Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31534 del 16/06/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31534 Anno 2015
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SESTA FILIPPO N. IL 30/09/1950
avverso l’ordinanza n. 7654/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 20/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/06/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa in data 20 giugno 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Roma
respingeva il reclamo, proposto dal detenuto Filippo Sesta, avverso il decreto del Ministro della
Giustizia che ha prorogato di anni due la sua sottoposizione a regime detentivo differenziato.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del difensore, il
quale ha dedotto:
manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione tradottasi in mancanza di

motivazione, in quanto il Tribunale di Sorveglianza non ha offerto risposta ai motivi di reclamo,
ma si è limitato a ripetere i provvedimenti adottati in precedenza e quello reclamato; ha
affermato che il ricorrente sarebbe personaggio di spicco della criminalità organizzata senza
spiegare come possa rivestire tale ruolo, se isolato, privo di contatti con gli ambienti di
provenienza, affetto da grave patologia al sistema nervoso, causa delle ingiurie commesse in
corso di detenzione, e della perdita del senso della realtà e quali riscontri esterni supportino
tale affermazione.
b) Manifesta inosservanza della legge n. 848 del 1955 di ratifica ed esecuzione della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del primo protocollo addizionale, laddove all’art. 3
fa divieto di tortura ed a trattamenti disumani e degradanti. Nel caso di specie, non si è tenuto
conto del degrado fisico e mentale del condannato, sottoposto al regime differenziato da undici
anni, incapace di rivestire ruoli dirigenziali e protagonista di esternazioni oniriche, mentre
dovrebbe essere sottoposto a cure per il recupero dello stato mentale, che è in aperto
peggioramento e sempre più lontano dal contesto restrittivo, condizione che pregiudica i suoi
diritti fondamentali di persona e di detenuto e che avrebbe consentito di applicare, in luogo del
regime di cui all’art. 41-bis ord. pen., le regole della c.d. massima sicurezza per un periodo
ben delimitato nel tempo.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi affetti da manifesta infondatezza.
1. L’art. 41-bis della legge n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della legge 23 dicembre
2002 n. 279, stabilisce la possibilità di sospendere, in tutto o in parte, le regole del
trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti ivi menzionati allorchè
ricorrano “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione
criminale, terroristica o eversiva”. Secondo quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa
Corte (Cass. sez. 1, n. 39760 del 28/09/2005, Emmanuello, rv. 232684; sez. 1, n. 46013 del
29/10/2004, P.G. in proc. Foriglio, rv. 230136) con orientamento, cui si ritiene di dover
aderire, la chiara formulazione della norma indica che, per il riconoscimento di detta condizione
e diversamente da quanto richiesto per formulare un giudizio di responsabilità “al di là di ogn
ragionevole dubbio”, non debba essere dimostrata in termini di certezza la sussistenza
1

a)

detti collegamenti, essendo necessario e sufficiente che essa possa essere ragionevolmente
ritenuta probabile sulla scorta dei dati conoscitivi acquisiti. E tra le fonti di informazione
valutabili a tal fine rientrano sicuramente gli elementi, ricavabili dalla pendenza di
procedimenti per altri delitti di criminalità organizzata, come ricorre nel caso del Cammarota,
sottoposto a due distinti procedimenti penali per reati di tal natura, circostanze non contestate
col ricorso, allorchè si richiama soltanto la sua condizione di persona incensurata.
1.1 Va altresì ricordato che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di Cassazione è

