Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31623 del 23/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31623 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
GIRAUDO ANTONIO N. IL 02/09/1946
DONDARINI PAOLO N. IL 01/10/1968
LANESE TULLIO N. IL 10/01/1947
PIERI TIZIANO N. IL 16/11/1971
ROCCHI GIANLUCA N. IL 25/08/1973
inoltre:
GIRAUDO ANTONIO N. IL 02/09/1946
avverso la sentenza n. 9305/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. %) GuinU di, t:etto tIQ..
che ha concluso per
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Data Udienza: 23/03/2015

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RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 5 dicembre 2012 la Corte di Appello di Napoli, in parziale
riforma della sentenza resa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di detta
città in data 14 dicembre 2009 appellata da GIRAUDO Antonio, LANESE Tullio, PIERI
Tiziano e ROCCHI Gianluca, nonché dal Procuratore della Repubblica (nei confronti di
GIRAUDO Antonio, CASSARA’ Stefano, GABRIELE Marco, BAGLIONI Duccio, ROCCHI

Tiziano) e dalle parti civili F.I.G.C., BRESCIA Calcio s.p.a. e fallimento società VICTORIA
2000 s.r.I., assolveva ex art. 530 cpv. cod. proc. pen. i predetti LANESE Tullio, PIERI
Tiziano e ROCCHI Gianluca dal reato loro rispettivamente ascritto al capo A), nonché i
predetti PIERI Tiziano e DONDARINI Paolo dalle ulteriori imputazioni di frode in
competizione sportiva loro rispettivamente ascritti ai capi D), I) e A8) (PIERI) e A3), F) E
A5) (DONDARINI) ed, infine GIRAUDO Antonio dai reati di frode in competizione sportiva
allo stesso ascritti ai capi B) ed F) per non avere commesso il fatto, rideterminando la
pena nei riguardi del GIRAUDO in ordine alle residue imputazioni di cui ai capi A) e Q) in
anno uno e mesi otto di reclusione con sospensione condizionale della pena. Confermava
nel resto – anche con riferimento alle statuizioni civili – la sentenza impugnata.
1.2 Avverso la detta sentenza propongono ricorso l’imputato GIRAUDO Antonio ed il
Procuratore Generale della Repubblica (quest’ultimo, limitatamente alla ritenuta
esclusione della ipotesi delittuosa di cui al comma 2° dell’art. 416 cod. pen.
originariamente contestata al GIRAUDO, nonché in ordine alla pronuncia assolutoria nei
suoi riguardi per i reati di frode sportiva contestati ai capi B) ed F) ed, ancora, nei
confronti di LANESE Tullio, PIERI Tiziano, DONDARINI Paolo e ROCCHI Gianluca
relativamente alle pronunce assolutorie nei loro riguardi per i reati loro rispettivamente
contestati ai capi A), B), D), F), I), U) e A5).
1.3 In particolare il ricorrente GIRAUDO Antonio ha proposto, a ministero dei
rispettivi difensori, due distinte impugnazioni i cui motivi a sostegno possono sintetizzarsi
nel modo che segue.
1.4 Ricorso avv. KROGH: con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza
impugnata per violazione di legge (art. 267 cod. proc. pen. in rel. all’art. 270 stesso
codice nella parte in cui il giudice distrettuale – nel richiamare in toto le argomentazioni
del primo giudice – ha confermato l’utilizzabilità delle intercettazioni sulle quali è stato
poi fondato il giudizio di colpevolezza, in quanto basate su precedenti intercettazioni
indebitamente acquisite nel presente procedimento e relative ad altro procedimento
(proc. a carico di AGRICOLA Riccardo ed altri per il reato di cui all’art. 648 cod. pen.)
senza che vi fosse alcun collegamento tra i fatti oggetto di quel procedimento ed i fatti
1

Gianluca, FOSCHETTI GIUSEPPE, GRISELLI Alessandro, MESSINA Domenico e PIERI

oggetto del presente processo. Sotto un diverso profilo viene dedotto nell’ambito del
primo motivo – sempre con riferimento alle suddette intercettazioni – vizio di
motivazione per avere la Corte distrettuale omesso di indicare le ragioni della ritenuta
connessione tra i due procedimenti; ancora per assoluta carenza di motivazione dei
decreti autorizzativi in assenza di gravi indizi di reato a carico del GIRAUDO, potendosi,
tutt’al più, parlarsi di meri sospetti, come tali, inidonei a giustificare le intercettazioni ed
il conseguente indebito uso processuale ed ancora per l’assenza del presupposto della

all’utilizzazione di impianti diversi da quelli esistenti presso la Procura della Repubblica
ed, in ultimo, perchè lo strumento captativo sarebbe stato utilizzato per ricercare il grave
indizio del reato. Con il secondo motivo viene dedotto analogo vizio di motivazione con
riferimento alla ritenuta configurabilità del delitto associativo ed anche con riferimento
alle mancate risposte alle censure difensive sollevate in relazione alla ritenuta
sussistenza della detta ipotesi delittuosa, rilevando come nessuno degli ipotizzati
elementi prospettati dall’accusa (in particolare le schede telefoniche estere; i contenuti
delle telefonate intercettate; la partecipazione a cene “conviviali” con i dirigenti arbitrali;
il cd. “salvataggio” della Fiorentina) fosse sintomatico della consapevole partecipazione
del GIRAUDO al sodalizio criminale asseritamente capeggiato da MOGGI Luciano. Con il
terzo motivo, sostanzialmente ricollegato al precedente, viene dedotto il vizio di difetto di
motivazione con riguardo alla presunta responsabilità del GIRAUDO derivata dai suoi
asseriti inscindibili rapporti con il MOGGI ed alla altrettanto presunta comunanza di
intenti. Con il quarto motivo viene dedotto il vizio di violazione di legge per sua
inosservanza e/o erronea applicazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui
all’art. 1 della L. 401/89 (frode in competizioni sportive) di cui viene sollevata anche
questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 27 e 117 Cost. Con il
quinto – ed ultimo – motivo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata nella parte
relativa alle statuizioni civili, per difetto di motivazione in ordine alla individuazione dei
soggetti danneggiati ed in ordine alla sussistenza del danno risarcibile sofferto dalle dette
parti civili.
1.5 Ricorso Avv. Galasso: con il primo motivo, non dissimile dal quarto motivo del
ricorso a firma dell’Avv. Krogh, viene denunciato il vizio di violazione di legge per erronea
applicazione della norma penale (art. 1 L. 409/81) tanto con riguardo alla affermata
responsabilità del GIRAUDO per il delitto di cui al capo Q), quanto con riferimento al
delitto di cui al capo A) (associazione per delinquere finalizzata alla commissione di frodi
sportive) per assenza del delitto-scopo. Con il secondo motivo viene ribadito il vizio di
violazione di legge, anche a voler dare per ammessa la condotta di alterazione delle cd.
“griglie arbitrali”, per assoluta inidoneità di tale condotta ad integrare la fattispecie
penale contestata con specifico riguardo alla condotta finalizzata a condizionare l’operato
2

indispensabilità delle indagini; inoltre per carenza di motivazione in ordine

degli arbitri, censurandosi la decisione impugnata anche perché del tutto dissonante
rispetto alla impostazione giuridica seguita dal GUP (e, prima ancora, dal GIP nel proprio
decreto di archiviazione richiesto dal P.M. presso il Tribunale di Torino per vicende
analoghe riguardanti alcuni degli imputati nel presente procedimento ed in quello
separato celebratosi con il rito ordinario). Vengono evidenziati, a tale proposito, tre profili
di illegittimità costituiti: a) dalla erronea applicazione della legge penale; b) dalla
contraddittorietà; c) dalla carenza di motivazione. Con il terzo motivo viene lamentata la

associativo sub A) per travisamento della prova ed, ancora, per manifesta illogicità e/o
contraddittorietà della motivazione. Con il quarto motivo viene dedotto analogo vizio
motivazionale con riferimento all’elemento del mancato possesso da parte del GIRAUDO
delle cd. “schede estere”, considerato dalla Corte territoriale come sintomatico dei
contatti finalizzati al medesimo fine della alterazione delle griglie arbitrali attraverso
contatti verbali tra il GIRAUDO e il MOGGI. Con il quinto motivo viene dedotto analogo
vizio motivazionale riferito alla parte della sentenza concernente l’oggetto degli incontri tutti specificamente analizzati – tra il GIRAUDO, il MOGGI ed esponenti del mondo
arbitrale e della F.I.G.C. asseritamente finalizzato alla alterazione delle griglie arbitrali.
Con il sesto motivo viene dedotta la nullità della sentenza nella parte relativa alla
confermata colpevolezza per il delitto di frode sportiva contestato al capo Q), per vizio di
travisamento della prova. Vizio analogo viene denunciato nel settimo motivo con
riferimento alla ritenuta partecipazione del GIRAUDO alla cd. “operazione di salvataggio”
della Fiorentina, nonostante le telefonate e/o incontri analizzati denotassero la palese
estraneità del GIRAUDO a tale operazione. Con l’ottavo – ed ultimo – motivo, circoscritto
al trattamento sanzionatorio, viene denunciata l’assoluta carenza di motivazione della
sentenza nel punto in cui viene statuito un aumento della pena base per la ritenuta
aggravante di cui al comma 5 0 dell’art. 416 cod. pen. (numero degli associati superiore a
dieci), nonostante dagli atti acquisiti al processo risultasse palese la insussistenza della
detta aggravante sulla base di un mero raffronto con la sentenza emessa dal Tribunale di
Napoli in data 6 novembre 2011 nell’ambito del parallelo processo celebrato con il rito
ordinario a carico dei coimputati nel delitto associativo di cui al capo A).
1.6 Il RG. ricorrente, nel proprio atto di impugnazione, attraverso il richiamo dei
passi salienti delle sentenze di primo e secondo grado, lamenta il vizio di manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione sia con riferimento alla ritenuta
insussistenza della circostanza aggravante (recte ipotesi autonoma) di cui al comma 10
dell’art. 416 cod. pen. a carico del GIRAUDO, sia con riferimento alla intervenuta
assoluzione nel merito per i reati-scopo sub B) ed F), sia con riferimento alla intervenuta
assoluzione di alcuni imputati (segnatamente LANESE, PIERI, DONDARINI e ROCCHI) dal

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nullità della sentenza in relazione alla ritenuta conferma di responsabilità per il delitto

delitto associativo loro contestato al capo A) e dai delitti-scopo indicati nelle lettere D),
F), I), U) e A5).
1.7 Ha presentato memoria ex art. 121 cod. proc. pen. l’imputato DONDARINI Paolo
in replica al ricorso proposto nei suoi confronti dal Procuratore Generale avverso la
sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli nell’ambito del
giudizio abbreviato, deducendo l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse
all’impugnazione (essendo comunque i reati estinti per prescrizione), anche sotto il

prospettazione di censure in fatto, come tali non deducibili in sede di legittimità e, in
ultimo, per manifesta infondatezza dei motivi a sostegno.
1.8 Ha presentato memoria ex art. 121 cod. proc. pen. anche l’imputato PIERI
Tiziano in replica al ricorso proposto nei suoi confronti dal Procuratore Generale avverso
la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli nell’ambito del
giudizio abbreviato, deducendo l’inammissibilità del ricorso per ragioni legate alla
prospettazione di censure in fatto, come tali non deducibili in sede di legittimità e,
comunque, per manifesta infondatezza dei motivi a sostegno.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Per ragioni di priorità logica va per primo esaminato il ricorso proposto dal
Procuratore Generale della Repubblica: ciò, in quanto l’eventuale accoglimento del motivo
principale investirebbe non solo la posizione del ricorrente GIRAUDO Antonio, ma anche
quella di altri imputati, prosciolti con ampia formula liberatoria dalla Corte territoriale a
conferma della decisione del Giudice per l’udienza preliminare e interessati dal ricorso del
P.M. e determinerebbe un aggravamento della posizione di tali imputati, ancorchè – per
come si avrà modo di rilevare in prosieguo – anche nella ipotesi di eventuale
qualificazione della condotta del GIRAUDO come inquadrata nell’ambito del comma 10
dell’art. 416 cod. pen. e di riconoscimento della fattispecie associativa nei confronti dei
coimputati assolti PIERI Tiziano, ROCCHI Gianluca, DONDARINI Paolo e LANESE Tullio, si
verserebbe in ipotesi di reati estinti per prescrizione per decorso del termine massimo,
comprensivo anche delle sospensioni verificatesi nella fase di merito (v. postea), non
avendo nessuno dei detti imputati rinunciato ad avvalersi della prescrizione.
2. Tanto premesso in termini generali, occorre brevemente ripercorrere il percorso
argomentativo della Corte distrettuale in riferimento alla fattispecie associativa che
costituisce il principale oggetto del ricorso del Procuratore della Repubblica.

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profilo della inapplicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen.; ancora, per ragioni legate alla

2.1 In sintesi, secondo quanto è dato leggere nel testo della sentenza impugnata, la
Corte territoriale ha confermato l’esistenza di una strutturata associazione delinquenziale
volta, tra l’altro, all’alterazione, o comunque, al condizionamento del campionato
nazionale di calcio professionistica della serie A per l’annata sportiva 2004-2005,
evidenziando la disponibilità ab origine (vale a dire all’atto della costituzione della
associazione e della sua concreta operatività) di un sistema di comunicazione tra i vari
associati sostanzialmente segreta, vale a dire al riparo di intrusioni esterne; sistema di

schede telefoniche estere reperite in Svizzera e poi distribuite in Italia a numerosi
tesserati della F.I.G.C.
2.2 Nel condividere le motivazioni del Giudice per l’udienza Preliminare in punto di
qualificazione giuridica della condotta associativa, la Corte territoriale ha, in particolare,
evidenziato alcuni passaggi salienti della sentenza di primo grado riguardanti, più
specificamente, oltre che la predisposizione di tale sofisticato sistema impenetrabile di
comunicazioni tra i sodali, anche le coincidenze temporali di tali comunicazioni rispetto ad
alcuni avvenimenti sportivi di speciale rilevanza, non mancando di sottolineare l’esistenza
di vere e proprie “riunioni operative” tra MOGGI Luciano Direttore Generale della società
Juventus (indicato come il deus ex machina dell’organizzazione dallo stesso promossa ed
organizzata) e GIRAUDO Antonio amministratore delegato, all’epoca, della società
piemontese e i massimi vertici arbitrali deputati alle designazioni dei direttori di gara per
le singole gare.
2.3 E’ stata evidenziata la natura illecita di tali incontri cui partecipavano anche i
predetti designatori in vista della predisposizione delle cd. “griglie” arbitrali e della
individuazione di alcuni giudici di gara (gli arbitri delle singole partite del campionato),
sottolineandosene i rapporti anomali tra i designatori e i dirigenti juventini (e non solo):
in questo senso veniva valutata – per quanto possa interessare in questa sede l’ingerenza esercitata dal GIRAUDO nella duplice veste di dirigente della società calcistica
e di consigliere federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio, non solo per il
condizionamento di alcune gare in vista del conseguimento di vantaggi per la Juventus,
ma anche per il salvataggio di altre squadre del massimo campionato (come Fiorentina e
Lazio).
2.4 Anche gli interventi della stampa specializzata sportiva sono stati ritenuti dalla
Corte di merito condizionati da interventi di tipo pressorio esercitati (oltre che da MOGGI
Luciano) anche dal GIRAUDO indicato quale vero e proprio istigatore di mirati articoli o
interviste od orientamenti della stampa sportiva volti a proteggere la società Juventus da
attacchi concentrici rivolti alla società piemontese ed agli arbitri che ne avevano diretto
gli incontri in relazione a possibili favoritismi nelle varie gare di campionato; ed ancora,

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comunicazione sapientemente sofisticato, costituito dal possesso, da parte dei sodali, di

ad esprimere giudizi lusinghieri sull’operato di determinati arbitri al fine di tutelarne
l’imparzialità e, di riflesso, tutelare la posizione della società calcistica piemontese.
2.5 Così come il GIRAUDO è stato considerato dalla Corte territoriale soggetto in
grado di interferire sul sistema della giustizia sportiva endofederale in termini tali da
“neutralizzare” iniziative di personaggi noti per avere assunto posizioni rigide e
moralistiche nei confronti di altri soggetti che, pur istituzionalmente deputati a garantire
la trasparenza del gioco, erano stati accusati di commistione con gli interessi della società

i riferimenti sono all’allenatore di calcio Zdenek ZEMAN e all’arbitro REGALBUTO.
2.6 Sulla base di tali elementi era stato, così, ribadito l’inserimento organico e
consapevole del GIRAUDO e di alcuni designatori arbitrali ed arbitri in questo perverso ed
articolato sistema volto a favorire la Juventus.
3. In riferimento alla appartenenza degli imputati PIERI, DONDARINI, LANESE e
ROCCHI alla associazione criminale la Corte territoriale osserva quanto segue.
3.1 Alla posizione dell’imputato LANESE Tullio, all’epoca presidente dell’AIA.
(Associazione Italiana Arbitri) e massimamente impegnato nel cercare di inserire il
suddetto organismo nella componente federale facente capo alla F.I.G.C., Uk Corte
territoriale ha dedicato uno scrupoloso esame dei dati emersi dalle indagini: sono state
monitorate alcune conversazioni tra il LANESE ed altri soggetti a diverso titolo
appartenenti o al mondo arbitrale ovvero ai vertici della Federazione sportiva,
pervenendosi alla condivisibile conclusione che si trattava di conversazione magari in
quale caso eticamente non giustificabili ma penalmente irrilevanti in quanto non
sintomatiche di un inserimento del LANESE nel tessuto associativo, sottolineandosi, quale
circostanza dirimente in suo favore, il fatto che il LANESE non aveva alcun potere di
vigilanza sull’operato non solo degli arbitri ma anche dei designatori. Alcuni interventi
(come quello effettuato nei confronti dell’assistente INGARGIOLA a proposito dell’incontro
di calcio REGGINA-JUVENTUS e degli atteggiamenti collerici del MOGGI verso la terna
arbitrale impegnata in quella gara) sono stati ritenuti non solo inopportuni ma anche
eventualmente rilevanti sul piano disciplinare (omessa segnalazione agli organi di
giustizia di indebiti interventi di tesserati e di altrettanto indebite omissioni da parte della
stessa terna arbitrale), senza tuttavia poter trarre con la dovuta certezza una prova
dell’appartenenza del LANESE all’organizzazione delinquenziale.
4.

