Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3162 del 18/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 3162 Anno 2016
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCORNAIENCHI LIDO FRANCO N. IL 17/11/1951
avverso l’ordinanza n. 1138/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
TRIESTE, del 09/12/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 18/11/2015

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza del 9 dicembre 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Trieste
respingeva il reclamo proposto da Lido Franco Scornaienchi, detenuto in regime speciale
ex art. 41 bis ord. oen., avverso il provvedimento del 4 settembre 2014, con il quale il
Magistrato di Sorveglianza di Udine aveva disposto nei suoi confronti la limitazione
dell’acquisto e della ricezione della stampa, proveniente dalla regione d’origine, in

ulteriori reati.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato
personalmente, col quale ne ha chiesto l’annullamento per la contraddittorietà delle
ragioni poste a fondamento della decisione: da un lato la capacità di mantenere contatti
con l’esterno, dall’altro la natura sospetta della spesa necessaria alla sottoscrizione
dell’abbonamento rispetto alle proprie condizioni economiche, posto che egli aveva
chiesto di essere ammesso al lavoro per recuperare denaro da destinare a cure
odontoiatriche. Tali argomenti non tengono conto che egli non può mantenere contatti
con alcuno, che il proprio figlio è detenuto dal 2010 che ogni pubblicazione viene
sottoposta a censura, mentre alcun divieto è stato imposto per la stampa nazionale.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi manifestamente infondati.
1.Ai sensi dell’art. 18 ter, comma 1, lett. a) e b) e comma 3, lett. b) della L. 26
luglio 1975, n. 354, introdotto con la L. 8 aprile 2004, n. 95, su richiesta del P.M. o su
proposta del direttore dell’istituto, il giudice che ha emesso una sentenza di primo grado
nei confronti di un imputato, oppure il magistrato di sorveglianza in caso di condanna
irrevocabile, può disporre limitazioni nella ricezione della stampa anche locale, nonché
può sottoporre la corrispondenza a visto di controllo per esigenze attinenti alle indagini,
per esigenze investigative, di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di
ordine dell’Istituto penitenziario. Detta norma va necessariamente coordinata con quella
di cui alla medesima L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2, la quale, nel
disciplinare le limitazioni cui può essere sottoposto il detenuto, prevede espressamente,
al comma 2-quater, lett. e), la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza per
esigenze di ordine o di sicurezza pubblica e per impedire i collegamenti del detenuto con
l’organizzazione criminale esterna, di cui sia ritenuto tuttora intraneo.
1.1 Alla luce di tale contesto normativo, i giudici di merito hanno ritenuto che la
ricezione da parte dell’odierno ricorrente della stampa proveniente dalla regione d’origine
costituisse un possibile veicolo di informazioni, in grado di consentirgli di continuare a
gestire dal carcere le attività illecite, di favorire l’ascesa criminale del figlio, di mantenere
1

ragione delle esigenze di sicurezza pubblica e di prevenzione della commissione di

canali di collegamento con i sodali ancora in libertà e di consentirgli l’elaborazione di
nuove strategie delinquenziali e ciò in considerazione del suo acclarato inserimento in
sodalizio di stampo mafioso in posizione di spicco e della già accertata in altri casi
strumentalizzazione delle pubblicazioni siffatte per far pervenire, anche mediante
inserzioni all’apparenza innocue, quindi non percepibili come tali dal controllo operato con
la censura, notizie sul territorio e sulle attività criminose d’interesse, in cui è ancora
attiva l’organizzazione di appartenenza. Oltre, a ciò ha rilevato che il ricorrente non

l’abbonamento
1.2 Ritiene il Collegio che la motivazione dell’impugnato provvedimento sia congrua
ed incensurabile nella presente sede di legittimità, siccome rispondente ai canoni della
logica e della non contraddizione, avendo da un lato considerato la pericolosità del
ricorrente in ragione delle emergenze probatorie acquisite e del suo inserimento in
organizzazione ancora operante e temibile, dall’altro fatto riferimento ai collegamenti che
esponenti di tale sodalizio mantengono con i sodali in libertà ed alla possibilità che egli,
acquisita la conoscenza tramite la lettura dei giornali locali di vicende riguardanti fatti di
criminalità organizzata, potesse diffondere all’esterno messaggi contenenti istruzioni e
direttive per influire su detti fatti e mantenere contatti con altri associati.
1.3 In tal modo l’ordinanza impugnata ha esternato i criteri valutativi seguiti ed
offerto puntuale attuazione al disposto dell’art. 18-ter ord. pen., dando conto delle
esigenze di ordine pubblico e di tutela della sicurezza collettiva che imponevano le
limitazioni al diritto costituzionalmente garantito del detenuto senza determinarne la
definitiva e totale compromissione, essendo comunque consentito l’accesso agli organi di
stampa nazionale (Cass. sez. 1, n. 6322 del 11/01/2013, Pesce, rv. 254949; sez.

1 n.

26306 del 20/4/2011, Bonura, Rv. 250717).
1.4 Per contro, le obiezioni mosse col ricorso sono inconsistenti e comunque
rappresentano circostanze di fatto, non direttamente apprezzabili da parte di questa
Corte: lo stato detentivo del figlio non esclude di per sé non un rafforzamento della sua
posizione criminale nei contatti con altri detenuti della medesima estrazione, mentre il
visto di censura si è già dimostrato in altre analoghe situazioni insufficiente a prevenire
gli episodi di strumentalizzazione evidenziati nel provvedimento.
Non sono dunque ravvisabili i vizi denunciati col ricorso, che va dichiarato
inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di
tale tenore, della somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

2

sembrava versare nelle condizioni economiche per potersi permettere di sottoscrivere

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2015.

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