Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31530 del 29/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 31530 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ENVER BERISA N. IL 06/04/1957
avverso la sentenza n. 1501/2008 CORTE APPELLO di LECCE, del
02/05/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROBERTO MARIA
CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE;

Data Udienza: 29/04/2014

R.G. 33090/2013
Considerato che:
Enver Berisa ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce
del 2/5/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di Brindisi sez. dist. di
Ostuni del 11/1/2008 con la quale è stato condannato alla pena di mesi tre di
reclusione ed C 300,00 di multa per il reato di ricettazione, chiedendone
l’annullamento ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.;
deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla sussistenza

La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, si è
adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il
quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la
consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia
peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e
completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato
presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorché siano
tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la
comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Del
resto questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della provenienza
delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e
quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza
della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non
attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è
sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con
un acquisto in mala fede (Sez. 2 n. 25756 del 11/6/2008, Nardino, Rv. 241458;
sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Fontanella, Rv. 248265). Nella sentenza
impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione
del telefono cellulare risultato rubato si pone come coerente e necessaria
conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha
recentemente affermato (Sez.U. n. 12433 del 26/11/2009, Nocera, Rv. 246324;
sez. 1 n. 27548 del 17/6/2010, Screti, Rv. 247718) l’elemento psicologico della
ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in
presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità
della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio,
non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo consistere in
un mero sospetto. Le su esposte considerazioni impongono di dichiarare
inammissibile il ricorso, perché i motivi sui quali è fondato risultano
manifestamente infondati.

dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in € 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.

Roma, 29 aprile 2014

spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle

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