Per quanto riguarda le posizioni degli arbitri ROCCHI, PIERI e DONDARINI le

verifiche assolutamente accurate condotte dalla Corte territoriale hanno indotto detto
Giudice ad escludere anzitutto l’inserimento di costoro nella compagine associativa: sono
state – con riferimento al DONDARINI – analizzati i contenuti di una conversazione
svoltasi il 21 settembre 2004 alla vigilia della disputa della gara SAMPDORIA-JUVENTUS
6

juventina, ovvero di tutelare la posizione di arbitri graditi alla suddetta società calcistica:

assegnata alla direzione arbitrale dello stesso DONDARINI, ritenuta di tenore non
rilevante in riferimento alla gara come comprovato da una telefonata successiva tra i
predetti soggetti dopo la disputa della gara dalla quale traspare il riconoscimento di un
“errore tecnico di valutazione” (assegnazione di un calcio di rigore alla Juventus) che non
assume, a giudizio della Corte, valore penalmente rilevante né per l’inserimento del
DONDARINI nella compagine associativa, né per la frode in competizione sportiva riferita
a quella gara (in mancanza di un “quid plurís” tale da far ritenere la gara alterata con
meccanismo fraudolento e non rientrando l’errore tecnico tra gli elementi idonei
all’alterazione della gara in senso penale). Afferma al riguardo la Corte che nemmeno il
sospetto di parzialità dell’arbitro può assurgere ad elemento univoco sintomatico sia
dell’alterazione della gara sia, a maggior ragione, dell’inserimento dello stesso nella
compagine associativa occorrendo raggiungere la prova della consapevolezza e volontà di
avere l’arbitro improntato la direzione della gara con dolo specifico rivolto alla fraudolenta
alterazione del risultato di essa.
5. Ancora più incisivo il giudizio espresso dalla Corte di merito in riferimento alla
posizione dell’arbitro PIERI Tiziano: pur dando atto del possesso da parte del PIERI di
due schede riservate consegnategli dal MOGGI, la Corte ha precisato che tale elemento di
per sé solo considerato fosse inidoneo a comprovare la partecipazione al sodalizio / tenuto
conto che il PIERI non aveva partecipato ad alcuna riunione non è risultato coinvolto nella
“cogestione del campionato” e non è risultato interessato al cd. “salvataggio della
Fiorentina”. Peraltro è stato anche sottolineato che una delle finalità dell’associazione,
nell’ottica della alterazione dell’esito del campionato 2004-2005, era quella di tutelare gli
arbitri che avevano favorito la Juventus o che risultavano “vicini “alla società

e

penalizzare gli arbitri che non favorivano la squadra bianconera. Ed è stato anche
rimarcato che, pur risultando alcune conversazioni telefoniche tra il PIERI e il MOGGI, in
assenza di dati di conoscenza circa i contenuti delle telefonate si trattava di un mero
sospetto penalmente irrilevante. Quanto, poi, alle frodi in competizione sportive la Corte
ha sottolineato il fatto che arbitro ed assistente sono i terminali dell’azione illecita che
avrebbero dovuto alterare le gare: in mancanza di una verifica circa il loro contegno in
campo tale da porsi quale manifestazione di un comportamento deviante, eventualmente
ordito in modo fraudolento all’esterno, doveva trovare applicazione il principio di diritto
secondo cui tra gli atti fraudolenti che integrano il reato di frode sportiva non rientrano le
mere violazioni delle regole del gioco.
6.

Infine, con riferimento alla posizione di ROCCHI Gianluca, è stata la stessa

pochezza degli elementi probatori ad indurre la Corte ad escludere la sua appartenenza al
sodalizio mancando i necessari riscontri circa una condotta fraudolenta in campo da parte
dell’arbitro e soprattutto la prova di indebiti contatti diretti tra Mazzini, Lotito, Bergamo,

7

Z

da un lato, e Rocchi, oltretutto arbitro sostanzialmente esordiente in serie A proprio nel
campionato 2004-2005.
7. Queste essendo le premesse, nel proprio ricorso il Procuratore Generale sottolinea
che proprio la posizione di vertice del GIRAUDO sia in seno alla società calcistica, sia
nell’ambito del Consiglio Federale della F.I.G.C. avrebbe dovuto indurre la Corte
distrettuale a considerare un ruolo di vertice (quanto meno sotto il profilo organizzativo)
del GIRAUDO nella associazione delinquenziale. Ritiene, infatti, il Procuratore Generale

collaborazione con MOGGI Luciano, considerato il vero “motore propulsivo” dell’intera
organizzazione criminale dallo stesso MOGGI costruita, anche il GIRAUDO dovesse
ricoprire un ruolo di ideatore e/o coordinatore, e non quello di un semplice partecipe
come erroneamente ritenuto dal Giudice per l’Udienza preliminare prima, e dalla Corte
distrettuale dopo.
7.1 Anche in riferimento alla posizione dei menzionati DONDARINI, LANESE, PIERI e
ROCCHI la loro appartenenza alla associazione viene ritenuta sussistente dal Procuratore
Generale ricorrente/ che si duole specificamente della erronea valutazione da parte della
Corte di merito di elementi probatori sintomatici dell’inserimento dei detti imputati nel cd.
“sistema MOGGI”, tenuto conto dei rapporti intercorrenti tra costoro ed il dirigente
juventino.
8.

Le censure svolte dal P.G. ricorrente a giudizio del Collegio non contengono

elementi tali da consentire il superamento della soglia di ammissibilità del ricorso.
8.1 Sostanzialmente vengono mosse critiche di omessa motivazione e sua manifesta
illogicità in punto di qualificazione della condotta e del ruolo specifico del GIRAUDO; ma
la stessa tecnica argomentativa utilizzata per criticare la decisione della Corte di merito
non va al di là di una mera enunciazione di alcuni principi generali in tema di elementi
che debbono caratterizzare la partecipazione ad una associazione criminale e di elementi
che debbono distinguere i semplici partecipi dai capi, organizzatori e/o promotori
dell’associazione medesima.
8.2 Osserva il Collegio che, nonostante l’ampiezza del ricorso pagine, sono davvero
pochi i punti che affrontano funditus la questione relativa al ruolo del GIRAUDO in seno
all’organizzazione delinquenziale: il percorso del ricorrente si sviluppa, così come
evidenziato dal Procuratore Generale presso questa Corte nel corso della propria
requisitoria, attraverso un raffronto tra brani estrapolati dalla sentenza di primo grado e
brani estratti dalla sentenza di appello, senza che sia dato cogliere l’esposizione di una
critica vera e propria, lasciando alla Corte di legittimità l’onere di trarre da tale opera di
raffronto formale il compito, non consentitole, di valutare in termini fattualì la correttezza
della decisione. In altri termini, le censure del P.G. ricorrente in realtà sono esposte in
8

che per le caratteristiche degli interventi del GIRAUDO e per i rapporti di strettissima

termini meramente astratti, senza alcuna valutazione critica delle decisioni (o dei punti di
esse) assunte dalla Corte territoriale.
8.3 In riferimento alla posizione del GIRAUDO, il P.G. ricorrente, dopo aver ricordato
per estrema sintesi alcuni passaggi della Corte di merito in ordine ai vari elementi dai
quali è stato tratto il convincimento della esistenza dell’associazione criminosa e
dell’appartenenza del GIRAUDO ad essa, si trattiene in appena una pagina (in particolare
una minima parte della pag. 10 e parte della pagina successiva del ricorso), per esporre

del ruolo) del GIRAUDO: critica davvero insufficiente per superare le asserite lacune
motivazionali, tanto più che – con tecnica espositiva non condivisibile – il ricorrente P.G.
si sofferma, poi, nel riportare ampi stralci della motivazione della sentenza impugnata per
censurare la motivazione in riferimento alle due residue imputazioni di frode sportiva
compendiate nei capi B) ed F) dell’imputazione (contestati al GIRAUDO e per le quali era
intervenuta la pronuncia assolutoria della Corte distrettuale), limitandosi a ricordare i
passaggi della sentenza senza la minima valutazione critica relativa alle motivazioni rese
dalla Corte di merito per giustificare le due assoluzioni. Basta, del resto, evidenziare che
nell’affrontare le questioni connesse a tali due capi di imputazione il P.G. ricorrente si è
limitato a trascrivere nelle pagg. 19-49 le motivazioni della sentenza del G.U.P., senza
aggiungere alcuna, sia pur minima, nota critica per contestare le decisioni della Corte
territoriale.
8.4 Neanche nelle pagine successive si colgono spunti di critica specifica sollevata
dal P.G. ricorrente in merito alle assoluzioni del GIRAUDO per i due delitti di frode
sportiva sopra indicati, sicchè può agevolmente pervenirsi alla conclusione che il ricorso
proposto nei riguardi della sentenza della Corte territoriale per ciò che attiene alla
posizione del GIRAUDO globalmente considerata, al di là di quelle brevi, stereotipate e
generiche enunciazioni sul delitto di associazione per delinquere e sulla figura
dell’organizzatore nelle sue possibili articolazioni esposte nelle pagg. 10 e 11 del ricorso,
è sostanzialmente vuoto di contenuto e dunque privo di una motivazione: il che rende

Me,

il ricorso inammissibile.
9. Considerazioni del tutto analoghe vanno svolte con riferimento a quelle parti del

ricorso riguardanti le assoluzioni dal delitto associativo degli imputati LANESE,
DONDARINI, ROCCHI e PIERI: la tecnica espositiva è la stessa (un disorganico collage di
brani della sentenza del GUP e brani della sentenza della Corte di Appello, senza alcuna
valutazione autonoma di tipo critico verso l’operato della Corte distrettuale).
9.1 Per quanto, in particolare, riguarda l’imputato LANESE Tullio, il ricorrente P.G.
dopo aver riportato alcuni passaggi della sentenza di appello nelle pagg. 11-17 del
proprio ricorso, accenna ad una critica verso la motivazione resa dalla Corte territoriale
9

le censure in ordine al difetto di motivazione in punto di qualificazione della condotta (e

nelle pagg. 17 e 18: ma si tratta, ancora una volta, di censure del tutto generiche che
non si ricollegano alla articolata motivazione del giudice di appello. E, a riprova della
genericità dei contenuti del ricorso formulato in relazione alla posizione del LANESE, il
P.G. ricorrente ripropone nelle pagg. 19-49 alcune parti della sentenza del GUP, quasi a
voler fare risaltare una carenza motivazionale del giudice di secondo grado sulla base del
raffronto tra la sentenza del G.U.P. e quella della Corte di Appello.
10.

Identica tecnica argomentativa adopera il P.G. ricorrente anche per quel che

ricorrente, dopo aver premesso che la Corte territoriale sarebbe incorsa “in evidenti errori
nel motivare la posizione dell’imputato DONDARINI Paolo, condannato dal G.U.P. per i
reati di frode sportiva in ordine ai capi F) e A5)” (così, testualmente, a pag. 56 del
proprio ricorso), esordisce deducendo il vizio di travisamento delle emergenze processuali
e per dare forza a tale critica, si preoccupa unicamente di riportare – attraverso la fedele
trasposizione del testo – un ampio passaggio motivazionale della sentenza di appello che
occupa le pagine 57. 58 e 59, per poi passare alla trasposizione di parte della sentenza
del GUP (pagg. 59-64).
11. Anche con riferimento alla posizione riguardante l’imputato ROCCHI Gianluca la
tecnica argomentativa del P.G. ricorrente non si discosta dal

clichè precedentemente

indicato, nel senso che, dopo una brevissima esposizione riguardante l’assoluzione
dell’imputato dalla imputazione di cui al capo U), ancora una volta vengono riportati
stralci delle motivazioni della sentenza della Corte di merito alternate a quelle del GUP,
per poi passare alla ricostruzione della genesi delle condotte fraudolente dispiegate in
favore della società SS. Lazio in modo da poter ricollegare la posizione del ROCCHI
(arbitro, a quell’epoca, sostanzialmente esordiente in serie A avendo fino a quel
momento arbitrato solo tre gare del massimo campionato) a quella, ben più complessa,
riguardante i rapporti tra CARRARO Franco (Presidente della F.I.G.C. nei cui confronti era
stata emessa sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen.), LOTITO
Claudio (Presidente della società capitolina) ed i designatori arbitrali PAIRETTO Pierluigi e
BERGAMO Paolo, in vista della protezione degli interessi di tale società da rischi di
retrocessione nel campionato 2004-2005.
11.1 Ma il denunciato vizio di travisamento delle prove – che per inciso costituisce un
tipico esempio di contraddittorietà processuale (in termini Sez. 6^ 18.11.2010 n. 8342,
P.G. in porc. Greco, Rv. 249583) – non emerge dal contenuto del ricorso, ancorchè molto
articolato nell’esame delle singole posizioni dei soggetti sopra indicati. A differenza del
cd. “travisamento del fatto”, il cui esame è precluso in sede di legittimità, esulando dai
poteri della Suprema Corte quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e
più adeguata valutazione delle risultanze processuali, il travisamento della prova si
10

attiene le censure verso la conferma dell’assoluzione di DONDARINI Paolo: il P.G.

verifica quando nella motivazione si introduca un’informazione rilevante che non esiste
nel processo ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia
e dunque rientra a pieno titolo nel sindacato del giudice di legittimità (Cass. Sez. 5^
39048/07 cit.; Cass. Sez. 3^ 18.6.2009 n. 39729, Belluccia e altri, Rv. 244623). Il
travisamento in questione deve essere decisivo, nel senso che esso assume rilevanza
specifica solo se “l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento
probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato

«doppia conforme>> e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato
probatorio” (Sez. 6^ 16.1.2014 n. 5146, Del Gaudio e altri, Rv. 258774; conforme Sez.
1^ 15.6.2007 n. 24667, Musumeci, Rv. 237207).
11.2 Nel caso in esame nonostante gli sforzi argomentativi del P.G. ricorrente, da
nessuna delle pagine comprese tra 66 e 95 è dato cogliere il travisamento denunciato.
12.

