Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3163 del 18/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3163 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VALENTI FERDINANDO N. IL 20/10/1967
avverso la sentenza n. 1637/2010 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 09/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
tt.
ch ha concluso per

Udito, per la pa
Uditi difensor vv.

ivile, l’Avv

Data Udienza: 18/09/2013

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato

inammissibile.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 3.11.2009, il Tribunale di Bologna dichiarò Valenti
Ferdinando responsabile dei reati di rapina aggravata, lesioni aggravate,
detenzione e porto illegale di armi con matricola abrasa e dei proiettili,
nonché di armi da guerra, porto senza giustificato motivo di un pugnale,
ricettazione di armi comuni e da guerra, e unificati i reati sotto il vincolo
della continuazione – concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle
aggravanti ridotta la pena per il rito – lo condannò alla pena di anni di tre
mesi quattro di reclusione ed € 1000,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte
d’Appello di Bologna, con sentenza del 9.3.2012, confermava la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo la violazione dell’art.606
lett.b) e) c.p.p., per errata interpretazione della legge penale in relazione agli
artt.628 e 393 c.p. e 56 c.p. La Corte d’Appello di Bologna ha confermato la
condanna per il reato di rapina, mentre avrebbe dovuto riconoscere la
sussistenza del reato di esercizio arbitrario delle ragioni. L’imputato si era
recato nel locale per fare i conti in qualità di socio, e non per commettere una
rapina; la sua intenzione non era quella di appropriarsi di denaro altrui ma
di ottenere il denaro di sua spettanza. La sentenza ha poi errato nel ritenere
che nel fatto si sia verificato un reato consumato; il denaro che era sul tavolo
della cassa è stato posto dall’imputato dentro una busta ma è rimasto semp /

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sul tavolo, dove è stato rinvenuto dai Carabinieri, senza mai entrare nella
disponibilità dell’imputato.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Con memoria del 18.9.2013, l’imputato insiste nell’accoglimento del
ricorso, ribadendo di non aver commesso alcuna rapina, essendosi recato nel
locale ristorante denominato “Lo spaghetto” unicamente per avere la sua

Motivi della decisione
Con unico motivo, il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione degli
artt.628 e 393 c.p. e 56 c.p., in relazione al giudizio di responsabilità per il
reato di rapina consumata e non tentata, con esclusione altresì della
riqualificazione del fatto nella fattispecie dell’esercizio arbitrario delle
proprie ragioni di cui all’art.392 c.p. In sostanza, il ricorrente si duole del
fatto che la Corte non abbia considerato che egli si è limitato a chiedere la
consegna dei soldi, dovutigli in qualità di socio del locale, e che il denaro era
sul tavolo della cassa e non era mai entrato nella sua disponibilità. La
doglianza è priva di consistenza e formulata in termini di una inammissibile
richiesta di rivalutazione di fatti.
Premesso che la sentenza impugnata va, poi, necessariamente integrata
con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, rileva il
Collegio che la Corte di merito, nelle pagine riservate all’esame dei motivi
d’appello (v.pagg.6-9 della sentenza impugnata) ha ritenuto, con congrua e
logica motivazione, che non può dubitarsi dell’uso sia di atti violenti che di
minacce ad opera dell’imputato come gli stessi verbalizzanti hanno potuto
riscontrare nell’immediatezza dei fatti. Era quindi seguito da parte
dell’imputato l’impossessamento dei soldi (l’incasso della serata) richiesti al
cassiere Zironi (che stava effettuando il conteggio) che nulla aveva potuto
opporre in ragione dell’atteggiamento manifestamente minaccioso
dell’imputato che dopo aver appoggiato due pistole sul tavolo ed estratto un
pugnale della lunghezza di 30 cm. aveva profferito la frase: “hai qualche
problema? Se non ti va bene ce n’è anche per te”. A seguito del
sopraggiungere del socio De Cristofaro, l’imputato ha pronunciato altre

parte in quanto socio.

minacce ed esploso alcuni colpi d’arma da fuoco uno dei quali attingeva il De
Cristofaro ad una coscia. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto, la
Corte rileva infine che la ricostruzione dell’evento fornita dalle parti lese non
lascia dubbio alcuno, in quanto l’imputato ha usato violenza e profferito
minacce proprio al fine di impossessarsi dell’intero incasso della giornata del
ristorante, che “non costituiva cosa propria dell’imputato”; egli era socio al

20%, e pertanto “cosa propria” dell’imputato poteva essere semmai la quota
del 20% dei profitti e non certo l’incasso lordo della serata. Nella fattispecie,
manca poi la prova che lo stesso credito fosse liquido, esigibile ed azionabile
in sede giurisdizionale; ed inoltre la violenza e la minaccia si sono
estrinsecate in forma di tale forza intimidatoria che va al di là di ogni
ragionevole intento di far valere un diritto. Il reato non era rimasto poi alla
soglia del tentativo, in quanto i soldi erano entrati nel possesso del Valenti
che li aveva presi e riposti in un sacchetto. Il delitto previsto dall’art. 628
cod. pen., infatti, si consuma nel momento e nel luogo in cui si verificano
l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, a nulla rilevando, invece, la
mera temporaneità del possesso conseguito (v. Cass.Sez.II, Sent. n. 5663
/2012 Rv. 254691).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000), nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata
in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
berato, il 18.9.2013.

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