Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31553 del 29/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31553 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MIGLIETTA LUDOVICO ANTONIO N. IL 07/10/1970
avverso la sentenza n. 191/2011 CORTE APPELLO di LECCE, del
29/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 29/04/2014

R.G. 33543/2013
Considerato che:
Miglietta Ludovico Antonio ricorre avverso la sentenza della Corte di
Appello di Lecce del 29/11/2012, che, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Lecce sez. Dist. di Campi Salentina del 27/10/2010, riduceva la
pena inflitta a mesi sei di reclusione ed € 350,00 di multa per il reato di cui agli
artt. 81, 646, 61 n. 11 cod. pen., chiedendone l’annullamento ai sensi dell’art.
606, comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen.; deduce l’illogicità della motivazione

responsabilità dell’imputato nonché con riguardo alla determinazione della pena
ed alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
Nel ricorso, quanto al primo motivo, viene prospettata una valutazione
delle prove diversa e più favorevole al ricorrente rispetto a quella accolta nella
sentenza di primo grado e confermata dalla sentenza di appello. In sostanza si
ripropongono questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito
preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da
vizi logici; viceversa dalla lettura della sentenza della Corte territoriale non
emergono, nella valutazione delle prove, evidenti illogicità, risultando, invece,
l’esistenza di un logico apparato argomentativo sulla base del quale si è
pervenuti alla conferma della sentenza di primo grado con riferimento alla
responsabilità dell’imputato in ordine al fatto ascrittogli ed alla qualificazione
giuridica dello stesso; in tal senso si è fatto riferimento a puntuali risultanze
probatorie in base alle quali si è ritenuto essersi verificvata l’interversione del
possesso della somma di denaro con consapevole volontà di realizzarla da parte
dell’imputato. Tutto ciò preclude qualsiasi ulteriore esame da parte della Corte di
legittimità (Sez. U n. 12 del 31/5/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez.. U. n. 47289
del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074).
Quanto al trattamento sanzionatorio, il giudice di appello ha ritenuto
adeguata la pena sopra riportata, riducendola rispetto a quella irrogata in primo
grado, considerandola bene perequata rispetto al reale disvalore del fatto,
avendo tenuto contro, tra gli altri elementi, del risarcimento dei danni, seppure
tardivo.
Va, quindi, dichiarata inammissibile l’impugnazione; ne consegue, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina
equitativamente in € 1000,00.
P.Q.M.

e l’erronea applicazione della legge con riguardo all’affermazione di penale

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Roma, 29 aprile 2014

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