Per quanto riguarda, infine, la posizione dell’imputato PIERI, nessuna

argomentazione specifica viene svolta dal P.G. ricorrente che, anche in questo caso, si è
limitato, con la consueta tecnica del “copia ed incolla”, ad una trasposizione di ampi brani
delle due sentenze di primo e secondo grado in cui si fa cenno (anche) alla posizione di
tale arbitro, senza tuttavia che sia dato cogliere un, seppur minimo, spunto critico da
parte del P.G. ricorrente nei confronti della sentenza impugnata in relazione alla
posizione di tale imputato.
13. Con riferimento, poi, alle censure sollevate nel ricorso quanto alle assoluzioni
pronunciate nei riguardi dei suddetti imputati in relazione alle varie frodi sportive indicate
nei capi di imputazione sub D), F) I) e A5), vanno ribadite le osservazioni già formulate
da questo Collegio con riferimento alle imputazioni sub B) ed F) contestate all’imputato
GIRAUDO Antonio. Si tratta, in buona sostanza, di una inusuale tecnica del “collage” tra
interi passi della sentenza impugnata e passi tratti dalla sentenza di primo grado,
contenente, oltretutto, una serie di rilievi in fatto che comporterebbero un intervento
della Corte Suprema teso ad attribuire alle intercettazioni, agli incontri ed, in generale, ai
fatti accaduti riconducibili a determinate gare del massimo campionato, significati diversi
rispetto a quelli dati dl giudice di merito. Peraltro i rilievi del P.G. ricorrente risultano
anche genericamente formulati nella misura in cui non si coglie la presenza di critiche
specifiche, ma di riferimenti, nemmeno commentati, alla articolata e convincente
motivazione resa dalla Corte di Appello.
14. Alla luce di tali considerazioni sono certamente da condividere i rilievi contenuti
in parte qua nelle due memorie ex art. 121 cod. proc. pen. depositate nell’interesse degli
imputati DONDARINI Paolo e PIERI Tiziano, laddove si segnala la genericità dei motivi
addotti a sostegno del ricorso del Procuratore Generale e la prospettazione di censure in
11

processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta

punto di fatto rivolte alla approfondita motivazione della sentenza, soprattutto con
riferimento alla esclusione delle ipotesi associative nei riguardi dei detti imputati.
15. In conclusione il ricorso del P.G. va dichiarato inammissibile.
16.

Passando all’esame dei ricorsi presentati nell’interesse dell’imputato GIRAUDO

Antonio, va ricordato, in punto di fatto, che lo stesso, chiamato a rispondere del reato
associativo ex art. 416 comma 10 cod. pen. finalizzato alla commissione di frodi sportive
e di una serie di frodi sportive meglio compendiate nei capi B), E), F), Q), Z) ed A3), è

commesso il fatto, dopo che già il Giudice per l’Udienza Preliminare del Tribunale di
Napoli con sentenza del 14 dicembre 2009 aveva assolto il detto imputato con identica
formula dai reati originariamente ascrittigli ai capi E), Z) e A3). La responsabilità del
GIRAUDO è stata, invece, confermata limitatamente al reato associativo (con esclusione
del ruolo di promotore ideatore o organizzatore) ed al reato di frode sportiva enunciato
nel capo Q).
17. Prima di esaminare in concreto la fondatezza dei motivi addotti a sostegno dei
due ricorsi, appare utile riepilogare i punti salienti che hanno indotto il giudice di appello
a confermare la penale responsabilità del detto imputato limitatamente ai reati sub A) e
Q

).

18. Per quanto riguarda il delitto associativo, la Corte territoriale, nel richiamare i
passaggi salienti della sentenza di primo grado relativi alla configurabilità del delitto
associativo anche in rapporto ai reati-fine (punti già accennati nella presente sentenza a
proposito del ricorso del Procuratore Generale), ha analizzato alcuni profili specifici
riguardanti, in particolare, l’inserimento di GIRAUDO Antonio nel sodalizio criminale. La
Corte di Napoli, dopo aver premesso che la doppia veste di Consigliere federale in seno
alla F.I.G.C. e di dirigente della società calcistica Juventus ha attribuito al GIRAUDO una
particolare e notevole visibilità “cui si accompagnava un concreto potere decisionale non
solo nell’ambito proprio della squadra ma anche nelle questioni e relazioni esterne”, ha
confermato, poi, l’impostazione del primo giudice secondo la quale quel potere
decisionale era stato asservito agli scopi associativi. E’ stata, quindi, disattesa la tesi
difensiva secondo la quale le molteplici relazioni intessute dal GIRAUDO nell’ambiente
calcistico costituissero la normale estrinsecazione di un ruolo di vertice ricoperto in seno
alla società calcistica ed alla Federazione, condividendosi la tesi – già sostenuta dal
G.U.P. – di una indebita commistione della funzione pubblica e privata con consapevole
adesione alla realizzazione degli scopi illeciti dell’associazione predetta. Sono stati passati
in rassegna i diversi coinvolgimenti del GIRAUDO – a vario titolo – nella organizzazione
criminale messa in piedi da MOGGI Luciano, sottolineandosi: a) la continuità di incontri
con i referenti istituzionali in tutte quelle occasioni nelle quali avveniva la condivisa
12

stato assolto dalla Corte territoriale anche dalle imputazioni di cui B) e F) per non aver

manomissione delle sorti del campionato attraverso la predeterminazione delle griglie
arbitrali (emblematiche alcune telefonate puntualmente indicate dalla Corte di Napoli,
quali quella relativa ad un incontro a quattro tenutosi il 21 settembre 2004 a casa del
GIRAUDO tra i designatori arbitrali PAIRETTO e BERGAMO e i due dirigenti juventini
MOGGI e GIRAUDO, incontro considerato programmatico in vista del condizionamento di
alcuni arbitri e che denotava certamente l’intenzione dei detti personaggi a gestire il
campionato in corso nell’interesse della Juventus); b) l’incontro tenutosi il 2 dicembre

MOYGGI e GIRAUDO, avente per oggetto, ancora una volta – ed al di là dell’apparente
giustificazione dello scambio di doni in vista delle festività natalizie – la gestione del
campionato e la definizione delle sorti sempre nell’interesse della società bianconera; c)
la telefonata del 9 febbraio 2005 a conferma della riunione avvenuta 1’8 febbraio
precedente sempre tra i due designatori arbitrali e i due dirigenti juventini, avente per
oggetto, oltre che gli assetti politici del mondo del calcio / anche e soprattutto la
preparazione delle fasce arbitrali all’interno delle quali effettuare i sorteggi e le scelte
degli arbitri da impiegare nelle partite di calcio immediatamente successive; d) le
numerose conversazioni e incontri in prossimità delle nomine dei vertici federali [nomine
che vedranno la riconferma del Presidente CARRARO Franco a capo della F.I.G.C.,
dell’A.D. del Milan GALLIANI Adriano e dello stesso GIRAUDO Antonio quali consiglieri di
Lega di serie A e B]; e) gli incontri finalizzati al salvataggio della Fiorentina, cui anche il
GIRAUDO non era rimasto estraneo; f) l’ostracismo del GIRAUDO (oltre che del MOGGI)
manifestato a chiare lettere nei confronti dell’allenatore di origine cecoslovacca ZEMAN
Zdenek, indicato quale soggetto “disturbatore” che avendo denunciato numerose
anomalie nel mondo del calcio, anche con riferimento alla società Juventus, doveva non
solo essere tenuto a distanza, ma di fatto emarginato dall’ambiente calcistico che
contava composto oltre che dalla Juventus, anche da altre squadre blasonate. La Corte
territoriale, chiamata a pronunciarsi sulle numerose doglianze formulate dai difensori del
GIRAUDO, aveva disatteso la tesi da costoro prospettata di una partecipazione del
GIRAUDO ad incontri che avevano solo un connotato “conviviale” senza alcuna
caratterizzazione illecita volta alla manomissione del campionato; aveva anche disatteso
la tesi della asserita estraneità del GIRAUDO all’organizzazione criminale in quanto mai
destinatario né possessore o mero detentore delle cd. “schede telefoniche estere” (che
erano state considerate tanto dal GUP che dalla Corte di merito il dato di partenza per
quanto riguardava la nascita dell’organizzazione criminale), traendo spunto per
l’inserimento del GIRAUDO nella compagine associativa da elementi di segno diverso
quali gli incontri, già in parte segnalati e giudicati anomali, tra lo stesso GIRAUDO, il
MOGGI e i due designatori arbitrali. La Corte territoriale, pur prendendo atto della
mancata consegna al GIRAUDO di schede estere, ha ritenuto non decisivo (al fine di
dedurre l’insussistenza della fattispecie associativa come preteso dai difensori) il mancato
13

2004, stavolta a casa PAIRETTO, alla quale sono risultati aver partecipato BERGAMO,

possesso di tali schede, in considerazione dei fittissimi e continuativi rapporti più che
confidenziali tra costoro che rendevano superflua tale operazione.
18.1 Sulla base di tali elementi è stata quindi confermata la partecipazione del
GIRAUDO all’associazione criminale.
19. Con riferimento, invece, alla conferma del giudizio di colpevolezza per il reato
sub Q), si ritiene utile riepilogare la parte della motivazione dedicata a tale episodio. La
Corte territoriale è partita dai contenuti del capo di imputazione, secondo il quale il

e genuina procedura di individuazione delle cd. “griglie arbitrali” ed il successivo
sorteggio del direttore di gara in relazione all’incontro Juventus – Udinese (gara disputata
a Torino il 13 febbraio 2005) e finalizzati a predeterminare il risultato di 2-1 (risultato poi
verificatosi), esito perseguito anche mediante la designazione fraudolenta della terna
arbitrale che si adoperava per il raggiungimento di un risultato favorevole alla squadra di
cui MOGGI e GIRAUDO erano i massimi dirigenti. Ciò premesso, la Corte di Napoli
ripercorre le argomentazioni svolte dal G.U.P. incentrate su una telefonata intercorsa tra
il designatore BERGAMO Paolo ed il direttore Generale della Juventus MOGGI Luciano in
data 9 febbraio 2005, nel corso della quale i due interlocutori parlavano della
composizione delle griglie nel dettaglio, elencando le partite e gli arbitri da inserire in
ciascuna fascia: da tale conversazione risulta che il MOGGI aveva indicato i nomi degli
arbitri BERTINI, PAPARESTA, TREFOLONI, RACALBUTO e RODOMONTI e che tali
indicazioni in linea di massima coincidevano con i propositi del designatore BERGAMO.
19.1 II tenore probatorio di tale conversazione in vista della ritenuta fattispecie del
delitto di frode sportiva, già significativamente valorizzato dal G.U.P. è stato avallato
dalla Corte di merito proprio per evidenziare il metodo “ritenuto anomalo” usato dai
protagonisti della vicenda circa la composizione delle fasce, presupposto indispensabile e
condizionante dell’esito del “sorteggio”.
19.2 Altro dato preso in esame dalla Corte di Appello sulla scorta delle puntuali
argomentazioni del giudice di primo grado è quello relativo ad una telefonata intercorsa
lo stesso 9 febbraio 2005 tra il designatore BERGAMO e la dirigente della F.I.G.C. FAZI
Maria Grazia, alla quale il BERGAMO riferisce di un precedente colloquio con MOGGI ove
quest’ultimo indicava le proprie preferenze come assistenti per l’imminente partita della
Juve nelle persone di AMBROSINI e FOSCHETTI e lo stesso BERGAMO, per fingere di non
accontentarlo, rispondeva che avrebbe mandato tali RICCI e GEMIGNANI.

14

GIRAUDO, in concorso con altri, compiva atti fraudolenti consistiti nell’alterare la corretta

19.3 La concatenazione delle due telefonate unita alla circostanza che effettivamente
la partita JUVENTUS-UDINESE venne arbitrata dal RODOMONTI (uno degli arbitri
suggeriti dal MOGGI con l’avallo del designatore BERGAMO) e ad altra circostanza evidenziata dalla Corte territoriale – relativa alla “visita” dopo la partita del MOGGI e del
GIRAUDO negli spogliatoi per fare i complimenti all’arbitro, sono state giudicate dalla
Corte territoriale altamente sintomatiche della ingerenza del MOGGI nell’attività di
formazione delle griglie di competenza dei designatori, con l’indicazione dei nominativi

19.4 Ma anche il GIRAUDO non viene giudicato estraneo a tale episodio in relazione
ad altre telefonate intercorse alcuni giorni prima tra il MOGGI ed il GIRAUDO (viene citata
la telefonata intercorsa tra i due dirigenti il 6 febbraio 2005) in cui vengono espresse
preoccupazioni in ordine agli atteggiamenti arbitrali e la necessità di un intervento
“autorevole” da parte dei designatori arbitrali per porre rimedio ad una situazione che si
delineava preoccupante per le sorti della squadra juventina (incontro avvenuto nei giorni
immediatamente successivi a quella telefonata).
20.

Ritornando, adesso, ai motivi addotti a sostegno dei due ricorsi relativi al

GIRAUDO, prima di esaminare il motivo processuale legato alla dedotta inutilizzabilità
delle intercettazioni sotto diversi profili (la cui valutazione si ritiene di svolgere in fine
all’esame di alcune questioni generali qui di seguito enunciate), il Collegio ritiene utile
soffermarsi su quei motivi, di portata più generale, concernenti la fattispecie associativa
e la fattispecie del delitto di frode sportiva, e la loro configurabilità.
20.1 A tali due figure criminose sono dedicate le persistenti critiche (già sollevate
con gli atti di appello) in riferimento non solo, e non tanto, al difetto di motivazione
quanto in riferimento alla erronea applicazione della legge penale.
21. Iniziando dal primo dei due reati sopra menzionati, nel ricorso predisposto dal
difensore Avv. Krogh, il secondo motivo è dedicato al difetto assoluto di motivazione con
riferimento alla configurabilità del delitto associativo in capo al GIRAUDO, mentre il terzo
motivo afferisce alla manifesta illogicità della motivazione in punto di attribuibilità del
reato associativo al GIRAUDO sulla base di una presunta inscindibilità tra la sua posizione
e quella del MOGGI.
21.1 Nel ricorso a firma dell’Avv. Galasso si censura la decisione della Corte in ordine
alla conferma della sussistenza dell’associazione delittuosa pur in assenza dei reati-fine in
relazione alla erronea configurazione giuridica da parte della Corte di tale fattispecie
delittuosa.
21.2 Come è agevole notare, quindi, la parte della sentenza con la quale si conferma
la sussistenza del delitto di associazione per delinquere e la partecipazione comunque del
GIRAUDO al detto sodalizio viene criticata sotto diverse angolature.
15

graditi da inserire nella fascia.

21.3 Ritiene il Collegio che, al di là delle corrette risposte fornite su tali specifici punti
dalla Corte distrettuale, gli argomenti addotti dai difensori non possano essere condivisi.
Nel pervenire a tale conclusione, il Collegio ritiene necessario svolgere alcune
indispensabili puntualizzazioni, in risposta agli specifici rilievi formulati in seno ai due
ricorsi, non apparendo sufficiente per ricavare l’infondatezza dei motivi, l’affermazione
che essi rappresentano una riproposizione degli stessi motivi enunciati nella fase di
merito.

di associazione per delinquere come risulta delineato dall’art. 416 cod. pen.
22. Può dirsi del tutto pacifico l’orientamento di questa Suprema Corte secondo il
quale il delitto in parola è caratterizzato da tre elementi fondamentali rappresentati,
anzitutto, dal cd. pactum sceleris tra almeno tre persone, tendenzialmente permanente,
o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti
concretamente programmati; ancora, dalla predisposizione di un programma
delinquenziale indeterminato che vale a distinguere il reato in esame dal concorso di
persone nel reato ed, infine, dall’esistenza di una struttura organizzativa, anche se
minimale e rudimentale, che risulti però idonea e soprattutto adeguata alla realizzazione
degli scopi prefissati dai vari sodali e che denoti la consapevolezza da parte dei singoli
adepti, di far parte del gruppo e di condividerne gli scopi (in termini, tra le tante, Sez. 1^
14.7.1998 n. 10107, Rossi ed altri, Rv. 211403; Sez. 2^ 3.4.2013 n. 20451, Ciaramitaro
ed altri, Rv. 256054 in cui si fa presente la consapevolezza da parte dei sodali di operare
nel tempo per l’attuazione del programma criminoso).
22.1 Quanto all’elemento soggettivo il delitto

de quo è

connotato dal dolo

specifico caratterizzato, oltre che dalla volontarietà della condotta associativa,
dall’ulteriore finalità di commettere dei delitti (non rilevano dunque scopi meramente
antisociali o immorali), i quali, per ragioni logiche, non potranno che essere dolosi.
22.2 Con riferimento all’elemento temporale della durata del vincolo (questione
sollevata dalla difesa del ricorrente in relazione alla estrema limitatezza nel tempo della
supposta associazione criminosa in quanto – per come si deduce dal capo di imputazione
– destinata ad operare solo con riferimento alla stagione sportiva 2004-2005), va subito
precisato che si tratta di un dato non decisivo ai fini della esclusione o meno della
configurabilità della fattispecie.
22.3 Infatti, come più volte affermato da questa Corte Suprema, ai fini della
configurabilità della fattispecie in esame, “non è sempre necessario che il vincolo si
instauri nella prospettiva di una permanenza a tempo indeterminato, e per fini di
esclusivo vantaggio dell’organizzazione stessa, ben potendo, al contrario, assumere
rilievo forme di partecipazione destinate, «ah origine», ad una durata limitata nel
16

21.4 Premessa indefettibile è quindi la disamina degli elementi strutturali del delitto

tempo e caratterizzate da una finalità che, oltre a comprendere l’obiettivo vantaggio del
sodalizio criminoso, in relazione agli scopi propri di quest’ultimo, comprenda anche il
perseguimento, da parte del singolo, di vantaggi ulteriori, suoi personali, di qualsiasi
natura, rispetto ai quali il vincolo associativo può assumere anche, nell’ottica del
soggetto, una funzione meramente strumentale, senza per questo perdere nulla della
rilevanza penale”.

