cui al predetto art. 2 c.p., ben
potrebbe soccorrere in tal senso l’art. 676 comma 1 c.p.p. che riconosce al giudice
dell’esecuzione di decidere sulla estinzione della pena quando ad essa non conseguano
liberazione condizionale ovvero affidamento in prova al servizio sociale. Pertanto, nella specie,
il giudice avrebbe dovuto prendere atto della incostituzionalità della lex posterior ed applicare,
quindi, al ricorrente la nuova pena minima (così come già era stata applicata nella specie) sulla base dei
parametri introdotti dalla I. 79/14.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.
Con la memoria depositata successivamente, il ricorrente, tramite plurimi richiami
giurisprudenziali, sostiene che l’irrevocabilità della sentenza di condanna non impedisce di
rideterminare la pena qualora intervenga una declaratoria di illegittimità costituzionale e che
(sez. I, 25.11.14, n. 51844) l’ineseguibilità della pena derivata da parametri illegittimi impone la
sua rideterminazione in sede di esecuzione secondo un criterio oggettivo di tipo aritmetico
proporzionale che, rispettando l’irrevocabilità del patto e la volontà delle parti la trasponga
all’interno della nuova cornice edittale

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere respinto

Il primo motivo è ai limiti dell’ammissibilità perché piuttosto evanescente ed assertivo e
fondato su di una inesatta lettura del provvedimento impugnato.
Invero, il giudice non si è fatto condizionare dallo “sbarramento” del giudicato
apparentemente contenuto nell’art. 2 quarto comma c.p. come dimostra nei fatti ed in
conformità con i più recenti assetti di questa S.C. (su. 21.10.13, n. 18821) nonché della stessa
Consulta ( n. 249/10; n. 251/12; nn. 105, 106 e 210 del 2013) che hanno ormai accantonato l’idea della
intangibilità del giudicato.
Ciò è tanto vero che, a smentita di quanto sostenuto dal ricorrente nel suo secondo
motivo il giudice, nella specie, non ha affatto negato il proprio potere di “rideterminare la
pena” ma
all’esito di un ragionamento articolato, coerente e validamente ancorato a giuste
pronunzie di legittimità – ha semplicemente negato che il nuovo giudizio (cui il G.E. non si è
sottratto) dovesse essere condotto con gli stessi criteri del primo giudice.
In altri termini, ha semplicemente disatteso la tesi del ricorrente di essere a propria
volta vincolato alla scelta del precedente giudice di partire dal minimo della pena.
Tra l’altro, il G.E., nel provvedimento impugnato, giustamente osserva a riguardo che la
scelta dell’altro giudice era condizionata anche dalla diversità di disciplina («nella vigenza della

normativa precedente, la scelta di determinare al pena a partire dal minimo era sottesa anche dalla considerazione che
quel trattamento sanzionatorio copriva sia le condotte illecite riferite a droghe c.d. pesanti, che a quelle relative a
droghe c.d. leggere » f. 4). In altri termini, la scelta del giudice di partire dal minimo era

“necessitata” per adeguare la pena alla concreta offensività della sanzione trattandosi di
droghe “leggere”. Dal momento che, invece, la disciplina attuale prevede diversificate sanzioni
2

1) erronea applicazione dell’art. 2, quarto comma, c.p. criticandosi il punto di
vista del Tribunale, secondo cui, nella specie, non può trovare applicazione il quarto comma
dell’art. 2 del codice penale perché la sua operatività è circoscritta alle sole ipotesi nelle quali
la condanna non sia divenuta definitiva. Si obietta, però, che nella specie, il giudice si è
ancorato ad una legge che non è più vigente al tempo della sua esecuzione;

Nel fare ciò, a ben vedere, il giudice ha confermato anche la giustezza del principio
ricordato dal ricorrente nella propria memoria secondo cui l’irrevocabilità della sentenza di
condanna non impedisce di rideterminare la pena qualora intervenga una declaratoria di
illegittimità costituzionale o una modifica normativa.
Il punto è, all’evidenza, che ciò di cui si duole il ricorrente non è altro che
dell’ammontare della pena. Il che sposta l’attenzione su profili di merito che, però, come
appena finito di osservare sono incensurabili dal momento che il computo della pena è un
tipico giudizio discrezionale che diviene incensurabile in sede di legittimità nella misura in cui la
decisione sia congruamente motivata (come, per l’appunto, qui avvenuto).

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali

Così deciso il 7 aprile 2015
Il Presidente

a seconda del tipo di sostanza stupefacente, è corretto affermare che «non si può ritenere che
il giudice dell’esecuzione sia tenuto a traslare meccanicamente i calcoli operanti nella vigenza
della disciplina previgente, dichiarata incostituzionale, ai nuovi ed inferiori limiti edittali» (ff. 3 e
4).
Nella sostanza, quindi, il giudice per l’esecuzione ha operato una rivalutazione fattuale
motivata in modo logico secondo cui la quantità dello stupefacente detenuto (circa 200 gr tra
hashish e marijuana), la sussistenza di un precedente specifico recente all’epoca dei fatti «la
particolare antisocialità della condotta e la spregiudicatezza dimostrata nel coinvolgere
un’amica, (pure condannata a titolo di concorso)» (f. 4) sono tutti elementi che hanno
permesso al giudice nel provvedimento impugnato, di concludere in modo ineccepibile con
l’affermazione che la pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione e 9000 € di multa fosse adeguata e
proporzionata alla gravità del fatto esaminato.

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