Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3161 del 18/09/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3161 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARVELLI SALVATORE N. IL 01/01/1973
avverso la sentenza n. 1488/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

dirò, per la parte civile, l’Avv
U ‘t i difensor Avv.

Data Udienza: 18/09/2013

I

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato

Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.12.2011, il Tribunale di Milano dichiarò Carvelli
Salvatore responsabile di due episodi di rapina aggravata dall’uso dell’arma
una tentata e l’altra consumata, nonché del reato di porto abusivo di un
taglierino, e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione lo condannò
alla pena di anni tre di reclusione ed € 600,00 di multa.
Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte
d’Appello di Milano, con sentenza del 24.5.2012, in parziale riforma della
sentenza lo assolveva dal reato di porto abusivo di un taglierino, e riduceva
la pena ad armo due mesi undici giorni dieci di reclusione ed euro 566,00 di
multa.
Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione
dell’art.606 lett. e) c.p.p., per mancanza e manifesta illogicità della
motivazione, in relazione all’aggravante di cui all’art.628 co.3 n.1 c.p., in
quanto dal quadro probatorio emerge che la simulazione da parte
dell’imputato di impugnare un’arma è avvenuta in un contesto ben lontano
dai caratteri dell’aggressività e dell’offensività; 2) la violazione dell’art.606
lett.b) e) c.p.p., per errata interpretazione della legge penale e mancanza e
manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla sussistenza degli
estremi del reato tentato nella condotta del ricorrente in relazione al reato di
cui al capo 2. Il fatto che il cassiere della banca abbia spiegato al ricorrente
che era impossibile consegnare il denaro in ragione del sistema temporizzato

inammissibile.

t

della cassa, e ciò senza timore alcuno, depone per l’assoluta inidoneità degli
atti. Il ricorrente poi si allontanava per sua libera scelta.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi sono manifestamente infondati, del tutto generici, e
reiterativi di questioni ampiamente trattate nei giudizi di merito.
La sentenza impugnata va, infatti, necessariamente integrata con quella,
conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado. A ciò aggiungasi che i
fatti come ricostruiti nella sentenza del giudice per l’udienza preliminare
(Carvelli è entrato nella banca di cui al capo 1) impugnando un taglierino, e
nella banca di cui al capo 2) lasciando intravedere una pistola. In entrambi i
casi intimava la consegna del denaro e nel primo caso si appropriava della
somma di € 2510,00. In sede di interrogatorio ammetteva entrambi gli
addebiti, affermando che nella seconda banca era entrato con una pistola
giocattolo) non sono stati oggetto di contestazione, in grado d’appello,
limitandosi il Carvelli a contestare la sussistenza delle armi e ad affermare
l’inoffensività della condotta tenuta nel secondo episodio contestato.
La Corte di appello, in relazione alla sussistenza dell’aggravante
dell’uso delle armi, ha quindi correttamente rilevato che l’impugnare ed
esibire un manico di un taglierino, dando l’impressione di impugnare una
lama, così come l’esibire una pistola giocattolo costituiscono entrambi gesti
atti ad intimorire le vittime, e ad integrare l’aggravante di cui al n.1 del co.3
dell’art.628 c.p.
Nessun dubbio che anche l’esibizione del manico del taglierino (di
norma contenente la lama anche se ripiegata all’interno) sia tale da incutere
timore alle vittime e far ritenere fondata la previsione da parte delle stesse
dell’uso di un’arma (v.Cass.Sez.V, Sent. n. 6496/2011 Rv. 251949).
Né rileva, in senso contrario, che la Corte territoriale, accogliendo uno
dei motivi d’appello, abbia assolto l’imputato dal reato di porto abusivo di

2

-,

un taglierino, mancando la prova che l’oggetto mostrato per intimorire il
cassiere fosse veramente un’arma da punta o da taglio atta ad offendere. Il
fondamento della circostanza aggravante dell’uso delle armi è, infatti, nella
maggior lesività della condotta rispetto all’interesse tutelato e quindi, sul
piano sostanziale, nel particolare effetto intimidatorio che la presenza
dell’arma apporta in concreto all’azione delittuosa; questo effetto dipende

dall’induzione nella vittima della ragionevole previsione dell’impiego
dell’arma a seguito dell’eventuale resistenza alla minaccia, con la
conseguenza che sussiste l’aggravante laddove le modalità della condotta come nella fattispecie – siano tali da rendere fondata siffatta previsione ( v.
Sez.II, Sent. n. 25902/2008 Ud. Rv. 240632; Sez. U, Sent. n. 3394/1992 Rv.
189520).
E neppure è ravvisabile, nel comportamento del Carvelli, in relazione
alla seconda rapina, alcuna desistenza, in quanto essa può aversi solo nella
fase del “tentativo incompiuto” e non è configurabile una volta che – come
nella fattispecie – siano posti in essere tutti gli atti da cui origina il
meccanismo causale capace di produrre l’evento rispetto ai quali può,
semmai, operare, se il soggetto agente tiene una condotta attiva che valga a
scongiurare l’evento medesimo, la diminuente per il cosiddetto recesso
attivo. La desistenza postula, pertanto, che l’agente abbandoni l’azione
criminosa prima che questa sia portata a compimento e, cioè, prima che egli
realizzi compiutamente l’azione tipica della fattispecie incriminatrice, se
trattasi di reati a forma vincolata, o che egli impedisca, avendone ancora il
dominio, che l’azione sia completamente realizzata quando il delitto è
causalmente orientato o a forma libera. Sul punto, l’atto di appello in data
31.1.2012 è generico e meramente reiterativo di questioni ampiamente
trattate nella sentenza di primo grado, sicchè nessun obbligo incombeva alla
Corte di motivazione a riguardo.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa (v.Corte Cost. sent.n.186/ 2000), nell
3

determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata
in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Cos’ i eliberato, il 18.9.2013.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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