(Sez. 2^ 24.3.2011 n. 16606, Agomeri Antonelli, Rv. 250316; v.

anche Sez. 1^ 18.3.2011 n. 31845, D. ed altri, Rv. 250771, in cui si afferma che anche

22.1.1997 n. 5649, Dominante e altri, Rv. 208903)
22.4 Così come è irrilevante nello schema della figura delittuosa in questione la
circostanza che i delitti programmati non vengano, in tutto o in parte, realizzati o che
siano commessi da alcuni soltanto degli associati (vds. Sez. 4^ 28.1.2014 n. 8092,
Prezioso e altri, Rv. 259129; Sez. 1^ 3.4.1997 n. 5036, Pesce ed altri, Rv. 207792).
22.5 Si è anche precisato che la figura delittuosa in esame rientra nella categoria dei
delitti contro l’ordine pubblico che viene in concreto leso dall’esistenza dell’associazione e
dall’allarme sociale che questa suscita. L’argomento è stato poi specificamente affrontato
nel ricorso a firma dell’Avv. Krogh in cui si prospetta la tesi che / non potendo il reatoscopo di frode sportiva considerarsi reato contro l’ordine pubblico, ciò riverberebbe in
termini negativi sulla configurabilità del reato associativo per una sostanziale
incompatibilità tra il reato mezzo ed il reato fine (v. postea).
22.6 E’ da escludere che tra il reato associativo ed i singoli reati-scopo sia ravvisabile
un vincolo rilevante ai fini della continuazione e, meno ancora, della connessione
teleologica, posto che, normalmente, al momento della costituzione della associazione, i
reati-fine sono previsti solo in via generica.
23. Così esposti i tratti generali della figura delittuosa di cui all’art. 416 cod. pen.
occorre verificare se – con riferimento alla posizione del ricorrente GIRAUDO – la Corte di
merito abbia fatto buon governo dei principi di diritto sopra ricordati.
23.1 A tale fine occorre ricordare che nel capo d’imputazione (capo che è comune
rispetto agli altri soggetti imputati nell’ambito del processo celebratosi con le forme
ordinarie) sono certamente presenti – come correttamente rilevato dalla Corte di merito
– gli elementi sintomatici della stabilità del gruppo di persone e del numero non inferiore
a tre, delle persone inserite nella compagine associativa; delle finalità (illecite) perseguite
e dell’esistenza di una ben strutturata ed articolata organizzazione idonea al
perseguimento degli obbiettivi prefissati, senza che possa inferirsi la genericità della
contestazione come parrebbe profilarsi tra le righe dei due ricorsi.
23.2 Con riferimento al numero delle persone, i plurimi dati processuali esaminati
dalla Corte distrettuale hanno confermato la compresenza di soggetti con funzioni e
17

un vincolo di breve durata può ben integrare la fattispecie in parola; conforme Sez. 6^

qualifiche diverse, portatori di interessi individuali diversi, per la cui realizzazione,
tuttavia, è imprescindibile la commissione di un certo tipo di reato (il reato di frode
sportiva, come si vedrà meglio in prosieguo).
23.3 Quanto agli scopi perseguiti, questi sono stati esteriorizzati attraverso la
realizzazione indeterminata di più delitti di frode sportiva (nelle sue varie sfaccettature,
come si desume dai capi di imputazione successivi a quello sub A) rientranti in apposito
programma delittuoso: tale reato-scopo, come correttamente osservato dal Procuratore

perseguimento di obbiettivi ulteriori, non necessariamente destinati ad incidere sui
risultati di singole competizioni partite, ma, più in generale, indirizzati alla
predeterminazione degli esiti del campionato di serie A 2004-2005.
24. In linea generale – estendendo il significato della frode sportiva a qualsivoglia
manovra ideata in vista dell’alterazione dei risultati del campionato di calcio – la frode
sportiva non può essere circoscritta al classico caso dell’alterazione di una determinata
gara sportiva, anche perché occorre tenere presente la struttura della norma penale che
ha introdotto questa nuova figura di reato nel panorama normativo statale.
24.1 In questo senso può allora affermarsi che le frodi sportive si pongono a servizio
di peculiari esigenze – come ha sottolineato il Procuratore Generale – perseguite da
alcuni dei consociati che manifestavano uno specifico interesse a far parte
dell’associazione: in quest’ottica vanno, per esempio, valutate quelle manovre dirette ed
esercitare un potere di controllo sui vertici federali (come nel caso delle manipolazioni di
risultati in danno dei fratelli DELLA VALLE, dirigenti della società di calcio FIORENTINA
costretti poi a ricorrere ad interventi di altri dirigenti – quali, per quanto qui rileva – il
GIRAUDO – al fine di evitare la retrocessione nel campionato inferiore ed in generale
ripristinare un equilibrio tra gruppi di società e lobbyes dirigenziali fino a quel momento
in posizioni contrapposte).
24.2 Ma di frodi sportive si può ben parlare anche in riferimento ad altri interessi
come, sempre per quel che riguarda l’odierno ricorrente, la tutela di una determinata
squadra cui assicurare a qualunque costo una posizione di vertice nel campionato,
attraverso la neutralizzazione in via preventiva del rischio di sconfitte. Ma anche la
gestione di determinate strategie in vista della attribuzione di posizioni di vertice
all’interno del sistema federale che fungessero da idonee garanzie per il condizionamento
del campionato e per il successo di una determinata squadra (nel caso in esame, la
JUVENTUS).
24.3 I punti controversi emersi dalla lettura dei due ricorsi presentati nell’interesse
del GIRAUDO riguardano specificamente la nascita dell’associazione con i connessi
problemi legati alla individuazione dei suoi componenti, ai singoli ruoli ed alle strutture
18

Generale nella propria requisitoria, si atteggia anche come strumento per il

organizzative che ne costituiscono parte integrante; la configurabilità del delitto di cui si
discute in riferimento al(l’unico) delitto-scopo di frode sportiva nella sua accezione come
risulta delineata nel comma 2° dell’art. 1 della L. 401/89.
24.4 Come è dato leggere nella sentenza impugnata, l’associazione in parola sorge
per iniziativa del suo ideatore e promotore MOGGI Luciano e la prima manifestazione di
operatività dell’associazione è costituita dall’acquisizione, sempre ad opera del MOGGI, di
schede telefoniche estere comprate in Svizzera e in grado di neutralizzare tentativi di

(inizialmente all’arbitro PAPARESTA Gianluca e al di lui padre ed ex arbitro PAPARESTA
Romeo) a quei soggetti con i quali avrebbe dovuto, di volta in volta, interfacciarsi per il
perseguimento di determinate esigenze (tutte rientranti in quel programma criminoso cd.
“globale”), ponendosi al riparo di occhi ed orecchie indiscrete: tale inusuale, e per certi
versi ingegnoso, sistema relazionale costituisce la base fondante del funzionamento
dell’associazione come esattamente ritenuto dalla Corte di Appello.
24.5 Ma non è questo soltanto il dato probatorio esaminato e valutato da parte della
Corte distrettuale per confermare l’esistenza dell’associazione e l’intraneità del GIRAUDO
nel sistema illecito facente capo a tale struttura. Anzi si è visto che proprio l’argomento
delle schede estere è stato sminuito a fronte di una penetrante critica da parte della
difesa del GIRAUDO volta a dimostrare come il mancato possesso da parte di costui della
scheda estera costituisse indice inequivoco della non appartenenza del GIRAUDO alla
compagine associativa.
24.6 Portata decisiva – come si è dianzi accennato – è stata attribuita anzitutto alle
numerose conversazioni telefoniche cennate in precedenza (conversazioni sulle quali si
incentra uno dei motivi del ricorso dell’avv. Krogh basato sulla inutilizzabilità di tali
intercettazioni, sui quali v. postea) che vedono tra i protagonisti proprio il GIRAUDO; ai
risultati dei tabulati telefonici dimostrativi della pluralità e costanza dei contatti tra i vari
consociati; ancora, agli incontri nient’affatto “conviviali” come dedotto dalle difese del
ricorrente, svoltisi, di volta in volta, presso le abitazioni private di ciascuno di quei
partecipanti a determinate riunioni definite, a ragione, dalla Corte, di carattere
programmatico e destinate ad una cerchia davvero ristretta di persone (GIRAUDO,
MOGGI, PAIRETTO e BERGAMO), spesso tenute a ridosso di determinati incontri calcistici
(circostanza che è stata tenuta presente dal giudice di merito per affermare la illiceità
penalmente rilevante di tali incontri “riservati”; alla partecipazione del GIRAUDO (ma non
solo di costui) alla cerimonia della predisposizione delle cd. “griglie arbitrali”; alla
partecipazione – sempre del GIRAUDO – ad alcuni incontri finalizzati al salvataggio della
società di calcio FIORENTINA, anche questi dimostrativi della sussistenza del delitto di
frode sportiva in relazione alla necessità di un intervento risolutore dell’entourage di
MOGGI Luciano.
19

intrusione da parte di estranei. Con tale sistema il MOGGI distribuirà le schede suddette

24.7 Sotto altro profilo si osserva che da parte del giudice distrettuale è stata
confermata la sussistenza del reato-fine di frode sportiva

latu senso intesa (cioè non

strettamente legata alla manipolazione di una determinata gara del campionato, ma,
comunque, volta ad alterare attraverso determinati interventi dall’alto, risultati calcistici
diretti ad assicurare la permanenza di determinate compagini sportive nel massimo
campionato come i casi della Lazio e della Fiorentina). Né può costituire prova della
inconfigurabilità della associazione la circostanza che alcuni dei delitti-fine siano stati poi

identica natura compiutamente contestati.
25. Riservandosi di analizzare nel prosieguo la struttura di tale reato, il Collegio non
può che ribadire la portata, penalmente illecita, delle operazione di predisposizione delle
griglie arbitrali che la difesa del ricorrente ha invece ritenuto – pur se dimostrabile in
fatto – di valenza neutra ai fini della integrazione della fattispecie, se non addirittura
inidonea ad influire sul risultato sportivo, posto che altre condotte ben più sintomatiche
quali, in ipotesi, l’alterazione dei sorteggi arbitrali ovvero l’anomalia nelle conduzioni
arbitrali di determinate partite, sono rimaste del tutto indimostrate. Ed infatti le
osservazioni critiche della difesa del ricorrente fanno leva sulla irrilevanza dell’operazione
di formazione delle griglie nell’economia generale del delitto di frode sportiva per poi
inferirne l’insussistenza e, di riflesso, l’inconfigurabilità del delitto associativo.
25.1 A ben vedere (come meglio si osserverà in prosieguo), si tratta di una visione
riduttiva del concetto di illiceità penale di una determinata fattispecie, in quanto la
condotta riferibile alla predisposizione delle griglie arbitrali non può considerarsi
preliminare rispetto allo svolgimento della gara – e come tale, inidonea ad alterarne il
risultato – innestandosi invece in un complesso meccanismo operativo che vede quella
manovra come non soltanto propedeutica alla assegnazione delle gare a determinati
arbitri e, dunque, ad un possibile loro condizionamento da parte dei vertici dirigenziali di
determinate società (per quanto qui di interesse la Juventus attraverso i menzionati
MOGGI e GIRAUDO) in combutta con i vertici arbitrali (PAIRETTO e BERGAMO), ma come
dimostrativa della vicinanza dell’arbitro di volta in volta designato, ai soggetti attivi
nell’ipotizzato gruppo associativo.
25.2 Al riguardo va subito precisato che la Corte d’appello ha qualificato il reato in
esame interpretandolo in termini di delitto di “attentato al bene tutelato della lealtà e
correttezza sportiva” (concetto sul quale si tornerà di qui a breve).
25.3 Come ricordato dalla Corte di Appello il sistema di predisposizione delle griglie
arbitrali, almeno con riferimento alla stagione sportiva 2004-2005, era piuttosto diffuso
ed in proposito sono state evidenziate dal giudice distrettuale alcune intercettazioni
intervenute tra il designatore arbitrale BERGAMO e il dirigente dell’INTER, FACCHETTI
20

ritenuti insussistenti, essendo comunque emersa la prova della sussistenza di altri reati di

Giacinto (telefonata del 26 novembre 2004) e sempre tra ítdetto designatore ed il
dirigente del MILAN MEANI (telefonata del 28 aprile 2005) i cui sviluppi non sono stati
approfonditi dalle indagini di P.G.
25.4 Quel che è importante rimarcare è, però, la formulazione del capo di
imputazione il quale – in riferimento al delitto associativo (ma anche al delitto di frode
sportiva) – evoca un sistema volto all’alterazione dei risultati sportivi che va ben al di là
della predisposizione delle griglie, benché quest’ultima rappresenti nel contempo

25.5 A ragione la Corte di Appello – in ciò concordando con il primo giudice – ha
escluso che la partecipazione dei dirigenti delle società calcistiche (per quanto qui
interessa, del GIRAUDO) al procedimento di formazione delle griglie arbitrali fosse un
comportamento asintomatico ed innocuo sotto il profilo penale: la tesi del
comportamento, eticamente magari non corretto, ma privo di valenza penalistica, non
può essere condivisa in quanto con quel comportamento si mira proprio a scardinare il
concetto di imparzialità che sta alla base del risultato sportivo e che, dunque, merita di
essere rigorosamente tutelato sotto il profilo penale in tutte le sue articolazioni e possibili
sfaccettature. L’alterazione delle partite di campionato, al di là di quegli esempi ricorrenti
in cui si assiste ad una dazione di denaro in cambio dell’ottenimento di un determinato
risultato (integrante una vera e propria ipotesi di “corruzione in ambito calcistico”), può
benissimo essere perseguita ed ottenuta attraverso una pluralità coordinata di condotte
di altro tenore in vista di una manipolazione delle gare, di cui la predisposizione delle
griglie rappresenta l’inizio del sistema illecito.
25.6 Conseguenza inevitabile di tale affermazione è l’insidiosità, penalmente
valutabile, della partecipazione dei dirigenti calcistici alla predisposizione delle griglie
arbitrali in modo da poter inserire, con il beneplacito dei designatori arbitrali / giudici di
gara considerati “vicini” al proprio gruppo d’interesse. E ben si spiega t in tale ottica,
l’intervento a tutela della imparzialità arbitrale (messa in pericolo dagli interventi dei
dirigenti) da parte di organismi della stampa specializzata, opportunamente e
sapientemente manovrati dietro le quinte dall’onnipresente duopolio juventino MOGGI e
GIRAUDO (quale provetta “spalla” del primo), in modo da far passare davanti all’opinione
pubblica l’immagine di arbitri non solo imparziali ma anche tecnicamente competenti e
dunque degni di plauso: ben si comprende allora, attraverso la lettura del lungo capo di
imputazione sub A), la complessità del meccanismo associativo fatto di manovre spesso
subdole e magari a prima vista innocenti, ma in realtà decriptabili e decriptate come
illecite (e dunque pienamente inserite nella fattispecie penale) dal giudice di merito che
non ha di certo lesinato sforzi per accertare con compiutezza di analisi quell’articolato
meccanismo orchestrato dal MOGGI.

21

elemento sintomatico della frode sportiva e della stessa associazione a delinquere.

25.7 Non pare, poi, condivisibile la conseguenza che la difesa del ricorrente
GIRAUDO intende trarre, per escludere la sussistenza del delitto associativo (sotto il
profilo della mancanza del reato-scopo), dalla constatata assenza di manipolazioni
artificiose nella procedura dei sorteggi arbitrali, in quanto sono proprio i diretti contatti
tra gli emissari della società che avevano concorso a predisporre le griglie arbitrali e
l’arbitro definitivamente sorteggiato, a costituire la prova dell’inquinamento complessivo
del sistema iniziato, per l’appunto, con la predisposizione delle griglie arbitrali e dunque,

con vari ruoli, intenzionati a porre in essere condotte penalmente illecite dirette a influire
sul campionato di calcio di serie A 2004-2005.
26.

