Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31541 del 16/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31541 Anno 2015
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: ROCCHI GIACOMO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MOLLACE GIUSEPPE STEFANO N. IL 29/03/1966
avverso l’ordinanza n. 181/2014 CORTE APPELLO di SALERNO, del
25/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;

Data Udienza: 16/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Salerno, in
funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta presentata nell’interesse
di Mollace Giuseppe Stefano di riconoscimento della continuazione tra i delitti
giudicati in cinque diverse sentenze di condanna.
La Corte, dando atto che Mollace era stato ritenuto partecipe di
un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ne

commesso in Casale Monferrato il 31/12/2004, in quanto consumato al di fuori
del periodo di tempo e di luogo di operatività dell’associazione, così come con il
reato di formazione di una carta di identità falsa, non potendo sostenersi che
Mollace, prima di commettere i reati attinenti alle sostanze stupefacenti, avesse
già preventivato di formare un falso documento di identità necessario in caso di
eventuale latitanza; escludeva, infine, il vincolo per i delitti di cui all’art. 73
d.P.R. 309 del 1990 commessi nel 2006 a Modena, atteso che la condotta era di
due anni successiva alla cessazione dell’attività dell’associazione per delinquere
(che aveva operato fino al 2004).

2.

Ricorre per cassazione il difensore di Mollace Giuseppe Stefano,

deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
L’istanza aveva evidenziato l’omogeneità delle condotte, l’identità del bene
giuridico aggredito, la reiterazione ravvicinata nel tempo, il precedente
riconoscimento della continuazione operato in sede di cognizione per i reati
associativi.
La Corte non aveva preso in considerazione gli indici sintomatici della
continuazione indicati dal ricorrente e aveva utilizzato il mero dato temporale,
operando, tuttavia, errori di valutazione. In particolare, il delitto sub 1 (art. 73
d.P.R. 309 del 1990 a Casale Monferrato) era stato commesso il 31/12/2004,
quindi nel periodo di operatività dell’associazione per delinquere di cui Mollace
aveva fatto parte; né il delitto sub 5 era distante due anni dalla fine della
associazione. La difesa aveva evidenziato ulteriori elementi sintomatici: l’utilizzo
della stessa autovettura, il medesimo linguaggio utilizzato nelle conversazioni
intercettate.
Il ricorrente conclude per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

2

escludeva la continuazione con il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990

Questa Corte ha costantemente affermato, in tema di reato continuato, che
l’unicità del disegno criminoso presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di
più violazioni della legge penale, già presenti nella mente del reo nella loro
specificità, e la prova di tale congiunta previsione deve essere ricavata, di
regola, da indici esteriori che siano significativi, alla luce dell’esperienza, del dato
progettuale sottostante alle condotte poste in essere.

Il ricorrente – rinunciando a contestare la decisione adottata quanto al

documento di identità falso – si limita a sottolineare che i reati ex art. 73 d.P.R.
309 del 1990 rispettivamente commessi il 31/12/2004 a Casale Monferrato e a
Modena nel febbraio 2006 hanno la stessa natura di quelli oggetto delle due
sentenze di condanna per il reato associativo – già unificato per continuazione in
sede di cognizione – in relazione ad un’associazione per delinquere operante dal
2002 al 2004.
Ma ciò non è affatto sufficiente per ritenere che tali delitti fossero stati
programmati prima del 2002 dall’interessato; del resto, il ricorso non deduce
nemmeno che essi siano stati commessi nell’ambito dell’attività associativa. In
particolare, quanto al delitto del 31/12/2004 a Casale Monferrato, il ricorrente fa
leva sul dato generico dell’operatività dell’associazione “fino al 2004”, senza
evidenziare elementi concreti che collegassero quel delitto compiuto l’ultimo
giorno dell’anno ai precedenti posti in essere nell’ambito dell’associazione per
delinquere, quindi non contrastando affatto la valutazione della Corte territoriale
secondo cui quel delitto era del tutto estraneo ai precedenti.
In sostanza, il ricorrente deduce la reiterazione nel medesimo reato: ma la
ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il
caratteristico elemento intellettivo (unità di ideazione che abbraccia i diversi reati
commessi) che caratterizza il reato continuato.

2. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso (v. sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle

3

mancato riconoscimento della continuazione per il reato di formazione di un

Ammende.

Così deciso il 16 giugno 2015

Il Pr ‘dente

Il Consigliere estensore

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