Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31490 del 14/04/2016

Penale Sent. Sez. 4 Num. 31490 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 11103/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
22/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. tatiel/it, g I ,s~f tiQa,
che ha concluso per Y’a

Data Udienza: 14/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha
riformato unicamente il trattamento sanzionatorio determinato dal Tribunale di
Roma con la pronuncia emessa nei confronti di A.A., giudicato
responsabile del decesso di B.B., cagionato per colpa eseguendo un
intervento di asportazione di tessuto osseo dalla teca cranica in vista di un
successivo intervento maxillo-facciale, riducendo la pena inflitta ad un anno di
reclusione e eliminando la condizione apposta alla sospensione condizionale della

A.A. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili.

2. La vicenda oggetto del presente giudizio propone un limitato quadro
fattuale non controverso. Il 22 novembre 2006 il B.B. veniva ricoverato alla
clinica Mater Dei, in Roma, per un programmato intervento maxillo-facciale
finalizzato a correggere gli esiti di un pregresso intervento chirurgico di
asportazione d’una cisti mandibolare odontogena mediante le revisione di alcune
lacune ossee residue nella sede della pregressa cisti con contestuale
ricostruzione del processo alveolare edentulo tramite innesto osseo prelevato
dalla teca cranica (intervento cosiddetto di “calvaria”). L’intervento, condotto dal
A.A. assistito dall’anestesista dr. Collini, veniva iniziato lo stesso 22 novembre
2006 alle ore 16,05 con asporto, previa incisione cutanea e scollamento del
pericranio in regione parietale destra e successivo sollevamento tramite uso dello
strumento denominato “Pierzosurgery” e di un trapano tradizionale, d’un
segmento di corticale esterna della predetta teca delle dimensioni di 20 millimetri
per 10. Nella fase terminale dell’intervento l’anestesista, accortosi che il paziente
aveva l’occhio destro socchiuso, aveva rinnovato l’applicazione del “gel” per la
protezione della cornea, riscontrando peraltro lo stato di miosi della pupilla; alle
ore 18,40, terminato l’intervento, sempre l’anestesista, nel liberare il capo del
paziente dai teli sterili che delimitavano il campo operatorio, constatava lo stato
di midriasi isocronica delle sue pupille per cui il B.B. veniva subito trasferito
al reparto radiologia, ove una RMN dell’encefalo individuava la presenza d’una
imponente falda ematica subdurale nell’emisfero destro. In ragione di tale
emergenza veniva chiesta una valutazione neurochirurgica al prof. Delfini che
disponeva nuovo intervento (iniziato alle ore 19,00) per svuotare la raccolta
ematica, all’esito del quale il paziente veniva trasferito al reparto di terapia
intensiva; il B.B. decedeva il successivo 25 novembre.

3. Il Tribunale riteneva accertato che la causa della morte del B.B. fosse
da rinvenire nella complicanza emorragica subdurale conseguente al predetto

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pena; quindi confermando ogni altra statuizione ed in particolare la condanna del

intervento di calvaria, avendo essa provocato danni tali da produrre una
sofferenza vascolare ischemica temporo-mediale ed occipitale destra che, col
passare delle ore, aveva aumentato le aree di sofferenza cerebrali sino a portare
ad un fatale arresto cardio-circolatorio. L’emorragia era stata prodotta dalla
lacerazione di un vaso arterioso sotto-durale (che aveva poi esercitato anomala
pressione sugli altri vasi facendo espandere l’ematoma), a sua volta prodotta da
un fatto traumatico. Circa la specifica natura di tale fatto traumatico, il Tribunale,
sulla scorta delle dichiarazioni del prof. Delfini, che eseguì l’intervento di

trauma per compressione (trauma indiretto, ovvero un’eccessiva pressione sulla
dura madre senza lacerarla) o per scalfittura (trauma diretto, con l’incisione
anche in maniera infinitesimale della dura madre e così “bucando” un vaso subdurale), concludendo che l’imputato aveva effettuato una deficitaria manovra
chirurgica, mal posizionando la strumentazione e calcando e sfondando di più da
un lato del tassello osseo prelevato (là dove era stata individuata in sede
autoptica la smussatura dell’angolo supero-interno del tassello stesso, in
corrispondenza del quale vi era il predetto ematoma) andando così oltre la
corticale esterna ed intaccando quella interna. Il primo giudice poneva altresì a
carico del A.A. anche la mancata effettuazione, prima dell’intervento, d’una TAC
volta ad accertare lo spessore della teca cranica, accertamento che benché non
espressamente previsto dai protocolli, nel caso in esame poteva essere disposto
senza pregiudizio per il paziente.