Quanto alle censure sollevate sia nel ricorso a firma dell’Avv. Krogh, sia

soprattutto nel ricorso a firma dell’Avv. Galasso, in riferimento alla dedotta manifesta
illogicità della motivazione in punto di conferma del giudizio di colpevolezza per il reato
associativo osserva il Collegio che si tratta in linea di massima di censure in fatto.
26.1 In particolare con riferimento al 3° motivo del ricorso dell’Avv. Galasso, al di là
delle apparenze che vorrebbero dimostrare una manifesta contraddittorietà della
decisione impugnata (ad esempio quando si raffrontano le motivazioni rese dalla Corte
con riguardo alle posizioni di CARRARO Franco e BERGAMO Paolo – comunque estranei,
per ragioni diverse, al presente processo – con quelle assunte nei riguardi di PIERI
Tiziano assolto dalla imputazione del reato associativo) le interpretazioni della difesa circa
i contenuti dei colloqui intercorsi tra il presidente CARRARO ed il designatore BERGAMO
contengono esclusivamente valutazioni di fatto alternative rispetto a quelle operate dalla
Corte distrettuale e dunque inammissibili. Ed altrettanto vale per tutte le altre telefonate
indicate in seno al detto motivo di appello (vds. le pagg. 20 e 21 del ricorso).
27. Considerazioni del tutto analoghe valgono in riferimento al 4° motivo nel quale,
oltretutto, si fa riferimento ad una circostanza (il mancato possesso da parte del
GIRAUDO, di schede telefoniche estere) della quale ha tenuto conto la Corte distrettuale
la quale ha fondato il proprio convincimento sulla colpevolezza del GIRAUDO per quanto
attiene al reato associativo su ben altri elementi di valutazione dei quali si è dianzi fatto
cenno.
28. Lo stesso vale altresì per il 5° motivo in cui si deduce anche il travisamento del
fatto (vizio indeducibile in sede di legittimità) e della prova che si risolve in realtà in una
diversa interpretazione dei contenuti di determinate telefonate e degli incontri tra i
designatori arbitrali PAIRETTO e BERGAMO da una parte e MOGGI e GIRAUDO, dall’altra,
versandosi ancora una volta in un ambito di censure in fatto non consentite in questa
sede (vds. le pagg. da 25 a 36 del ricorso in cui si sezionano i vari colloqui per giungere
ad una interpretazione in chiave difensiva diversa ed alternativa rispetto ad altra,
22

della piena operatività di un sistema ben organizzato costituito da soggetti a vario titolo e

caratterizzata da logica e coerenza ed oltretutto non connotata da una (asserita) illogicità
evidente.
29.

Anche l’analisi, pur accurata, della vicenda riguardante il coinvolgimento del

GIRAUDO nel cd. “salvataggio della Fiorentina”, sviluppata con dovizia di argomentazioni
nel 7° motivo del ricorso avv. Galasso, non si sottrae alla critica di una esteriorizzazione
di censure in fatto non proponibili in questa sede, tenuto conto che, ancora una volta, la
difesa punta l’accento su alcune conversazioni precedenti al 26 aprile 2005 e su quelle

assolutamente corretta ed esaustiva sul piano logico esposta della Corte di Appello (vds.
da pag. 40 a 55 del ricorso Avv. Galasso).
30.

Conclusivamente i rilievi difensivi diretti a smentire la ritenuta sussistenza

dell’associazione delinquenziale e il coinvolgimento diretto e consapevole del GIRAUDO
sono infondati ed in parte – quelle contenenti censure in fatto – persino inammissibili.
31.

Proseguendo nella disamina dei motivi di ricorso di portata, per così dire,

generale, appare decisamente più complesso e meritevole di approfondimento rispetto
alle motivazioni, pur significative, della Corte di Appello, il tema – oggetto di specifica
censura da parte di entrambi i ricorsi (segnatamente quello a firma dell’Avv. Galasso) attinente alla configurabilità in astratto ed in concreto del delitto-fine di frode sportiva: si
è infatti affermato da parte dei difensori che, non potendosi strutturalmente concepire
nei termini enunciati dalla Pubblica Accusa ed anche sulla base dei dati probatori raccolti,
il delitto di frode sportiva quale (unico) delitto-scopo dell’associazione, la sua
insussistenza sul piano ontologico determinerebbe inevitabilmente l’inconfigurabilità del
delitto associativo e la violazione di legge – sotto il profilo della sua inosservanza nonchè la manifesta illogicità sul piano motivazionale del ragionamento svolto dalla Corte
di Appello per giustificare la sussistenza dell’associazione a delinquere.
31.1 Si ritiene, quindi, necessario esporre, sia pur a larghe linee, gli aspetti generali
riguardanti la figura delittuosa della frode in competizioni sportive (esame peraltro
condotto con scrupolo dalla Corte territoriale), anche perché al centro delle censure
mosse avverso la decisione impugnata: ed, ancora una volta, si tratta di verificare se da
parte della Corte distrettuale sia stata correttamente interpretata la detta fattispecie e
ritenuta coerente rispetto al cospicuo materiale probatorio esaminato.
31.2 Anticipando sin d’ora quelle che saranno le conclusioni cui è pervenuto questo
Supremo Collegio, si osserva che la motivazione della Corte territoriale, pur con le
necessarie puntualizzazioni che seguiranno, si presenta corretta e soprattutto osservante
del testo normativo ed in linea con l’orientamento della giurisprudenza formatosi in
subiecta materia.

23

successive, fornendo una interpretazione alternativa in contrapposizione con quella

31.3 In questo senso appare utile esporre in sintesi il ragionamento della Corte di
Napoli che, sviluppatosi attraverso una ricostruzione storica della figura criminosa in
esame sia nel diritto interno che nel diritto di altri stati europei, ha incentrato la propria
analisi sulla formulazione normativa come è attualmente delineata: dalla distinzione tra
le due condotte di alterazione delle gare sportive in termini di corruzione, e di altri
comportamenti fraudolenti volti al medesimo scopo, sono state tratte conseguenze
coerenti che hanno indotto la Corte di Napoli a classificare la fattispecie come delitto di

consentito alla Corte di far rientrare le condotte di alcuni degli associati (per quanto qui
rileva, del GIRAUDO) non solo nella fattispecie della frode sportiva loro rispettivamente
contestata ma anche nel più grave reato di associazione per delinquere.
31.4 L’argomento adoperato è in sostanza questo: versandosi – almeno con
riferimento alla seconda parte del comma 2 dell’art. 1 della L. 401/89 – in tema di delitto
di attentato, a forma libera, che non ammette il tentativo e che viene costruito come
reato di pericolo, la condotta si intende realizzata con il compimento di atti che devono
risultare idonei ed univocamente diretti all’alterazione della gara; l’inidoneità di questi atti
e la non univocità osterebbero irrimediabilmente ad attribuire rilevanza penale alle
condotte. Da qui la conseguenza della irrilevanza di una effettiva alterazione del risultato
della gara perché si tratta di un evento estraneo alla fattispecie (nel senso che esso non
è necessario per la integrazione del reato), la quale si considera consumata per il fatto di
aver posto in essere la condotta di alterazione. D’altra parte la struttura di reato a forma
libera permette l’interpretazione sopra indicata: va escluso che possano essere
astrattamente predeterminati i limiti ed i requisiti della condotta tipica, mentre è
necessario verificare, volta per volta, se i comportamenti presi in considerazione possano
costituire atti fraudolenti volti a raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al
corretto e leale svolgimento di un competizione agonistica.

24

attentato a forma libera insuscettibile di tentativo. Tale costruzione giuridica ha, quindi,

31.5 Tale interpretazione è stata giudicata coerente con il testo normativo dell’art. 1
comma 10 della Legge 401/89 (intitolato “frode in competizione sportive”) in forza del
quale “chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei
partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal
Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall’Unione italiana per l’incremento delle
razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni
ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al

al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da
lire cinquecentomila a lire due milioni. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della
multa. Nei casi di lieve entità si applica la sola pena della multa”. E’ stato così osservato
che in relazione alla qualificazione della figura delittuosa in esame come reato “a forma
libera” la cui condotta quindi non è tipizzata in termini tassativi, una parte della
giurisprudenza di questa Corte Suprema ha ritenuto di ricomprendere in tale fattispecie
criminosa anche l’ipotesi di somministrazione di farmaci vietati, prima che venisse
emanata la specifica normativa sul doping di cui alla L. 376/00 (v. Sez. 6^ 25.1.1996 n.
3011, Omini, Rv. 204787; Sez. 2^ 29.3.2007 n. 21324, P.G. in proc. Giraudo, Rv.
237035 in cui, dopo aver evidenziato la differenza strutturale tra il reato di frode sportiva
di cui all’art. 1 della L. 401/89 e quello di doping di cui all’art. 9 della L. 376/2000 e la
conseguente insussistenza di una continuità normativa tra le due figure delittuose, è
stato precisato che solo per le condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della
L. 376/00 è prevista la punibilità in termini di frode sportiva ai sensi dell’art. 1 della L.
401/89 in quanto legge più favorevole).
31.6 Il significato dell’espressione “atti fraudolenti volti al medesimo scopo” (quello
cioè di conseguire un risultato diverso da quello derivante dal corretto e leale
svolgimento della competizione agonistica come enunciato nella prima parte del comma
1°) ha – secondo le affermazioni contenute nella sentenza impugnata – un significato
omnicomprensivo che abbraccia tutta una serie di condotte non propedeutiche alla
alterazione del risultato di una gara ma esse stesse indicative dell’alterazione e dunque
integrative della fattispecie.
31.7 Una importante distinzione che rafforza il concetto testè espresso è stata
operata dalla Corte territoriale per sottolineare la differenza di comportamento tra i
soggetti ricoprenti posizione di vertice all’interno delle federazione calcistica o di
organismi interni ad essa rispetto ai soggetti officiati della direzione tecnica della gara.

25

corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti

31.8 Solo per i primi può dirsi che la condotta fraudolenta contestata ha per oggetto
il compimento di atti diretti a condizionare la designazione ed il sorteggio per
l’individuazione di arbitri e assistenti deputati al controllo della regolarità competizione
sportiva; viceversa gli arbitri (o in guardalinee designati) incaricati di volta in volta della
direzione tecnica, in tanto potranno rispondere dell’illecito penale sopra indicato in
quanto si acquisisca la prova che la loro conduzione fosse diretta ad alterare l’esito della
gara.

delle regole procedurali della designazione, la formazione delle cd. “griglie” e/o le
metodologie del sorteggio al fine di designare un tal arbitro o assistente disponibile ad
alterare l’andamento della gara, come di per sé integranti la fattispecie delittuosa
contemplata dalla seconda parte del comma 2 dell’art. 1, mentre la contestazione mossa
nei riguardi dell’arbitro o del guardalinee (o assistente) ha quale riferimento la
assunzione consapevole di decisioni tecniche sbagliate in favore o in danno di
determinate squadre, sempre secondo i desiderata del sodalizio criminoso.
31.10 Fin qui le conclusioni del giudice di appello.
32. Prima di verificare in concreto la correttezza della decisione (che ha riflessi,
come si vedrà in appresso, sulla sorte dell’imputato in relazione alla maturata
prescrizione), occorre svolgere alcune riflessioni generali su tale peculiare figura
delittuosa, introdotta – come è noto – nel nostro ordinamento il 13 dicembre 1989 con la
legge n. 401.
32.1 Diversamente da quanto previsto nell’ordinamento sportivo, il quale ha sempre
inteso l’illecito sportivo come alterazione di una gara dal punto di vista del suo risultato o
del suo svolgimento, sanzionandolo disciplinarmente in modo assai rigoroso (art. 6
comma 1 cod. Giust. Sportiva in rei. all’art. 13 stesso codice), l’ordinamento statale, in
parte in omaggio al principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, in parte anche per
una sorta di sottovalutazione del problema dal punto di vista delle sue conseguenze in
ambiti diversi da quelli strettamente sportivi, per un lungo periodo si è sostanzialmente
disinteressato di legiferare in materia.
32.2. Ciò aveva creato seri problemi interpretativi ed applicativi onde poter
inquadrare eventuali condotte ingannevoli in schemi legali propri del diritto penale: ed
infatti, prima dell’emanazione della legge n° 401/1989, l’unica norma che, in qualche
modo, si prestava ad essere utilizzata era sembrata quella sulla truffa (art. 640 cod.
pen.).
32.3 Ma evidenti erano le difficoltà applicative in riferimento a tale specifica figura di
reato, occorrendo la sussistenza di una serie di elementi costitutivi tipici della condotta
penale quali: a) gli artifizi o raggiri posti in essere dagli atleti; b) l’induzione in errore; c)
26

31.9 Grazie a tale distinzione è possibile considerare il meccanismo di alterazione

il danno patrimoniale conseguente al risultato artefatto; d) il nesso di causalità tra la
condotta del singolo atleta – soprattutto per tutte quelle ipotesi in cui si trattava di
discipline praticate da squadre di atleti e non da singoli – ed il risultato complessivo della
competizione.
32.4 Da qui le giustificate perplessità sia in dottrina che in giurisprudenza in merito
alla applicabilità dell’art. 640 del codice di rito alle condotte tipiche della frode sportiva
(vds. sul punto Trib. Roma 22.12.1980 in Giur. di merito, 1983, II, pag. 460, in cui è

quale comportamento corruttivo fraudolento nello schema legale della truffa).
32.5 Pur non di meno, al termine di un percorso tortuoso e travagliato, sollecitato sia
da iniziative similari in ambito comunitario ed europeo (per effetto di una diffusa
consapevolezza di un fenomeno sempre più ingravescente) sia da avvenimenti interni
clamorosi verificatisi a distanza di pochi anni l’uno dall’altro (scandali calcistici del 1980 e
del 1986 che avevano visto protagonisti molti giocatori e dirigenti di squadre calcistiche
di rango militanti nei massimi campionati professionistici calcare le aule – ed in qualche
caso anche gli istituti penitenziari – con la duplice imputazione di truffa in ambito penale
e di illecito sportivo in ambito sportivo), il nostro legislatore si è deciso ad emanare la
legge 401/89 che, all’art. 1, comma 1°, delinea la nuova fattispecie di frode in
competizione sportiva.
32.6 Richiamato il testo nella sua formulazione originaria (testo rimasto invariato, a
dispetto delle difficoltà interpretative che hanno nel tempo caratterizzato la norma
suddetta (anche se va segnalato il recente mutamento dell’assetto sanzionatorio con la
previsione della pena da due a sei anni di reclusione e da C 1.000,00 ad C 4.000,00 di
multa, aumentabili della metà nelle ipotesi contemplate dal comma 3 0 dello stesso art. 1,
per effetto di quanto previsto dall’art. 1 della L. 119/2014) evidenti appaiono le finalità
della norma che, oltre a riqualificare l’intero settore delle scommesse e dei giuochi
autorizzati, mirava (e mira) a prevenire il fenomeno delle scommesse clandestine ed a
tutelare la correttezza delle competizioni sportive anche nell’interesse della collettività.
32.7 Due, come già accennato, sono le condotte tipiche delineate dalla norma: una
di tipo specifico rappresentata dall’offerta (o promessa) di denaro o altra utilità o
vantaggio; l’altra, più generica, costituita dal compimento di altri atti fraudolenti, cioè la
frode generica.
32.8 Quanto all’elemento psicologico del reato, l’indicazione di una finalità specifica
“fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale
svolgimento della competizione” presente in entrambe le condotte vietate, consente di
affermare la necessità del dolo specifico.