norma del quale il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore
possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso
l’ordinanza del Tribunale, che abbia respinto il reclamo avverso il decreto ministeriale di
sottoposizione al regime differenziato, unicamente per dedurre il vizio di violazione di legge.
1.2 La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge va intesa nel senso
che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di
disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale
vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente
apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il ragionamento logico seguito dal
giudice di merito per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento, ovvero quando
l’apparato argomentativo sia talmente scoordinato e carente nei suoi passaggi logici da far
rimanere ignote o non comprensibili le ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un.
28/5/2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9/11/2004, ric. Santapaola, rv. 230203; Sez. 1,
n. 449 del 14/11/2003, Ganci, rv. 226628).
1.3 E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il vizio di
illogicità, contraddittorietà o insufficienza della motivazione, che sotto questo profilo, non può
evidentemente trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
2. Ciò premesso, è destituita di qualsiasi fondamento la doglianza che assume l’assoluta
carenza di motivazione e la sua presenza soltanto in senso grafico, ma non effettuale. Al
contrario, prendendo spunto dagli accertamenti condotti nelle sentenze che lo hanno
condannato in via definitiva, ha ritenuto che tale materiale probatorio indicasse l’avvenuta
assunzione da parte del Sesta del ruolo di spicco, quale promotore ed organizzatore,
nell’ambito del sodalizio mafioso Trigila, facente parte del clan Aparo-Nardo-Trigila, operante
nella zona di Siracusa e collegato a “cosa nostra” catanese, organizzazione indicata come
tuttora operante ed in grado di controllare in via monopolistica tutte le attività illecite e di
infiltrarsi nel settore produttivo. Ha dunque evidenziato che anche in costanza di detenzione il
Sesta, mai sfiorato da propositi di dissociazione, ha posto in essere condotte criminose di
ingiurie, oltraggio, minaccia a pubblico ufficiale ed in tempi recenti, risalenti al luglio 2013, nel
corso di un colloquio con i familiari, ha manifestato gravi minacce ed insulti al suo difensor
impartendo precisi ordini ai congiunti. E ha dedotto che egli è in grado e ha assun
2

stabilito dal comma 2-sexies dell’ art. 41-bis, come novellato dalla legge nr. 94 del 2009, a

l’atteggiamento tipico di chi dirama istruzioni ad altri soggetti in stato di libertà e può dunque
mantenere collegamenti, anche tramite i familiari, con l’organizzazione nella quale ha militato.
Il Tribunale ha dunque ritenuto razionalmente giustificato il giudizio espresso in ordine alla sua
perdurante militanza, alla sua conseguente qualificata ed attuale pericolosità ed alla sua
capacità di mantenere contatti con l’associazione criminale di appartenenza mediante i colloqui
periodici con familiari ed altri soggetti ammessi, se assoggettato al regime detentivo ordinario.
2.1 Non può dunque affermarsi che l’ordinanza in esame sia priva di motivazione o

ragionamento valutativo, condotto nel caso concreto. Inoltre, anche l’allegazione che riconduce
minacce, insulti ed ingiurie a delirio o vaneggiamento, frutto di alterazione delle condizioni
psico-fisiche del ricorrente, oltre a delineare profili fattuali estranei al perimetro cognitivo
proprio del giudice di legittimità, non riceve alcuna conferma dimostrativa.
Né può tenersi conto degli effetti prodotti dalla protratta sottoposizione al regime
differenziato per desumerne la smentita del ruolo dirigenziale, in quanto, a fronte degli
accertamenti condotti in sede di cognizione e della constatata mancata dissociazione, rileva la
potenziale capacità del detenuto di riallacciare contatti con i sodali in libertà e di contribuire in
tal modo al mantenimento in vita ed all’operato dell’organizzazione, nella quale ha certamente
militato.
2.2 Non può trovare accoglimento nemmeno la doglianza circa il decadimento delle sue
condizioni mentali, che non assume un qualche rilievo ai fini della decisione, dal momento che
potrebbe fondare eventualmente, se supportata da adeguato riscontro dimostrativo, un’istanza
di differimento dell’esecuzione, ma che non esclude la marcata pericolosità del ricorrente ed i
presupposti per disporre la proroga della sottoposizione al regime detentivo differenziato.
L’impugnazione va dichiarata inammissibile, con la conseguente condanna del
proponente al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto dei profili di colpa insiti nella
proposizione di siffatta impugnazione, al versamento di una somma in favore della Cassa delle
Ammende, che si stima equo determinare in euro 1.000,00.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2015.

esponga argomenti del tutto incoerenti ed illogici, tali da non consentire di discernere il

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