4. La Corte di Appello, dal canto suo, anche sulla scorta di una perizia
eseguita ex art. 603 cod. proc. pen., ha escluso che al A.A. potesse essere
rimproverato di non aver eseguito precedentemente all’intervento una TAC e,
parimenti, di aver omesso di verificare la consistenza dei danni procurati al
paziente dalla eseguita manovra chirurgica ed ha limitato la condotta colposa alla
imperita esecuzione dell’asportazione del tassello osseo. Ad avviso della corte
distrettuale, anche ove non si ritenga raggiunta la prova d’un trauma diretto, e
quindi della lacerazione corticale determinata dalle manovre chirurgiche del A.A.,
risulta incontestabile che l’eccessiva compressione della teca cranica (di
consistenza piuttosto sottile, come emerso in sede di esame autoptico) esercitata
sia nel disegnare lo sportello osseo sia nel sollevare ed asportare lo stesso,
rappresentò un trauma indiretto cui conseguì la rottura di un vaso arterioso che
a sua volta, nel lasso di tempo (varie decine di minuti) intercorso tra
l’asportazione dello sportello osso e la conclusione dell’intervento creò un vasto
ematoma sotto durale.

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urgenza, riteneva che la lacerazione potesse essere stata provocata o da un

Per il collegio territoriale la colpa dell’imputato consistette nel mancato
utilizzo di quella particolare prudenza e perizia imposta dalla “nozione di
comune esperienza nella scienza medica” che in persone di età avanzata lo
spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più
giovani, per cui l’operatore chirurgico deve tener conto delle prevedibili
complicanze di un trauma indiretto determinato dall’uso delle strumentazioni
chirurgiche. Il A.A., all’inverso, utilizzò oltre al “Piezorugey” anche un trapano e

5. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’imputato a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Riccardo Olivo.
5.1. Con un primo motivo deduce vizio motivazionale sotto i diversi profili
del travisamento della prova e della manifesta illogicità della motivazione.
Ad avviso dell’esponente la Corte di Appello ha asserito l’esistenza di una
nozione di comune esperienza (“in persone di età avanzata lo spessore della teca
cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più giovani”) che é smentita
dal fatto che nessuno dei consulenti ha affermato che nella letteratura medica é
riconosciuta la circostanza dell’assottigliamento della teca cranica in ragione
dell’età del soggetto.
Il travisamento della prova viene colto laddove la Corte dì Appello ha
assunto quanto detto dai periti, ovvero che era possibile che fosse stata
utilizzata la punta del trapano per sollevare il tassello, nonostante sia stato
chiarito che il trapano era stato utilizzato solo per la fissazione del tassello in
sede mandibolare. Inoltre, il prof. Delfini non aveva evidenziato soluzioni di
continuo della dura madre. La Corte di Appello non ha tenuto conto di quanto
affermato dai consulenti della difesa in merito: a) alla non significatività della
rottura di un piccolo frammento dell’angolo del tassello osseo, considerato che il
prelievo dalla teca cranica può avvenire a tutto spessore; b) al contrasto tra la
circostanza del contenimento dell’emorragia all’interno del cervello con l’ipotesi
dell’inserimento di un qualsiasi strumento all’interno di esso; c) alle dimensioni
dello scalpello, superiori a quelle del foro nell’angolo superiore del tassello osseo.
Rileva il ricorrente che la rottura del vaso, cagionato dagli ultrasuoni, era
imprevedibile.
Indefinita é la qualificazione della condotta colposa, che ora viene
individuata in una manovra imperita e negligente, ora in un comportamento
carente di prudenza e perizia; effetto, per l’esponente, dell’assenza di una
precisa prescrizione (cautelare) riferibile all’imputato.
5.2. Con un secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 589 e 43 cod.
pen., perché la Corte di Appello ha ritenuto il presunto non corretto utilizzo dello

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uno scalpellino.

