Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3151 del 28/05/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3151 Anno 2014
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: CAIAZZO LUIGI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LIPAROTI NICOLA N. IL 23/11/1978
avverso la sentenza n. 410/2011 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 10/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO
krt-4k.
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per < fts co-14-9 _ ‘.1-3 Udito, per la parte civile, l'Avv, Uditi difensor Avv. 17<"944t, Cr' Data Udienza: 28/05/2013 RILEVATO IN FATTO Con sentenza in data 10.2.2012 la Corte d'appello di Caltanissetta confermava la sentenza del Tribunale di Gela in data 1.12.2010 appellata da LIPAROTI NICOLA con la quale il predetto era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena complessiva di anni 6 e mesi 6 di reclusione per i seguenti reati uniti dal vincolo della continuazione: -A) art. 416-bis c.p. per aver fatto parte di un nucleo gelese riconducibile all'associazione mafiosa denominata Stidda - capeggiato da Di Maggio Paolo e nel periodo dal novembre 2004 al febbraio 2006; -P) artt. 424 c.p. e 7 legge 203/1991 perché, in concorso con Di Maggio Salvatore e Furneri Fortunato, dava alle fiamme l'autovettura Lancia Y di Palmieri Luigi, con l'aggravante di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. e al fine di agevolare le attività dell'associazione mafiosa denominata Stidda; in Gela il 9.11.2005. La Corte d'appello respingeva il motivo di gravame con il quale la difesa dell'imputato aveva sostenuto che il compendio probatorio di cui al presente processo fosse, nella sostanza, lo stesso (le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Sultano Marcello Orazio, Zuppardo Benedetto e Terlati Emanuele) di quello in base al quale l'imputato era stato assolto dal delitto di partecipazione alla stessa associazione di stampo mafioso, seppure con riferimento ad un diverso periodo (aprile 2003 - ottobre 2004). Prese in esame le dichiarazioni dei suddetti collaboratori rese nel presente processo, riteneva che, soprattutto con riferimento alle dichiarazioni rese dallo Zuppardo, fossero intervenute sostanziali integrazioni delle vicende narrate, riferibili a fatti (condotte estorsive, atti di intimidazione, percezione di uno stipendio mensile di euro 500,00) successivi al periodo preso in considerazione nella sentenza che aveva assolto l'imputato dal reato associativo. Riscontri alle dichiarazioni dello Zuppardo, secondo la Corte territoriale, si del quale facevano parte anche il figlio di questi, Salvatore, ed altri giovani - rinvenivano, oltre che nelle dichiarazioni delTerlati,anche nel contenuto di conversazioni intercettate nel novembre 2005, dalle quali risultava il coinvolgimento del Liparoti con Di Maggio Salvatore in attività illecite connesse all'associazione mafiosa di cui all'imputazione e nell'incendio di un'autovettura contestato al capo P), in quanto tale fatto - commesso insieme al Furneri e a Di Maggio Salvatore - era stato compiuto, come già avevano osservato i giudici di primo grado, con una tipica condotta di carattere mafioso, in reazione ad uno schiaffo dato tempo prima da Giovanni D'Amico a Salvatore Di Maggio, condotta rientrante tra le più caratteristiche azioni mediante le quali gli appartenenti alle organizzazioni mafiose tendono a perseguire i loro intenti punitivi o intimidatori. 1 /fc La Corte distrettuale riteneva, infine, che non vi fosse alcun contrasto nel ritenere sussistente l'aggravante di cui all'art. 7 legge 203/1991 che era stata esclusa con le sentenze di primo e di secondo grado che avevano giudicato il fatto di strage (incendio di un immobile abitato, impedendo agli occupanti di fuggire) commesso lo stesso giorno e a poca distanza di tempo, essendo diversi i fatti, seppure commessi dalle stesse persone. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore per all'art. 416-bis c.p. e all'aggravante di cui all'art. 7 legge 203/1991, sia in relazione all'art. 192/2 c.p.p.. Il ricorrente era stato già assolto dalla Corte d'appello di Caltanisetta dallo stesso reato di cui all'art. 416-bis c.p., sebbene la data di commissione del fatto contestato fosse diversa, poiché le fonti di prova erano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Terlati, Zuppardo e Sultano di contenuto sostanzialmente identico. La stessa sentenza impugnata aveva ammesso che soltanto le dichiarazioni di Zuppardo erano ulteriori e diverse, rispetto a quelle precedentemente rese, e i giudici dell'appello non avevano considerato che gli elementi integrativi di novità che avrebbe offerto lo Zuppardo sarebbero comunque rimasti privi di riscontro, mancando la c.d. convergenza del molteplice rispetto alle dichiarazioni rese dagli altri due collaboratori, già giudicate inidonee a dimostrare la partecipazione del Liparoti alla contestata associazione. Neppure poteva considerarsi un valido riscontro il rapporto che il ricorrente intratteneva con il cognato Salvatore Di Maggio, in quanto detto rapporto era stato già preso in considerazione e, con riferimento all'incendio di un'abitazione sita in Via Cartagine n. 3 avvenuto nella stessa serata del 9.112005, era stata esclusa l'aggravante di cui all'art. 7 della legge 203/1991. Risultava, quindi, evidente il contrasto di giudicati, poiché rispetto a due episodi violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione sia in relazione strettamente collegati, avvenuti nella stessa serata ad opera delle stesse persone a trenta minuti di distanza l'uno dall'altro, per l'incendio dell'immobile era stata esclusa l'aggravante di cui all'art. 7, mentre la stessa aggravante era stata ritenuta sussistente per il rogo dell'autovettura di cui al capo P del presente processo. CONSIDERATO IN DIRITTO I motivi di ricorso sonomanifestamente infondati, ovvero sono basati su questioni di fatto, non proponibili in questa sede di legittimità. Non vi è coincidenza tra il periodo di partecipazione dell'imputato all'associazione di stampo mafioso contestato nel presente processo e il periodo 2 /6 di partecipazione contestato allo stesso imputato in altro processo nel quale Liparoti Nicola è stato assolto dal medesimo reato. Quindi, essendo diverso il periodo di partecipazione all'associazione sopra indicata, non può ritenersi che l'imputato sia stato giudicato nuovamente per lo stesso fatto. Non è vero che il Liparoti sia stato giudicato nel presente processo per gli stessi fatti oggetto delle dichiarazioni rese nel precedente processo dai collaboratori di giustizia Sultano Marcello Orazio (reggente della Stidda fino al febbraio 2007), Zuppardo Benedetto (militante della Stidda dal 1995 al 2006), in quanto quest'ultimo, con successive dichiarazioni, aveva riferito (con riferimento al periodo in contestazione) fatti che non erano emersi nel precedente processo, e in particolare attività compiute dall'imputato nell'ambito della suddetta associazione riguardanti estorsioni in danno di sale giochi e ristoranti, azioni intimidatorie e spaccio di sostanze stupefacenti, precisando altresì che il Liparoti riceveva dai vertici dell'associazione la somma di cinquecento euro al mese in quanto affiliato. Neppure è vero che le dichiarazioni dello Zuppardo siano rimaste prive di riscontri, perché, oltre alle dichiarazioni del Terlati che acquistavano un nuovo significato alla luce delle integrazioni fornite dallo Zuppardo, la Corte d'appello ha indicato il contenuto di conversazioni intercettate nel novembre 2005 che non è stato in alcun modo contestato dal ricorrente. Sotto l'aspetto logico, non vi è alcuna contraddizione nel ritenere insussistente l'aggravante di cui all'art.7 legge 203/1991 per l'incendio dell'immobile e sussistente la medesima aggravante per un fatto verificatosi nello stesso giorno a poca distanza di tempo, poiché i due fatti non appaiono compiuti in relazione ad un'unica finalità. Peraltro, il ricorrente non ha contestato le ragioni per le quali i giudici di merito hanno ritenuto commesso con tipico metodo mafioso il delitto di incendio di cui al capo P) dell'imputazione. Pertanto, essendo il ricorso manifestamente infondato, lo stesso deve essere dichiarato inammissibile. Alla relativa declaratoria conseguono di diritto lacondanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché - valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione - al versamento a favore della Cassa delle Ammende della somma, che la Coj7determina, nella misura con rua ed equa, infra indicata in dispositivo..1.A/ ,,(Levxdz,y x.2 4 3 Terlati Emanuele (intraneo alla famiglia gelese di Cosa Nostra fino al 2006) e P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe e proc ssuali e de la somma di eur .1.000,00 alla Cas a Ile Amme ag (3 t'4 Ltj 4i.e o n om

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