27

stata sottolineata la contrarietà all’inquadramento della condotta di illecito sportivo inteso

32.9 Con riferimento al soggetto attivo del reato, premesso che si tratta di una
disposizione a più fattispecie, l’espressione usata “chiunque” lascia intendere quale fosse
(e sia) l’intento del legislatore: quello di attrarre nell’orbita penale condotte poste in
essere non solo dallo sportivo in quanto tale, ma da qualsiasi soggetto anche estraneo al
mondo sportivo. Non sono tuttavia mancate interpretazioni differenti, anche in
considerazione del fatto che il compimento di “altri atti fraudolenti” come indicato nella
seconda parte dell’art. 1 può considerarsi una sorta di formula di chiusura di tipo

fattispecie concrete non comprese nella prima parte della norma che si riferisce alla
dazione (o promessa) illecita (in quanto volta al raggiungimento di uno scopo non
consentito dall’ordinamento) di denaro o altre utilità o vantaggi.
32.10 In realtà l’interpretazione cd. “riduttiva” non ha ragion d’essere in quanto la
promessa od offerta di utilità o denaro o altri vantaggi è una delle condotte possibili,
specificata dalla norma, rispetto ad una condotta omnicomprensiva che considera sia la
prima che le altre (ipotetiche e non descritte) come atti fraudolenti. Ciò consente di
affermare che qualsiasi soggetto, e dunque anche il non sportivo, possa essere
considerato soggetto attivo del reato. D’altra parte una interpretazione riduttiva avrebbe
fatto correre il serio rischio di una pericolosissima area di impunità che certamente non
rientrava nelle intenzioni del legislatore preoccupato, in quel momento, di combattere il
fenomeno della c.d. “corruzione sportiva” e della liceità e lealtà delle competizioni
agonistiche.
32.11 La fattispecie incriminatrice che assume maggiore rilievo (anche in relazione al
presente processo) per le questioni interpretative che ne sono derivate, è quella
contemplata dalla seconda parte del primo comma dell’art. 1, che prevede, come detto,
la frode generica in competizioni sportive. Tale condotta, infatti, per la genericità che la
caratterizza, è apparsa suscettibile di applicazione anche a condotte eterogenee diverse
dalla semplice offerta o promessa di denaro che – secondo l’espressione usata riecheggia il reato di corruzione.
32.12 Il delitto previsto dalla prima parte del comma 1 dell’art. 1 appare strutturato
sulla falsariga del delitto di istigazione alla corruzione previsto dall’art. 322 c.p. che si
consuma non appena la condotta descritta dalla norma venga posta in essere, cioè nel
momento in cui la promessa o l’offerta vengano formulate. In particolare per il reato di
cui all’art. 1 comma 10 prima parte della L. 401/89 non assume alcun rilievo, ai fini della
individuazione del momento consumativo l’accettazione della promessa o offerta da parte
del destinatario, in quanto quest’ultima, a differenza di quanto previsto per le fattispecie
di corruzione, non modifica il titolo del reato, ma costituisce a sua volta un’autonoma
condotta criminosa: e non è un caso che nell’ordinamento sportivo di settore in vigore
all’epoca dei fatti (art. 6 codice di giustizia sportiva F.I.G.C.) il comma 1, modellato sulla
28

integrativo ed omnicomprensivo adoperata dal legislatore per punire una serie di

falsariga della seconda parte della norma penale in commento (compimento di “altri atti
fraudolenti volti al medesimo scopo”), sanziona il compimento, con qualsiasi mezzo, di
atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara, equiparando sotto
l’aspetto sanzionatorio, l’illecito consumato a quello tentato.
32.13 Per completezza può solo osservarsi che la corrispondente figura dell’illecito
sportivo in ambito disciplinare è circoscritta alla sola sfera soggettiva nella misura in cui
viene accordata rilevanza giuridica soltanto alla proiezione soggettiva dell’atto finalizzato

idoneità ed univocità degli atti, propri dell’art. 56 cod. pen.
32.14 Ritornando all’analisi della norma penale, l’equiparazione in ambito sportivo
del tentativo al reato consumato deriva proprio dall’accostamento di tale fattispecie alla
categoria dei delitti cd. “di attentato”, ben nota alla dottrina e giurisprudenza penalistica
che, di norma, non prevede l’ipotesi del tentativo come condotta punibile in via
autonoma: la soglia della punibilità viene, così, anticipata al compimento di un’attività
finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione.
33. Con specifico riguardo alla fattispecie delittuosa delineata dall’art. 1 della L.
401/89 la giurisprudenza di questa Corte ha, in effetti, ribadito – confermando la
pronuncia del giudice di merito – la ricomprensione della frode sportiva nella categoria
dei delitti di attentato a consumazione anticipata ovvero di pura condotta, in cui il bene
tutelato è costituito dalla lealtà e dalla correttezza nello svolgimento delle competizioni
agonistiche (yds. il richiamo alla relazione parlamentare al d.d.l. n. 1888 presentato il
14.11.1987, poi sfociato nella legge n. 401/89).
33.1 La fattispecie criminosa, pertanto, si considera integrata nel momento in cui si
verifica la promessa o offerta di un vantaggio indebito, ovvero la commissione di ogni
altra condotta fraudolenta: il che ha indotto la giurisprudenza di questa Corte Suprema a
qualificare la fattispecie de qua come reato di pericolo per il quale non è ipotizzabile la
fase del tentativo, essendo anticipata la soglia di punibilità al mero compimento di
un’attività finalizzata ad alterare lo svolgimento della competizione.
33.2 Da qui l’irrilevanza dell’accertamento del momento in cui le parti, nell’incrociarsi
di offerta e accettazione, anche della sola promessa (condotta alternativamente prevista
dalla L. n. 401 del 1989, art. 1, comma 2) abbiano raggiunto l’accordo fraudolento così
come non assume alcuna incidenza il momento della dazione del danaro o altra utilità…”
(vds. sul punto Sez. 3^, Sentenza 25.2.2010 n. 12562, Preziosi Rv. 246595).
33.3 Tuttavia l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di delitti di
attentato si è nel tempo indirizzato verso un temperamento nel senso di tenere conto,
quanto meno, della idoneità della condotta, ritenendo quindi insufficiente il semplice
aspetto soggettivo.
29

ad incidere sul risultato della gara, mentre non assumono alcun rilievo gli elementi della

33.4 Ricordato che il delitto di attentato viene solitamente qualificato sotto il nome di
delitto a consumazione anticipata, va detto che secondo l’interpretazione prevalente, tale
fattispecie si considera perfetta già in presenza del fatto diretto a realizzare l’obbiettivo
preso di mira, senza che ne sia necessario l’effettivo conseguimento (yds. Sez. 5^
12.10.1993 n. 11290, Andolina ed altri, Rv. 194462)
33.5 Uno dei punti critici sui quali si è da sempre appuntata con rinnovato interesse
l’attenzione degli interpreti riguarda proprio il tema della punibilità anticipata che ingloba

tentativo come disciplinato dall’art. 56 cod. pen. L’illiberalità di tale costruzione ha
indotto ad una rivisitazione della categoria del delitto di attentato nel senso di esigere ai
fini della punibilità il requisito non scritto della idoneità.
33.6 Può oggi dirsi prevalente l’orientamento (dottrinale e giurisprudenziale) che
tende ad interpretare anche in chiave oggettiva le varie fattispecie di attentato, con la
conseguenza che la tradizionale impostazione collegata alla prevalenza della sfera
soggettiva deve oggi essere rivista alla luce delle nuove tendenze giurisprudenziali.
33.7 Concludendo – con riguardo al delitto di attentato – l’individuazione del
contenuto dell’espressione “fatto diretto a” va riferita anche alla condotta materiale e non
soltanto all’atteggiamento psicologico dell’autore del reato (per una esegesi approfondita
dei rapporti tra delitto di attentato e tentativo v, da ultimo Sez. 6^ 15.5.2014 n. 28009,
Alberto e altri, Rv. 260077 in cui si affronta specificamente il tema della
indispensabilità, anche nel reato di attentato, dei requisiti dell’idoneità ed univocità degli
atti, in ossequio al generale principio di offensività, e comunque quale condizione
necessaria per la tassatività delle fattispecie; v. anche Sez. 1^ 10.5.1993 n. 11344,
Agramati ed altri, Rv. 195756).
34. Ritornando al tema centrale che interessa il presente processo, nell’analisi del
delitto di frode sportiva considerato nella sua accezione generica di cui alla seconda parte
del comma 1 dell’art. 1 I. 401/1989, sul piano oggettivo acquista rilevanza il “fatto
fraudolento idoneo diretto a”, ferma restando però la variegabilità delle condotte
finalizzate all’alterazione della gara.
34.1 Occorre tuttavia intendersi sul significato di “atto fraudolento” che, in linea
generale, coincide con una qualsivoglia condotta diretta ad alterare il contesto del gioco
che si manifesta, necessariamente, prima della gara per influire in qualche modo su di
essa. E’ fraudolento l’atto quando tenda a influire sui meccanismi stessi attraverso i quali
la gara si organizza e si disciplina, attentando a essa con l’inserimento di fattori che,
anche solo potenzialmente, possono incidere sul suo risultato.
34.2 Ciò significa ampiezza di comportamenti nel senso che, ad esempio, può
rientrare in tale accezione l’intesa tra il presidente di una società militante in un
30

gli atti preparatori, solitamente non passibili di sanzione se inseriti nell’ambito del

determinato campionato ed il designatore arbitrale per la formazione delle cd. “griglie”
degli arbitri destinati a dirigere le singole partite; ed ancora, l’atto attraverso il quale un
presidente esprima al designatore le proprie preferenze in modo da inserire nelle cd.
“terne” un arbitro piuttosto che un altro. Così come va qualificato fraudolento
l’avvicinamento del presidente di una società all’arbitro designato per la partita alla quale
prenda parte la squadra “segnalata” ed, ancora, il contatto riservato tra il presidente di
una società e i designatori arbitrali e gli arbitri su temi riguardanti lo svolgimento del

competizione. La variegabilità delle condotte permette di qualificare, come del resto ha
fatto la Corte di Appello, la figura delittuosa in esame come fattispecie penalmente
rilevante a forma libera.
34.3 Sebbene con riferimento al delitto di attentato la tendenza giurisprudenziale
sembra orientata a richiedere l’idoneità causale e l’univocità degli atti (pur non potendosi
profilare il tentativo) in vista del raggiungimento del risultato perseguito, nel caso del
reato di frode in competizione sportiva tale equazione non è sempre indispensabile (e la
dimostrazione più palese la fornisce, ancora una volta, il codice di giustizia sportiva che
equipara sul piano punitivo il tentativo all’illecito consumato), nel senso che non è
richiesto che l’azione fraudolenta posta in essere debba essere necessariamente posta in
correlazione con la lesione del bene giuridico protetto della lealtà sportiva.
34.4 E’ indubbio che un’eventuale intesa tra il presidente e/o il dirigente sportivo di
una determinata società con i designatori arbitrali per la composizione delle griglie debba
essere considerata una anomalia nel sistema non soltanto – come riduttivamente
pretenderebbero le difese del ricorrente – sotto il profilo etico o deontologico, ma anche
sotto un aspetto valutabile in sede penale (per quello che si dirà a breve); così come è
fuor di dubbio che ad essere coinvolti in questo scorretto procedimento di designazione
siano in pari misura il dirigente della società ed il designatore arbitrale, oltretutto
istituzionalmente deputato ad assicurare la massima trasparenza alle operazioni di
designazione degli arbitri sin dal momento iniziale della complessa procedura. Ciò che
rileva è, dunque, la violazione della regola realizzata attraverso l’intromissione di soggetti
non legittimati nella formazione di una fase organizzativa dell’incontro sportivo, in cui la
scelta dell’arbitro passa attraverso una serie di attività che ne debbono assicurare in
termini assoluti l’imparzialità e l’impossibilità d’interferenze esterne interessate.
34.5 Ritornando alla valutazione in ambito penale dei segmenti in cui si articola il
meccanismo della designazione, se può convenirsi sul fatto che esse non
necessariamente siano idonee, se autonomamente considerate, ad influire sul leale
svolgimento della gara, si tratta tuttavia di attività potenzialmente prodromiche al
conseguimento di tale obbiettivo che si innestano una vera e propria sequenza obbligata
di natura complessa che ingloba altri atti conseguenziali. La formazione delle griglie,
31

campionato e il suo andamento, o sui suggerimenti per favorire l’una o l’altra squadra in

dunque, costituisce il punto di partenza dal quale trarre spunto per procedere ai sorteggi:
ed anche ove questi non risultassero alterati (ma sul punto la sentenza impugnata ha
evidenziato una incertezza probatoria e non la sua inesistenza assoluta), è innegabile che
la formazione delle griglie risulta (e la sentenza ha dato diffusa prova di ciò) è, quanto
meno, funzionale ad agevolare le possibilità di nomina di una arbitro amico.
34.6 Per comprendere se l’intesa che, al riguardo, venga a formarsi tra l’estraneo
(ancorchè tesserato) e il soggetto legittimato alla formazione delle griglie arbitrali possa

lecito obbiettivo di tutelare, seppure con modalità scorrette, l’oggettività del risultato
sportivo, evitando, per esempio, che una non adeguata ponderazione selettiva possa
portare alla nomina di arbitri non all’altezza dei compiti; ovvero se si tratti di operazioni
volte a perseguire finalità opposte (stavolta illecite), nel qual caso la formazione delle
griglie diventa un tassello di una più ampia condotta fraudolenta.
34.7 Da qui la necessità, avvertita dalla Corte territoriale, di considerare in via
unitaria una serie di atti diversi non corretti (anzitutto, la formazione delle griglie) che
consente in definitiva l’individuazione di una complessiva attività fraudolenta diretta a
incidere sul risultato sportivo.
34.8 In tale prospettiva l’idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento
dell’obiettivo delittuoso deve necessariamente apprezzarsi con valutazione

ex ante in

rapporto alle circostanze di fatto e alle modalità della condotta, non rilevando la
distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi, gli uni e gli altri dovendo entrare
nell’ambito di tale operazione valutativa.
34.9 La sommatoria di elementi diversi, che, autonomamente considerati, sarebbero
indici talvolta di violazione delle regole e, talaltra, di intese fraudolente, assurge così a
fattore dimostrativo di un articolato comportamento fraudolento idoneo a mettere in
pericolo il bene giuridico della lealtà e dalla correttezza nello svolgimento delle
competizioni agonistiche.
34.10 Orbene, la sentenza impugnata, nel lodevole e comprensibile sforzo di
interpretare unitariamente le varie condotte dei singoli protagonisti della vicenda
processuale in esame, ha analizzato con particolare cura il fenomeno, traendo spunto da
condotte concrete che hanno fornito una palese dimostrazione sia degli incontri tra
soggetti di estrazione eterogenea (dirigenti della società e dirigenti arbitrali), sia
soprattutto, delle finalità di tali incontri.
35. Non appare, dunque, condivisibile la tesi del ricorrente secondo la quale la
formazione della griglie, pur se provata con riferimento al coinvolgimento di soggetti non
autorizzati ad essere presenti, in sé non costituisce prova dell’illecita combìne in ambito
penale rappresentando, al più, un segmento dell’azione sfornito della idoneità al
32

ritenersi fraudolenta, occorre verificare se essa si formi solo per un comune, condiviso e

perseguimento di uno scopo illecito (l’alterazione della gara) ed anzi, smentito dalla piena
regolarità dell’operazione dei sorteggi (rientrante in una fase successiva alla formazione
delle griglie) ed ancor più dalla condotta regolare dei singoli arbitri incaricati di dirigere le
varie gare, comprovata dalla loro assoluzione per i delitti-scopo.
35.1 Così come non può condividersi la tesi delta insussistenza della fattispecie
associativa per asserita assenza (in senso giuridico) del reato-scopo, in relazione al fatto
che la formazione delle griglie sarebbe in sé operazione neutra priva di significato penale

figura del delitto di attentato, se da un lato esclude, per le ragioni dianzi enunciate, la
possibilità del tentativo (pur con le debite precisazioni prima cennate), dall’altro lato
implica una valutazione penale di tale condotta in quanto innestantesi in quel complesso
meccanismo di designazione arbitrale che conferisce piena autonomia a tale condotta ove
effettuata in termini fraudolenti ed irregolari.
35.2 Né il concetto di atto fraudolento deve per forza di cose evocare comportamenti
ingannevoli o caratterizzati da artifici o raggiri, in quanto l’espressione “atti fraudolenti”
intende riferirsi a condotte al di fuori della regolarità e lealtà (principi che la norma
penale speciale intende porre al centro della tutela) e, in quanto tali, pienamente idonee
a turbare – proprio perché non previste dal sistema – la regolarità della competizione
sportiva improntata a principi di lealtà meritevoli di una tutela generalizzata nei confronti
di tutti i consociati e non soltanto degli appartenenti alla comunità sportiva.
36. Così enunciati gli aspetti generali della norma di riferimento, osserva il Collegio
che le censure sollevate in relazione alla qualificazione giuridica della figura delittuosa
della frode sportiva non appaiono fondate, ancorchè non può parlarsi di manifesta
infondatezza ove si tenga conto anche di alcuni profili diversi rispetto a quelli affrontati
nel giudizio di appello con approfondimento particolare di argomenti indubbiamente
complessi.
36.1 In particolare, è da escludere la asserita irrilevanza del comportamento
concretizzatosi nella formazione delle griglie arbitrali perché non compresa nella
fattispecie astratta come delineata nell’art. 1 della L. 401/89; così come è da escludere la
genericità del capo di imputazione relativo (per quel che riguarda il GIRAUDO, il capo Q),
essendo sufficiente la descrizione della condotta nei termini enunciati nel relativo capo di
imputazione.
36.2 Ed ancora, non può trarsi dalla circostanza dell’avvenuto proscioglimento del
FOSCHETTI dalla imputazione di cui al capo Q), la conseguenza della insussistenza della
fattispecie anche per il GIRAUDO, alla luce di quei contatti tra il GIRAUDO ed il MOGGI
nei giorni precedenti l’incontro di calcio JUVENTUS-UDINESE e del comportamento