strumento nonostante non sia stato accertato che la regola afferente al corretto
utilizzo sia stata violata; analogamente quanto alla ritenuta pressione
erroneamente esercitata sulla dura madre: l’assunto é rimasto privo di riscontri
sicché é frutto di una apodittica inferenza. Il trauma indiretto non avrebbe potuto
essere previsto ed evitato dall’imputato; non essendo emersa una spiegazione
sicura del decorso causale é irragionevole esigere una tale rappresentazione
dall’imputato. L’esponente ribadisce che la deviazione della condotta dalla regola
cautelare non é stata accertata, a cominciare dalla sicura identificazione della

della legge scientifica di copertura che permette di affermare che la lacerazione
del vaso arterioso si determinò per l’eccessiva pressione eventualmente
esercitata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
6. In via preliminare va rilevato l’avvenuto decorso del termine di
prescrizione, nelle more del presente giudizio. Già la Corte di Appello aveva
individuato, quale termine oltre il quale sarebbe maturata la prescrizione del
reato, il 25 maggio 2014.
Non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità del
condannato, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell’art. 129 co.
2 cod. proc. pen. deve pronunciarsi l’annullamento della sentenza ai fini penali,
senza rinvio.
Le diffuse argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia
impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma non
valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dal A.A., che sono
comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna dello stesso al
risarcimento dei danni in favore delle parti civili.
In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l’art. 578 cod. proc.
pen. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare
estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta
“condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni
cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della
sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di
impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente,
non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche
solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo
quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284
del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).

regola cautelare da osservare nel caso concreto e per finire alla individuazione

7. Limitatamente agli effetti civili la sentenza impugnata deve essere
annullata con rinvio.
I motivi proposti dal ricorrente possono essere esaminati unitariamente,
perché essi convergono verso il medesimo ambito concettuale: l’assenza di una
adeguata identificazione della condotta colposa che dovrebbe fondare il giudizio
di responsabilità del A.A..
Sotto tale profilo appare fondata la censura che investe la mancata
descrizione della condotta colposa che si rimprovera al A.A..

tra gli esperti circa il fatto che la rottura del vaso ebbe origine da un trauma. Per
l’accusa pubblica e privata si trattò di un trauma diretto; mentre per la difesa
dell’imputato si trattò di evento traumatico indiretto, peraltro provocato dagli
ultrasuoni.
E’ in ogni caso indubitabile che risulta esclusa una causa non connessa
all’intervento eseguito dal A.A.; é incontroverso che la lacerazione del vaso
avvenne per l’uso dello strumento utilizzato dall’operatore.
Sin dal primo grado sono stati individuati i segni della eccessiva pressione
prodotta dal A.A.: la smussatura dell’angolo del tassello, la mancanza della
corticale interna a livello dello spigolo supero-interno, l’affondamento della teca
parietale.
Tuttavia ciò non conclude il percorso che conduce al giudizio
sull’imputazione per fatto colposo. Anzi, l’esistenza di una relazione eziologica sul
piano materiale é la premessa perché l’ipotesi accusatoria possa persino essere
formulata.

8. Allorquando si verifica un evento lesivo di beni giuridici l’accertamento
giudiziario muove alla ricerca di una condotta, attiva o passiva, che possa
esserne stata causa. Ove si rinvengano i segni di una ascendenza eziologica che
riconducono all’azione o all’omissione dell’uomo, se l’indagine presuppone
l’estraneità di una volontà di offesa, occorre verificare che l’azione rappresenti la
violazione di una regola cautelare o che era prescritto un facere rimasto
inattuato e che quel facere avesse il carattere di comportamento con funzione di
prevenzione di quell’offesa che si é determinata. E’ innanzitutto questo il fatto
colposo: un’azione o un’omissione che concreta una violazione a regola
cautelare. Solo se l’azione materialmente produttiva dell’evento abbia tale
caratteristica potrà parlarsi di condotta colposa; diversamente l’evento sarà da
ascrivere al caso fortuito, o alla forza maggiore, o alla condotta di un diverso
soggetto. Simili puntualizzazioni possono apparire inutili ovvietà o stanche
ripetizioni didascaliche. In realtà la casistica giudiziaria mostra ancora molteplici
A

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Secondo quanto espone la Corte di Appello, vi é stata assoluta condivisione

esempi dello smarrimento di lucidità che può cogliere di fronte alla forza di
suggestione della relazione causale ‘oggettiva’. E non si può non riconoscere
l’esistenza di pericoli ancor più sottili, come quelli insiti nella insufficiente
riflessione che ancora si registra intorno alla complessa relazione tra titolarità di
una competenza gestoria (del rischio) e regola cautelare, che indicando con quali
specifici comportamenti deve operarsi quella gestione, concorre a definire
l’ampiezza stessa di quella competenza. Anche in questo campo, ignorare la linea
di confine che pur esiste tra competenza gestoria e regola cautelare significa

