Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31621 del 19/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31621 Anno 2015
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Pandolfo Francesco, nato a Napoli il 12.9.91
imputato art. 73 T.U. stup.

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 18.3.14
Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Giulio Romano, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la sentenza impugnata, la
Corte d’appello ha semplicemente rideterminato la pena (in anni 2 di reclusione e 9000 € di multa) ma
ha confermato il giudizio di responsabilità pronunciato nei confronti del ricorrente per la
violazione dell’art. 73 respingendo l’appello volto ad ottenere la riconduzione del fatto
nell’alveo del comma 5 dell’art. 73 T.U. stup..
2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso,
tramite difensore, deducendo erronea applicazione della legge per avere la Corte negato

Data Udienza: 19/03/2015

l’ipotesi attenuata del comma 5 per la quale, a suo dire, vi sarebbero stati i presupposti
considerata la quantità e qualità dello stupefacente sequestrato.
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale,
Motivi della decisione
3.
inammissibile.
Innanzitutto, si deve evidenziare che, al di là della denominazione data al vizio
lamentato (violazione di legge), da parte del ricorrente, non si fa altro che chiedere al giudice di
legittimità una rilettura degli atti probatori per pervenire ad una diversa interpretazione degli
stessi in un’ottica più favorevole alla tesi difensiva del ricorrente.
Il punto è, però, che un vizio della motivazione non dà luogo a violazione di legge (art.
606 lett. b)) tranne che nei casi di mancanza assoluta di motivazione (o di motivazione meramente
apparente) mentre l’illogicità manifesta può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto
tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice
(su, 28.1.04, Bevilacqua, Rv. 226710).

A tale stregua, pertanto, il motivo di ricorso deve essere esaminato secondo i parametri
sopra indicati che guidano il vaglio della motivazione da parte del giudice di legittimità. In tale
prospettiva, si deve anche puntualizzare che la illogicità manifesta non si identifica con la mera
difformità della decisione assunta rispetto a quella che era nelle aspettative del ricorrente.
Come noto, il vaglio di legittimità è diretto solo a verificare la tenuta logica della
motivazione del giudice di merito e, nella specie, non vi è dubbio che essa ricorra. In
particolare, si osserva che la decisione della Corte di appello ha fatto legittimamente (s.u. 4.2.92,
proprie le
Musumeci, Rv. 191229; Sez. I, 20.6.97, Zuccaro, Rv. 208257 Sez. I, 26.6.00, Sangiorgi, Rv. 216906)
argomentazioni del primo giudice laddove, nel negare la riconducibilità del fatto nell’alveo
dell’ipotesi meno grave del comma 5, ha osservato che «il Pandolfo deve ritenersi inserito in
un circuito criminale in quanto sorpreso a spacciare su una piazza, con la presenza di un altro
soggetto, che aveva il compito di detenere le banconote, evidentemente per ridurre le perdite
in caso di controllo» e che, anche se le precedenti cessioni non sono oggetto di specifica
contestazione, esse sono «…. evidentemente indice dell’inserimento dell’imputato in una
stabile piazza di spaccio».

Pertanto, sulla base di queste ed altre considerazioni, entrambi i giudici di merito hanno
motivatamente negato l’applicazione del comma 5 dell’art. 73 T.U. stup..
La ineccepibilità sul piano logico della lettura data ai fatti dai giudici, per un verso, e,
per altro verso, la genericità ed assertività della doglianza, non possono, quindi, che condurre
alla preannunciata declaratoria cui segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C.

P.Q. M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1000 C

Così deciso il 19 marzo 2015

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Il Presidente
(dr.ssa Claudia Squassoni)

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