33

anche là dove fosse risultata scorretta: l’accostamento del reato di frode sportiva alla

assunto persino subito dopo la gara con l’accesso del GIRAUDO (in compagnia del
MOGGI) negli spogliatoi dell’arbitro.
37. Piuttosto, occorre brevemente occuparsi di un aspetto sottolineato nel ricorso a
firma dell’Avv. Krogh, riguardante la pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 1 della L.
401/89 per contrasto con gli artt. 25 comma 2° e 117 comma 1° Cost.: si sostiene in
proposito che l’interpretazione della norma nella parte relativa alla nozione di “altri atti
fraudolenti” nel senso attribuito dalla Pubblica Accusa ed avallato dalla Corte distrettuale

fattispecie, la partecipazione dei soggetti coinvolti alla competizione il cui risultato si
intenderebbe alterare: secondo la tesi difensiva, il partecipante alla competizione assume
la veste di parte necessaria di guisa che quando si parla – come nel caso in esame – di
formazione delle griglie arbitrali come operazione condotta da soggetti appartenenti ad
una determinata società sportiva e da designatori arbitrali, senza che nessuno di essi
partecipi alla competizione – non può parlarsi di atto fraudolento nell’accezione intesa
dalla Corte. Da qui la prospettata illegittimità costituzionale della norma sotto il duplice
profilo della violazione del principio di legalità e della violazione del dovere da parte dello
Stato di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e gli obblighi
internazionali.
37.1 Enunciata in questi termini, la questione di costituzionalità è da ritenersi
manifestamente infondata, anzitutto perché non si ravvisa alcuna violazione del principio
di legalità. L’espressione contenuta nella seconda parte del comma

1 dell’articolo in

esame costituisce, infatti, una formula residuale di chiusura come la definisce la stessa
difesa in contrapposizione con la prima parte del comma 1° che parla di scambio di
promesse ed offerte in vista dell’alterazione di una determinata gara. Quando il
legislatore ricorre al concetto di altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo
(l’alterazione della competizione) certamente non incorre in una indeterminatezza
normativa ma, semmai, agisce a salvaguardia di un bene protetto giudicato di portata
generale (la lealtà della competizione) che rappresenta l’obiettivo minimale da
salvaguardare ad ogni costo, sicchè ben si comprende l’ampiezza della nozione di atti
fraudolenti.
37.2 Inoltre non è affatto vero che per essere tale e penalmente perseguibile la
condotta secondo le prescrizioni contenute nell’art. 1, i soggetti che eventualmente
pongano in essere atti del genere debbano partecipare alla competizione. Se l’obiettivo
perseguito è la tutela della lealtà della competizione, è evidente che tutti i soggetti che in
qualche modo attentino alla correttezza del risultato commettono un illecito penale: si
può anche ammettere che nell’ordinamento di settore riservato alla giustizia disciplinare
sportiva il soggetto non tesserato non risponda di un eventuale illecito in quanto non

34

sarebbe incostituzionale in quanto è pur sempre richiesta, ai fini della integrazione della

aderente alla federazione sportiva; ma in ambito penale questa distinzione è fuor di
luogo, bastando solo la regola del concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen.
37.3 Gli esempi giurisprudenziali richiamati dalla difesa (in particolare la sentenza
della 6^ Sezione 25.1.1996 n. 3011, Omini, Rv. 204787) non sembrano aderenti alla
fattispecie all’esame del Collegio.
37.4 La Corte di Cassazione nell’affermare il principio secondo il quale

“I

comportamenti fraudolenti previsti dalla suddetta norma invero consistono in attività

sinallagmatiche posto che collegano alla distorsione della gara, che il soggetto esterno
persegue, denaro od altra utilità perseguita dall’altro soggetto partecipante alla gara”
evidenziava, quale condotta di riferimento, l’assunzione di sostanze droganti da parte di
un corridore e la Corte Suprema, nel precisare il concetto, ha evidenziato che i
comportamenti fraudolenti nel senso sopra indicato mancano nei fenomeni autogeni di
doping che trovano adeguata sanzione negli ordinamenti sportivi.
37.5 Non è superfluo ricordare, oltretutto, che la sentenza sopra citata è stata
emessa in una materia (l’assunzione di sostanze dopanti) che, in assenza di apposita
normativa, veniva accostata alla generale disciplina prevista dalla Legge 401/89 che
aveva per oggetto la salvaguardia della regolarità delle competizioni sportive con
riferimento al fenomeno della scommesse illecite e della corruzione.
37.6 Molto più chiari i principi affermati nella sentenza di questa Corte Suprema Sez.
2^ 29.3.2007 n. 21324. P.G. in proc. Giraudo, Rv. 237030, secondo la quale “L’articolo
1, comma primo, L. 13 dicembre 1989, n. 401, che tutela la genuinità del risultato delle
competizioni sportive da essa disciplinate, nel rispetto dell’alea che alle predette
competizioni è correlata, è norma a più fattispecie che incrimina due distinte condotte,
consistenti, la prima in una forma di corruzione in ambito sportivo e la seconda in una
generica frode, entrambe a dolo specifico, consistente nel fine di raggiungere un risultato
diverso da quello conseguente al leale e corretto svolgimento della competizione”.
37.7 Concetto rafforzato da altra affermazione della S.C. secondo la quale

“Tra gli

«altri atti fraudolenti» che integrano, ai sensi dell’articolo 1, comma primo, L. n. 401
del 1989, il reato di frode sportiva, non rientrano le mere violazioni delle regole di gioco,
che sono sanzionabili unicamente dall’ordinamento sportivo, potendo la condotta
assumere rilievo penale soltanto ove contenga un «quid pluris>>, ovvero un artifizio o
raggiro che modifichi fraudolentemente la realtà, alterando il corretto e leale risultato
della competizione sportiva”.
37.8 In ultima analisi, la nozione di altro atto fraudolento ha una gamma di
comportamenti possibili estremamente ampia in cui, fermo restando il collegamento
dell’atto fraudolento rispetto all’alterazione della gara, le modalità della condotta possono
35

proiettate all’esterno delle persone che le hanno deliberate ed in qualche modo

assumere connotati tra loro assai diversi accomunati da un unico filo conduttore:
l’artificiosità, latu sensu intesa, della condotta, senza che possa parlarsi di violazione del
principio di legalità per indeterminatezza della norma i cui confini in termini di oggetto
materiale, elemento psicologico e nesso di causalità sono certamente presenti ed
adeguatamente definiti.
37.9 Ancor meno consistente il secondo profilo di incostituzionalità prospettato dalla
difesa, anche perché neanche precisato nei suoi esatti termini, se non attraverso il mero

internazionali o di vincoli derivanti da ordinamenti comunitari possa profilarsi in
riferimento alla nozione di atti fraudolenti come intesa dal giudice distrettuale.
37.10 Ciò detto le censure ulteriori contenute nel ricorso a firma dell’Avv. Krogh che
investono soprattutto la conferma del giudizio di responsabilità del GIRAUDO per il reato
di cui al capo Q) costituiscono rilievi in fatto il cui esame è precluso a questa Corte. Nel
quarto motivo di ricorso la difesa pone l’accento sul difetto di motivazione (oltre che sul
ricordato vizio di inosservanza della legge penale di cui si è precedentemente discusso) in
merito alla partita JUVENTUS-UDINESE del 13 febbraio 2005: le censure indirizzate verso
la sentenza impugnata attengono, in particolare, alla errata valutazione operata dalla
Corte di merito in ordine a due telefonate (6 e 9 febbraio 2005) una sola delle quali
vedrebbe coinvolto il GIRAUDO quale diretto interlocutore del MOGGI il quale,
nell’occasione, aveva esternato le proprie preoccupazione verso gli arbitri e la loro ostilità
nei riguardi della società bianconera ottenendo dal GIRAUDO in risposta la
raccomandazione che eventuali lamentele andavano manifestate nelle sedi giuste.
37.11 Detta telefonata, collegata a quella di poco successiva del 9 febbraio,
temporalmente prossima alla gara in questione, e la certa presenza del GIRAUDO alla
formazione delle griglie arbitrali in vista della giornata di campionato del 12 febbraio
2005, unita alla circostanza, pacificamente emersa dagli atti, dei complimenti rivolti
all’arbitro per la sua direzione di gara in occasione della visita del GIRAUDO e del MOGGI
negli spogliatoi degli arbitri al termine della gara, sono state ritenute, a ragione,
sintomatiche non solo della appartenenza del GIRAUDO a quella associazione
delinquenziale orchestrata dal MOGGI di cui si è dianzi discorso, ma anche del diretto
interesse del GIRAUDO ad una alterazione della gara in questione attraverso quel
sofisticato ed ingegnoso meccanismo della predisposizione delle griglie tale da influenzare
gli avvenimenti successivi.
37.12 Le censure formulate dalla difesa sono sostanzialmente generiche nella misura
in cui optano per una totale irrilevanza penale del procedimento di formazione delle
griglie arbitrali rispetto alle singole gare, senza addurre elementi specifici.

36

riferimento normativo, posto che non è dato comprendere quale violazione di obblighi

37.13 Ma, a parte tale considerazione non può non rilevare il Collegio come la
conclusione cui è pervenuta la Corte di Napoli nell’attribuire un ruolo ben preciso al
GIRAUDO anche in relazione al processo di alterazione di detta gara sia stata logicamente
motivata, in modo, oltretutto, pienamente aderente ai dati probatori acquisiti.
38. Considerazioni non dissimili vanno espresse con riferimento al 6° motivo del
ricorso a firma dell”Avv. Galasso in cui si denuncia il vizio di manifesta illogicità della
motivazione e travisamento della prova per la parte concernente il capo Q) della

minimi particolari sia la telefonata del 9 febbraio 2005 che quella del 6 febbraio
precedente (cui, come si è visto, ha partecipato il GIRAUDO), assumono chiaramente la
caratteristica di una censura in punto di fatto volta a fornire una interpretazione diversa
rispetto a quella privilegiata dalla Corte distrettuale.
38.1 Ma proprio per tali caratteristiche si deve, a ragione, parlare di censure in fatto
improponibili in questa sede. Ed invero, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il
compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a
quella compiuta dai giudici del merito, ma solo quello di stabilire se questi ultimi abbiano
esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, dandone una corretta e logica
interpretazione, con esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti.
38.2 Quel che rileva quindi è la corretta applicazione delle regole della logica che
possano giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez.
Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).
38.3 E’ noto che, per espressa previsione normativa, il vizio di motivazione
deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo dei provvedimento Impugnato, o
comunque, come si evince dalle modifiche apportate all’art. 606.1, lett. e), c.p.p. dall’art.
8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti del procedimento specificamente indicati nei

motivi di gravame”: se così è – ed in ciò concorda in linea di principio la difesa del
ricorrente salvo poi a trarne conclusioni incoerenti rispetto a tale corretta premessa – in
riferimento al vizio di manifesta illogicità, occorre anzitutto che il ricorrente dimostri nella
sede propria che il percorso argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente
sul piano logico; ancora va precisato che una eventuale dimostrazione in tal senso non ha
nulla a che vedere con la prospettazione di una diversa, e persino possibile,
interpretazione o di un altro

iter argomentativo, anche laddove in tesi egualmente

corretti sul piano logico.
38.4 Conseguenza di tali postulati è che, una volta che il giudice abbia coordinato
logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si
presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di
eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 30.4.1997,
37

imputazione: gli argomenti sviluppati dalla difesa, che si è preoccupata di analizzare nei

n. 6402; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24; in termini sostanzialmente identici, ancorché
con riferimento alla materia cautelare, Sez. Un., 19.6.1996, n. 16; e non dissimilmente,
Sez. Un., 27.9.1995, n. 30; id., Sez. Un., 25.10.1994, n. 19/1994; e, con riguardo al
giudizio, Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996; id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).
38.5 Senza dire che per parlarsi di illogicità della motivazione, censurabile a norma
dell’art. 606.1, lett. e), c.p.p., deve trattarsi di una illogicità evidente, cioè di livello tale
da risultare percepibile ictu ocu/i, proprio perché l’indagine di legittimità sul discorso

alla Corte di cassazione limitarsi – come s’è detto – a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione
alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un., 24.9.2003, n. 47289; id., Sez. Un.,
30.11.2000, n. 5854/2001; id., Sez. Un., 24.11.1999, n. 24).
38.6 In conclusione, allora, le censure sollevate in riferimento alla imputazione
satellite di frode sportiva contemplata nel capo Q) vanno disattese in quanto infondate.
39.

Rimane da esaminare – sempre in riferimento a tale capo di imputazione – la

questione prospettata da entrambe le difese della incidenza della richiesta di
archiviazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino e del
pedissequo decreto del Giudice per le Indagini preliminari di quel Tribunale. A ben vedere
la questione è stata posta come pregiudiziale per inferirne la totale insussistenza della
ipotesi associativa formulata poi dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Napoli.
39.1 I contenuti del decreto di archiviazione del G.I.P. torinese (attinenti a fatti
temporalmente diversi) rientrano nel novero di una interpretazione, pur se autorevole,
non condivisa dalla Corte di Appello di Napoli: le considerazioni svolte in proposito da
questo Collegio smentiscono quindi l’impostazione seguita da altra autorità giudiziaria,
oltretutto maturata in un contesto diverso e che ha poi dato origine al conflitto dì
competenza risoltosi a favore della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.
40.

A questo punto, come precedentemente anticipato, occorre affrontare il tema

della inutilizzabilità delle intercettazioni nei termini in cui è stato sollevato dal difensore
del GIRAUDO, Avv. Krogh nel primo motivo di ricorso con il quale si censura la decisione
impugnata per difetto di motivazione ed inosservanza delle norme processuali penali.
40.1 Si sostiene, in sintesi: a) che in assenza di un rapporto di connessione tra il
procedimento pendente presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Torino
nell’ambito del quale era stata disposta l’intercettazione nei confronti di AGRICOLA
medico sociale della Juventus, sulla base di presunti (ma indimostrati) gravi indizi di
reato in ordine al delitto di ricettazione e quello oggetto del presente processo, vi
sarebbe stato un indebito uso delle intercettazioni disposte nell’ambito di quel
38

giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato

procedimento, tra le quali quelle effettuate a carico di MOGGI Luciano (dalle quali, a
cascata, sarebbero derivate le altre intercettazioni tra le quali quelle a carico del
GIRAUDO); b) l’assenza di spiegazioni da parte della Corte territoriale in ordine alla
connessione tra i due procedimenti; c) l’assenza dei gravi indizi di reato occorrenti per le
intercettazioni disposte dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Napoli; d)
la conseguente inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto affette da vizio patologico e
non fisiologico in coerenza con quanto affermato da questa Corte Suprema nella

dei decreti di autorizzazione alle intercettazioni anche in relazione alla assoluta
indispensabilità per le indagini; f) la mancanza di motivazione in ordine alle ragioni di
urgenza giustificative dell’utilizzazione di apparecchiature esterne agli impianti esistenti
presso la Procura della Repubblica; g) l’inutilizzabilità in quanto lo strumento captativo
sarebbe stato usato per la ricerca del grave indizio di reato.
40.2 Si tratta di rilievi che, già formulati nella fase del giudizio di appello, sono stati
adeguatamente affrontati – ed in modo non certo illogico e nemmeno in spregio alle
regole ermeneutiche da tempo elaborate dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte dalla Corte di Appello.
40.3 Prima di esaminare la correttezza della decisione assunta dal giudice territoriale
sul punto, occorre svolgere alcune considerazioni generali che valgono a far ritenere
infondate alcune delle censure sollevate dalla difesa del ricorrente come, per esempio,
quelle inerenti alla mancata valutazione del compendio indiziario (riferito al reato
associativo) in termini di gravità ed all’assoluta indispensabilità dello strumento captativo
per la prosecuzione delle indagini.
40.4 La difesa trascura di considerare che in materia di criminalità organizzata non
valgono le ordinarie regole previste dall’art. 267 cod. proc. pen. (esistenza di gravi indizi
di reato ed assoluta indispensabilità per le indagini) trovando invece applicazione il
disposto derogatorio di cui all’art. 13 del D.L. 152/91 convertito nella L. 203/91 a tenore
del quale “In deroga a quanto disposto dall’articolo 267 del codice di procedura penale,
l’autorizzazione a disporre le operazioni previste dall’articolo 266 dello stesso codice è
data, con decreto motivato, quando l’intercettazione è necessaria per lo svolgimento
delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo
del telefono in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi. Nella valutazione dei sufficienti
indizi si applica l’articolo 203 del codice di procedura penale. Quando si tratta di
intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un
delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall’articolo 614 del
codice penale, l’intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei
luoghi predetti si stia svolgendo l’attività criminosa. Nei casi di cui al comma 1, la durata
delle operazioni non può superare i quaranta giorni, ma può essere prorogata dal giudice
39

decisione a S.U. 30.6.2000 n. 16, Tammaro, Rv. 216246); e) la mancanza di motivazione

con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni, qualora permangano i
presupposti indicati nel comma 1. Nei casi di urgenza, alla proroga provvede
direttamente 11 pubblico ministero; in tal caso si osservano le disposizioni del comma 2
dell’articolo 267 del codice di procedura penale. Negli stessi casi di cui al comma 1 il
pubblico ministero e l’ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare da agenti di
polizia giudiziaria”.
40.5 La questione relativa all’interpretazione della nozione di criminalità organizzata