rischio, rinunciando a verificare se nel caso concreto era davvero richiesto di
tenere un determinato comportamento e quindi rinunciando a verificare che quel
comportamento, ove tenuto, avrebbe evitato l’evento pregiudizievole e che
quest’ultimo concreti proprio il rischio traguardato dalla regola cautelare violata.
E’ agevole quindi concludere che l’intero edificio della responsabilità per
fatto colposo trova un suo essenziale caposaldo nell’accertamento della
ricorrenza di una condotta trasgressiva di regola cautelare causalmente efficiente
rispetto all’evento (secondo i principi elaborati intorno all’art. 41 cod. pen.).
Costruito tale caposaldo l’indagine potrà condursi oltre, alla verifica della cd.
causalità della colpa e poi della colpa in senso soggettivo.
Persino pletorico rammentare che il percorso non assomiglia in alcun modo
alla traiettoria di un grave attratto al suolo dalla forza di gravità. Piuttosto é un
tragitto circolare; fors’anche involuto; con continui andirivieni e connessioni, in
certa misura disegnato anche dall’accordo che, ora esplicitamente ora
tacitamente, perimetra l’area del controverso processuale.

9. Il caso che occupa induce ad un’ulteriore puntualizzazione. La doverosa
identificazione della regola cautelare che, preesistente alla condotta che deve
essere valutata, ne indicava le corrette modalità non può dirsi compiuta con la
mera evocazione della prudenza, della diligenza e della perizia. Prudenza,
diligenza e perizia non sono vuote formule che basta evocare per risolvere il
problema dell’accertamento della condotta colposa. Piuttosto sono concetti
categoriali che nei singoli casi devono tradursi in puntuali indicazioni
comportamentali, prodotto delle specifiche circostanze in presenza delle quali si
svolge l’attività pericolosa. E’ noto che si conoscono regole cautelari rigide, che
indicano nel dettaglio il comportamento a valenza preventiva, e regole cautelari
elastiche, le quali presentano un certo tasso di indeterminatezza nella
descrizione della misura da adottare (Sez. 4, n. 18200 del 07/01/2016 – dep.
02/05/2016, Grosso e altro, Rv. 266640, in motivazione). Ma ciò appartiene
all’enunciato, che non può permettersi di essere maggiormente dettagliato senza

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infiggere il cuneo della responsabilità penale nel solo status di gestore del

ridurre l’area sulla quale si proietta. L’art. 141 Cod. str. prescrive di tenere una
velocità adeguata alle condizioni che accompagnano la circolazione stradale;
impossibile per il legislatore descriverle tutte e individuare casisticamente quali
sono le innumerevoli condotte di guida adeguate. Ma quando dall’enunciato si
passa al concreto segmento di vita le condizioni di contesto sono presenti e
l’utente della strada trarrà da queste la specifica modalità comportamentale alla
quale dovrà conformare la propria condotta.
Una volta di più, quindi, va escluso che il giudice possa fare ricorso ai

caso concreto quale fosse il comportamento imposto dalla prudenza, dalla
diligenza, dalla perizia.

10. Nella vicenda che occupa, a ben vedere, la motivazione in ordine
all’identità della condotta colposa é meramente apparente.
Viene affermato che il A.A. non fu prudente nell’uso dello strumento. Ma non
vi è, in alcuna delle sentenze, una puntuale descrizione dei parametri che
rendono l’uso dello strumento più o meno prudente, per stare alla terminologia
utilizzata dalla Corte di Appello.
Peraltro, il vizio é ancor più radicale. L’ambiguità mantenuta a riguardo del
tipo di strumento utilizzato conduce all’impossibilità in radice di individuare la
regola cautelare violata. Risulta evidente, infatti, che un trapano o uno scalpello
vanno utilizzati osservando regole tecniche diverse da quelle che indirizzano l’uso
di uno strumento ad ultrasuoni.
Nel presente giudizio risulta inadeguata la ricostruzione dell’azione
chirurgica messa in campo dal A.A.. A titolo esemplificativo varrà formulare
alcune delle domande che avrebbero dovuto trovare risposta nelle motivazioni
dei giudici di merito: quali strumenti sono stati effettivamente utilizzati e in quali
fasi? Quali forze sono state prodotte mediante gli strumenti? Quali forze
avrebbero potuto essere prodotte rimanendo osservanti delle prescrizioni
tecniche che regolano l’uso degli strumenti in questione, nelle condizioni di
impiego come quelle verificatesi nella vicenda del B.B.?
La Corte di Appello ha ben svolto la ricognizione che qui si rinviene omessa,
quando ha preso in esame uno degli altri due profili di colpa ascritti dal primo
giudice al A.A.. Il Collegio distrettuale ha escluso che la mancata previa
esecuzione di un esame radiografico potesse essere ascritta all’imputato come
condotta colposa perché “secondo i protocolli della scienza medica relativi
all’intervento di ‘calvaria’ non v’é indicazione per la previa effettuazione d’una
TAC del cranio con finestra ossea …”. Pertanto, la Corte di Appello non ha
rinvenuto una regola cautelare che prescrivesse la previa esecuzione di una Tac

