Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31556 del 16/06/2015
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31556 Anno 2015
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SPATARI COSIMO N. IL 26/09/1961
avverso l’ordinanza n. 1212/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
REGGIO CALABRIA, del 23/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
Data Udienza: 16/06/2015
RITENUTO IN FATTO
•
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Reggio
Calabria rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da
Spatari Cosimo, condannato per il reato di occultamento e distruzione di
documenti contabili alla pena di anni uno di reclusione e attualmente detenuto
per altro titolo non definitivo.
Il Tribunale ricordava le pendenze del condannato e sottolineava che la
per delinquere di stampo mafioso, due omicidi e un tentato omicidio nonché reati
attinenti alle armi. Già nel 2003 Spatari era stato sottoposto ad avviso orale.
Anche il fratello, titolare dell’impresa presso cui il condannato aveva chiesto
di lavorare, era coinvolto in vicende penali attinenti a reati contro il patrimonio e
finanziari e il figlio era detenuto per intestazione fittizia di beni, con l’aggravante
di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.
Il Tribunale riteneva che si trattasse di elementi da cui dedurre una
particolare proclività al delitto e l’adesione a modelli di comportamento
improntati alla violazione della legge penale, con conseguente pericolosità sociale
del detenuto e impossibilità di esprimere un giudizio prognostico favorevole in
ordine alla futura commissione di ulteriori reati.
2.
Ricorre per cassazione il difensore di Cosimo Spatari, deducendo
violazione di legge e vizio di motivazione.
La motivazione era apparente e illogica nella misura in cui si prendevano in
considerazione fatti pregressi rispetto alla condotta criminosa per la quale era
stata avanzata la richiesta di affidamento in prova; inoltre – con riferimento ai
procedimenti penali in corso per partecipazione ad associazione mafiosa e
omicidio – il Tribunale non aveva applicato il principio di non colpevolezza e non
aveva tenuto conto che in quello pendente davanti all’A.G. di Catanzaro lo
Spatari era stato assolto.
Viene, altresì, censurato il riferimento al negativo contesto familiare di
riferimento, atteso che i precedenti penali dei congiunti di Spatari non potevano
influire sulla possibilità di lavorare nell’impresa del fratello; d’altro canto, il
beneficio poteva essere concesso anche in mancanza di un’attività lavorativa
stabile.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
misura cautelare era stata emessa nei suoi confronti per i delitti di associazione
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per essere i motivi in fatto e, comunque,
manifestamente infondati.
Nessuna violazione dell’art. 47 ord. pen. è ravvisabile nell’ordinanza
impugnata, nella quale il Tribunale di Sorveglianza evidenzia elementi
significativi per giungere alla valutazione richiesta dalla norma: che la misura
possa contribuire alla rieducazione del reo e assicurare la prevenzione del
In tale valutazione, ovviamente, entrano anche i precedenti penali risalenti,
così come le pendenze attuali per reati rispetto ai quali il Tribunale di
Sorveglianza può effettuare una valutazione incidentale (fermo restando che
l’emissione di una ordinanza cautelare presuppone un giudizio di sussistenza di
gravi indizi di colpevolezza da parte di un giudice), ed anche l’ambiente familiare
e quello lavorativo.
L’affidamento in prova al servizio sociale non è un diritto che deve essere
concesso meccanicamente in presenza di determinati presupposti, ma una
misura che il Tribunale di Sorveglianza concede all’esito di una valutazione
discrezionale e di carattere prognostico.
Nell’esprimere tale valutazione, il Tribunale non è incorso in alcuna
manifesta illogicità.
2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 16 giugno 2015
Giacomo Rohi
ariaStefan
i Tornassi
pericolo che egli commetta altri reati.