31.10.2001 n. 32, Policastro) è stato dato conto di due diversi orientamenti; uno di tipo
cd. “estensivo, secondo il quale l’espressione “criminalità organizzata” andava riferita a
tutte le attività criminose indistintamente considerate poste in essere da una pluralità di
soggetti costituitisi in apparato organizzativo (in termini Sez. 6^ 7.1.1997, n. 7 Pacini
Battaglia, Rv. 207363; idem 16,5,1997 n. 1972, Paccini Battaglia, Rv. 210045; Sez. 5^
20.10.2003 n. 46221, Altamura ed altro, Rv. 227481); l’altro, più restrittivo, secondo il
quale per criminalità organizzata dovevano intendersi tutte le fattispecie ricomprese
nell’alveo dell’art. 407 comma 2 lett. a), 372 comma 1 bis e 51 comma 3 bis cod. proc.
pen. (in termini Sez. 6^ 24.2.1995 Galvanin, Rv. 201695; Sez. 5^ 5.11.2003 n. 46963,
Anghelone ed altri, Rv. 227772, in cui si afferma l’applicabilità della disciplina derogatoria
anche al reato di sequestro di persona a scopo estorsivo).
40.6 A fare ulteriore chiarezza è intervenuta altra decisione di questa Suprema Corte
(S.U. 22.3.2005, n. 17706 Petrarca, Rv. 230815, che, pur occupandosi della questione in
via indiretta a proposito della inapplicabilità della sospensione dei termini nel periodo
feriale per i delitti di criminalità organizzata, ha indicato anche l’art. 416 cod. pen. come
ipotesi rientrante nel divieto generale di sospensione dei termini nel periodo feriale e di
riflesso rientrante nella disciplina derogatoria suddetta), (Su questo stesso filone
interpretativo si collocano in epoca più recente SEz. 6^ 15.7.2010 n. 37501, Donadio,
Rv. 247994; idem 19.3.2013 n. 28602, Caruso e altro, Rv. 256648).
40.7 E’ dunque da escludere che nella fattispecie de qua dovesse farsi riferimento ad
un quadro indiziario in termini di gravità (riferito, ovviamente al reato e non all’autore),
così come è da escludere che occorresse una motivazione in ordine alla indispensabilità
essendo sufficiente invece che le operazioni di intercettazione fossero necessarie.
40.8 Ancora, va disattesa la tesi relativa alla mancanza di motivazione dei
provvedimenti autorizzativi per genericità della formulazione del motivo dal momento che
sarebbe stato onere del ricorrente indicare partitannente i singoli decreti autorizzativi
affetti dal dedotto vizio: sotto tale profilo quindi la censura si profila inammissibile.
40.9 Quanto, poi, ai rapporti intercorrenti tra il procedimento a carico di AGRICOLA
ed altri e quello oggetto della presente sentenza, vanno condivise le argomentazioni
40

è stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte: con la sentenza delle S.U.

svolte dalla Corte territoriale che, diversamente da come sostenuto dalla difesa del
ricorrente, ha specificamente motivato sulle ragioni della connessione tra i due
procedimenti, affermando in particolare che era da ravvisarsi una connessione di tipo non
solo oggettivo, ma anche soggettivo, dal momento che entrambi i procedimenti
riguardavano una fattispecie associativa finalizzata alla commissione di frodi sportive e
che vi erano implicati dirigenti della Juventus tra cui MOGGI Luciano, con l’ulteriore
notazione – opportunamente rimarcata dalla Corte territoriale – che la parte onerata non

richiama a sostegno del proprio assunto”.
40.10 Quanto, poi, al profilo affrontato dalla difesa in merito alla utilizzabilità di
intercettazioni provenienti da un diverso procedimento, ancora una volta condivisibile è la
risposta fornita dal giudice distrettuale, in quanto per un verso è stata richiamata la
consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale nel caso di imputazione
(provvisoria) per il delitto di associazione per delinquere, va riconosciuta la piena
utilizzabilità delle intercettazioni in diverso procedimento, in caso di indagini strettamente
connesse e collegate, sotto il profilo oggettivo probatorio e finalistico al reato in ordine al
quale il mezzo di prova è stato disposto (vds. Sez. 6^ 5.4.2012 n. 22276 Rv. 252870;
Sez. 3^ 22.9.2010 n. 39761, S. Rv. 248557); per altro verso, è stato evidenziato il
principio, ancora una volta frutto di un consolidato orientamento giurisprudenziale,
secondo il quale, in ossequio alla regola dell’obbligatorietà della azione penale, i limiti
imposti dall’art. 270 cod. proc. pen. circa l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in
procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, riguardano l’utilizzabilità come
elemento di prova ma non precludono la possibilità di dedurre, dalle intercettazioni
disposte in altro procedimento, notizie di nuovi reati quale punto di partenza per le
relative indagini ed acquisizioni probatorie (cfr. Sez. 1^ 2.3.2010 n. 16293 Aquino, Rv.
246657 – Sez. 6^ 22.11.2007 n. 47109, Rv. 238714).
40.11 La difesa del ricorrente, pur condividendo tale principio, ha rilevato che nel
caso in esame nessuna risposta la Corte distrettuale avrebbe fornito in merito alla
obiezione dell’inutilizzabilità delle intercettazioni, in quanto lo strumento captativo
sarebbe stato usato per la ricerca del grave indizio di reato: si tratta di obiezione non
fondata in quanto l’indizio in termini di sufficienza era stato già prospettato dagli organi
investigativi, non potendosi le notizie riferite al P.M. qualificarsi, come pretende la difesa
(che oltretutto sul punto è stata estremamente vaga), mere supposizioni o illazioni
ovvero notizie apprese da fonte non decifrabile, bensì il risultato di mirate indagini non
certo influenzate da possibili “fedi calcistiche” non meglio precisate.
40.12 Corrette, infine, le affermazioni della Corte di merito secondo la quale non
risultava, nè era stato dedotto che la pratica di intercettazione nel diverso procedimento
fosse stata oggetto di un giudizio di invalidità o inutilizzabilità.
41

aveva fornito dimostrazione del contrario “esibendo come dovuto gli atti specifici che

_.

40.13 Così come va condivisa l’altra affermazione della Corte territoriale secondo la
quale “la diversa prospettiva nella quale è coltivata l’eccezione, diretta a sindacare anche
il corpo motivazionale del decreto di autorizzazione che traeva linfa argomentativa dal
compendio probatorio del diverso procedimento, non potrebbe intendersi come censura
di inutilizzabilità ma di nullità, peraltro relativa, travolta dalla fase e dalla stessa scelta
del rito a difesa compressa” (così testualmente pag. 3 della motivazione in diritto).
40.14 In conclusione, quindi, le censure sollevate in punto di inutilizzabilità delle

processuale (artt. 267 comma 1 e 270 comma 1 cod. proc. pen.), sono infondate.
41. Le ultime notazioni riguardano il 5 0 motivo del ricorso Avv. Krogh, concernente il
vizio di motivazione per carenza in relazione agli artt. 185 e 538 e ss. cod. proc. pen. e
1’8° motivo del ricorso a firma dell’Avv. Galasso, concernente la violazione di legge in
relazione all’art. 416 comma 5° cod. pen. e correlato vizio di motivazione in punto di
applicazione dell’aumento di pena per il delitto di cui al capo A) in ragione della
circostanza aggravante del numero delle persone, ad avviso della difesa del tutto
insussistente alla luce di quanto contenuto nella sentenza del Tribunale di Napoli dell’8
novembre 2011, acquisita agli atti, che indicava in otto gli associati facenti parte
dell’organizzazione criminale capeggiata da MOGGI Luciano.
41.1 In riferimento al motivo formulato dall’Avv. Krogh, esso è infondato in quanto
correttamente il danno subito dalle parti civili appellanti (F.I.G.C., BRESCIA Calcio s.p.a.
e fallimento società VICTORIA 2000 s.r.1.) è stato individuato dalla Corte di merito, non
già in termini meramente astratti ed assertivi ma in stretta cannessione con la*
fraudolenta alterazione dei risultati del campionato: circostanza che costituisce,
indubbiamente, un fatto idoneo, non solo in astratto, a produrre conseguenze dannose
per le dette parti civili. Come ricordato dalla Corte – e come è agevole ricavare dalla
quotidiana esperienza – le società di calcio impegnate nel medesimo campionato vi
partecipano nella prospettiva di uno svolgimento corretto delle singole competizioni in
vista del raggiungimento di un risultato finale (piazzamento in classifica) suscettibile di
una valutazione economica (si pensi al cd. “premio salvezza” ovvero alla possibilità di
fruire di sponsorizzazioni molto più remunerative rispetto a quelle previste per un
campionato di serie inferiore o, ancora, ai cd. “diritti televisivi” anche questi fonte di
ritorni economici positivi in relazione alla classifica, al bacino di utenza ed alla serie di
appartenenza).
41.2 Ancora più evidente il danno per la F.I.G.C., il cui compito istituzionale è,
appunto, quello di garantire il corretto svolgimento dello sport a livello agonistico e di
fornire un’effettiva tutela ai diritti individuali dei propri iscritti, sicchè, al di là del
pregiudizio patrimoniale, va riconosciuta (come ha fatto la Corte di Napoli) sicuramente
42

intercettazioni e correlato vizio di motivazione oltre che di inosservanza della legge

una componente non patrimoniale derivante da un danno all’immagine pienamente
risarcibile se derivante da reato.
41.3 Considerazioni identiche valgono – come ben evidenziato dalla Corte
distrettuale – anche per le associazioni rappresentative degli interessi dei consumatori,
essendo, anche in questo caso, ipotizzabile un danno in termini di alterazione dell’esito
delle scommesse regolarmente esercitate. Né può certo qualificarsi illogica o carente la
motivazione resa dalla Corte di merito, ricordandosi anche in questo caso quali sono i

41.4 Quanto alla censura enunciata nel ricorso a firma dell’Avv. Galasso, relativa alla
carenza di motivazione in punto di quantificazione della pena collegata al numero degli
associati, la stessa e’ infondata: per pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di
associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la
configurabilità del reato va valutato in senso oggettivo, ossia come componente effettiva
ed esistente del sodalizio, e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel
processo. Ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione di altri
soggetti rimasti ignoti o giudicati separatamente o deceduti, e che è possibile dedurre
l’esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte,
dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa
a più persone (così Sez. 5^ 23.9.2010, n. 39223, Mastrangeli, Rv. 248882; conforme
Sez. 6^ 24.2.2005 n. 12845, Biancucci ed altri, Rv. 231237).
41.5 Nel caso in esame è facilmente desumibile dalla lettura del capo di imputazione
sub A) che il numero degli associati superasse il numero di dieci (oltre al GIRAUDO,
vanno infatti menzionati MOGGI Luciano, MAZZINI Innocenzo, BERGAMO Paolo,
PAIRETTO Pierluigi, DE SANTIS Massimo, FAZI Maria Grazia, MAZZEI Gennaro,
SCARDINA Ignazio, FABIANI Mariano, RACALBUTO Salvatore, DATTILO Antonio, BERTINI
Paolo e AMBROSINO Marcello che avevano optato per il giudizio ordinario ed ancora,
LANESE Tullio, BAGLIONI Duccio, CASSARA’ Stefano, GABRIELE Marco e PIERI Tiziano
nei cui confronti si è proceduto separatamente nell’ambito del giudizio abbreviato da
costoro richiesto unitamente a GIRAUDO Antonio).
42.

Può, allora, affermarsi che entrambi i ricorsi, in quanto infondati in modo non

manifesto, quanto meno con riferimento alle questioni di maggiore importanza afferenti
alle violazioni di legge in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni, di qualificazione
delle condotte di associazione per delinquere e di frode in competizioni sportive,
andrebbero rigettati.
43.

Senonchè entrambi i reati contestati al GIRAUDO e per i quali lo stesso ha

riportato condanna, si sono nelle more estinti per prescrizione, come mestamente
osservato dal Procuratore Generale requirente che ha testualmente esordito all’inizio
43

limiti entro i quali un vizio di tal fatta può dirsi ricorrente.

della sua requisitoria riconoscendo che “Protagonista principale del presente giudizio,
come peraltro accade di sovente, è il tempo e il decorso della prescrizione”.
43.1 La causa estintiva, peraltro, è maturata pur in presenza di numerose
sospensioni del corso della prescrizione per complessivi anno uno, mese uno e giorni
quattro, per effetto del rinvio dell’udienza nella fase del giudizio di primo grado dal 3
aprile 2009 all’il. maggio 2009 per adesione dei difensori all’astensione proclamata
dall’O.U.A. e, nella fase del giudizio di appello, per effetto dei rinvii delle udienze dal 16

marzo 2012 al 12 ottobre 2012, per analoga ragione; dal 26 ottobre 2012 all’8 novembre
2012 per richiesta dei difensori e dal 22 novembre 2012 al 29 novembre 2012, per
analoga ragione.
43.2 In conclusione, la prescrizione è maturata per entrambi i reati con decorrenza
dalla data di cessazione dell’associazione (indicata nella fine di giugno 2005) e dalla data
di consumazione della condotta di frode (coincidente con il 13 febbraio 2005 – data di
disputa della gara 3UVENTUS-UDINESE) per quanto concerne il capo Q).
43.3 Non vi sono in atti elementi dai quali evincere in termini di evidenza ex art. 129
cod. proc. pen. !Insussistenza dei reati suddetti né la loro non attribuibilità al GIRAUDO
(anzi dalle considerazioni fin qui svolte si traggono inequivoci elementi dimostrativi del
contrario per ciascuna delle due ipotesi residuali per le quali è intervenuta condanna).
43.4 Trattandosi, allora, di prescrizione maturata in data successiva alla pronuncia
della sentenza di appello (4 febbraio 2014, per quanto riguarda il delitto associativo e 17
settembre 2013, per quanto riguarda il delitto di frode in competizioni sportive), trova
applicazione la regula juris di questa Suprema Corte secondo la quale, in caso di
maturazione del termine prescrizionale dopo la sentenza di appello, in tanto è possibile
provvedere alla declaratoria di estinzione del reato in quanto il ricorso non risulti
manifestamente infondato: è, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso dovuta alla
manifesta infondatezza dei motivi, a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., non potendosi considerare
formato un valido rapporto di impugnazione (Sez. 2^ 8.5.2013 n. 28848, Ciaffoni, Rv.
256463; Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641, Tricomi, Rv. 228349; S.U. 22.11.2000 n. 32, De
Luca, Rv. 217266).
43.5 Va, conseguentemente annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei
confronti di GIRAUDO Antonio relativamente ai residui reati di cui ai capi A) e Q) perché
estinti per prescrizione.
43.6 Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in
favore delle costituite parti civili Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; Bologna Football Club
1909 s.p.a.; Victoria 2000 s.r.l. e Casa del Consumatore che si liquidano,
44

novembre 2011 al 21 marzo 2012, per adesione all’astensione dei difensori; dal 21

rispettivamente, in C 2.650,00, oltre spese generali ed accessori di legge; in C 4.000,00,
oltre spese generali ed accessori di legge; C 3.000,00, oltre spese generali ed accessori
di legge ed C 3.000,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di GIRAUDO Antonio
relativamente ai residui reati di cui ai capi A) e Q), perché estinti per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero nei confronti di GIRAUDO Antonio,

Condanna GIRAUDO Antonio alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti
civili Atalanta Bergamasca Calcio s.p.a.; Bologna Football Club 1909 s.p.a.; Victoria 2000
s.r.l. e Casa del Consumatore che liquida, rispettivamente, in C 2.650,00, oltre spese
generali ed accessori di legge; in C 4.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge; C
3.000,00 oltre spese generali ed accessori di legge; C 3.000,00 oltre spese generali ed
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 24 marzo 2015
Il Presidente

ROCCHI Gianluca, DONDARINI Paolo, LANESE Tullio e PIERI Tiziano.

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