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concetti di prudenza, perizia e diligenza (o ai loro speculari) senza indicare nel

(anche per la incapacità, allo stato della tecnica radiografica, di individuare con
precisione lo spessore del tavolato osseo); e il profilo di colpa é stato escluso.
Ma quando si é trattato di individuare la regola cautelare che sovraintendeva
all’esecuzione dell’intervento, la Corte di Appello non ha trovato le parole,
ripetendo più volte uno schema incompleto: poiché la lesione del vaso arterioso
fu consequenziale all’intervento chirurgico, siffatta rottura fu determinata da
un’imperita e/o negligente manovra chirurgica dell’imputato. Ben diversamente
la Corte di Appello avrebbe dovuto indicare le modalità che prudenza e perizia

Appello non ha operato una decisa scelta tra le alternative in campo; tra l’ipotesi
di un trauma diretto, ovvero la produzione da parte del A.A. di una lacerazione
corticale mediante le manovre chirurgiche, e quella di un trauma indiretto,
ovvero l’esercizio di un’eccessiva compressione della teca cranica sia nel disegno
dello sportello osseo sia nel sollevamento e nell’asporto dello stesso. La
circostanza non é censurabile. Ma allora sarebbe stato necessario rendere
esplicite le regole cautelari violate dal A.A. nell’una come nell’altra ipotesi. E la
Corte di Appello non lo ha fatto; e non poteva farlo, considerato che non é stata
nemmeno in grado di sciogliere il dubbio in ordine agli strumenti utilizzati dal
A.A., al quale rimprovera di non essere stato lineare nella linea difensiva,
avendo dapprima indicato l’uso del solo piezorugey e poi l’uso anche di un
trapano e negando l’uso di uno scalpello, affermato dai suoi consulenti “nel corso
dell’illustrazione dei quesiti da parete dei periti”. Rilievi che non compensano la
persistente lacuna dell’accertamento giudiziario: quale strumenti vennero
utilizzati per il disegno dello sportello osseo, per il sollevamento e l’asportazione
del tassello osseo? Senza una risposta univoca a tale interrogativo alcuna regola
cautelare, sia pure riconducibile al genus ‘prudenza’ (o a quello di perizia?), é
possibile portare a principio informatore dell’esecuzione dell’azione chirurgica del
A.A. (e tanto vale anche come replica al dedotto travisamento della prova del
quale si é fatta menzione nell’esposizione del primo motivo di ricorso).

11. Prima di concludere va svolta un ‘ultima considerazione.
Il ricorrente afferma che la Corte di Appello ha asserito l’esistenza di una
nozione di comune esperienza, per la quale “in persone di età avanzata lo
spessore della teca cranica è generalmente inferiore a quello di soggetti più
giovani”, in realtà mancante di conforto nelle parole degli esperti che hanno
recato un contributo nel presente procedimento.
Anche questo profilo va considerato dalla prospettiva sinora indicata. Pur se
rispondesse al vero che appartiene al notorio (quanto meno della scienza
medica) che lo spessore della teca cranica é più sottile nelle persone di età

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prescrivevano nella fattispecie ed individuare l’errore di esecuzione. La Corte di

avanzata, ciò ancora non si traduce in una precisa regola esecutiva che il A.A.
avrebbe dovuto osservare.
Su un piano più generale, appare dubitabile che nell’ambito di attività di così
alta complessità tecnica, sostenute da una messe di acquisizioni scientifiche,
come quella dalla quale é scaturito il presente procedimento, si possa far ricorso
al concetto di ‘nozione di comune esperienza’ prima e a prescindere
dall’attivazione del contraddittorio tra le parti su quanto sarebbe per l’appunto

12. Alla luce di quanto sin qui esposto, la sentenza impugnata va annullata
senza rinvio ai fini penali perché il reato é estinto per prescrizione; ed annullata
a fini civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello,
al quale va altresì demandata la regolamentazione delle spese tra le parti per
questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto alle statuizioni penali, perché
il reato é estinto per prescrizione.

thvJaA,VA;
Annulla la stessa sentenza quanto alle statuizioni civili, con rimraririTclice civile
competente per valore in grado di appello, al quale demanda la
regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14/4/2016.

notorio.

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