Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3149 del 19/02/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3149 Anno 2014
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUCCUREDDU ROBERTO, nato il 02/01/1968
avverso la sentenza n. 106/2008 CORTE APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI del 12/05/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 19/02/2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Aldo Policastro,
che ha concluso chiedendo dichiararsi la inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. Cecilia Bassu, che ha chiesto
raccoglimento dei motivi del ricorso.

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Data Udienza: 19/02/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6 luglio 2007 il G.u.p. del Tribunale di Nuoro, all’esito
del giudizio abbreviato, ha dichiarato Cuccureddu Roberto responsabile di plurimi
reati in materia di armi a lui ascritti ai capi B), C), D), G), I), L) e M) della
imputazione e, concesse le attenuanti generiche, unificati i reati sotto il vincolo
della continuazione e applicata la riduzione per la scelta del rito, l’ha condannato
alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro 4.000,00 di multa,

2. La Corte d’appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, con
sentenza del 12 maggio 2011, in parziale riforma della sentenza di primo grado,
ha assolto l’imputato dal reato ascrittogli al capo B) perché “il fatto non
sussiste”, e ha rideterminato la pena per i residui reati nella misura di anni
quattro e mesi quattro di reclusione ed euro 3.466,00 di multa.

3. La Corte richiamava, condividendola, la ricostruzione dei fatti operata in
primo grado sulla scorta degli esiti del servizio intercettativo, telefonico e
ambientale, disposto – nell’ambito di un diverso procedimento iscritto per i reati
di cui agli artt. 416 e 56-317 cod. pen. – con riguardo alla utenza cellulare in uso
a Carta Giovanni e all’autovettura Fiat Brava targata BB168DT, intestata e in uso
allo stesso.
Tale attività, i cui esiti, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 270 cod.
proc. pen., erano stati ritenuti utilizzabili in questo procedimento, aveva fatto
emergere elementi di prova in merito al coinvolgimento dell’indicato Carta, ex
poliziotto, di Ruiu Giuseppe e dell’odierno ricorrente Cuccureddu nella detenzione
illegale e nella cessione di più armi comuni da sparo, posti dal G.i.p. del
Tribunale di Nuoro a fondamento della misura custodiale carceraria adottata, per
quanto qui interessa, nei confronti di quest’ultimo, poi sostituita con la misura
dell’obbligo di dimora e infine revocata per cessazione delle esigenze cautelari.
Non vi erano dubbi circa la riconducibilità delle conversazioni intercettate a
Cuccureddu e agli indicati Carta e Ruiu, che spesso si erano chiamati tra loro per
nome. I contatti tra gli stessi erano cominciati, secondo le risultanze delle
informative in atti, quando Ruiu aveva chiesto al suo conoscente Carta una
raccomandazione per far ottenere a un soggetto, un pastore alle sue dipendenze,
poi identificato in Cuccureddu, la restituzione della patente di guida ritiratagli il
19 gennaio 2006 per guida in stato di ebbrezza.
Cuccureddu, dopo il favore ricevuto da Carta, aveva iniziato un rapporto di
assidua frequentazione con lo stesso, come era risultato dalle conversazioni,
frequenti e ravvicinate, intercettate all’interno dell’autovettura del secondo, che
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assolvendolo dai reati di cui ai capi E), F) e H) perché “il fatto non sussiste”.

avevano anche fatto emergere il comune spiccato interesse per le armi da fuoco,
avendo entrambi parlato di armi nella loro disponibilità, come indicate nei capi di
imputazione, e di interesse ad acquistare e cedere ulteriori armi e munizioni per
il loro utilizzo.
3.1. La Corte, che richiamava il condiviso indirizzo interpretativo già seguito
dallo stesso ufficio, alla cui stregua le dichiarazioni captate nel corso dell’attività
d’intercettazione, contenenti ammissione di fatti integranti reato, dovevano
essere considerate come confessioni stragiudiziali, da valutarsi in relazione alle

fine che aveva animato il dichiarante, riteneva che le conversazioni intercettate,
intercorse tra Cuccureddu e Carta, in relazione al loro contenuto, fatto di
domande e risposte consequenziali e di riferimenti espressi alle caratteristiche di
armi e munizioni, erano dimostrative della esistenza di numerosissimi contatti
finalizzati al loro acquisto e alla loro cessione ed erano sostanzialmente veritiere,
senza che potesse ritenersi applicabile alle ammissioni di circostanze indizianti
fatte spontaneamente dall’indagato il disposto degli artt. 62 e 63 cod. proc. pen.
Anche il significato attribuito al linguaggio criptico utilizzato dagli
interlocutori rientrava nelle valutazioni da compiersi da parte del giudice di
merito, cui era demandato di accertare il significato delle conversazioni
intercettate, la chiarezza, la decifrabilità e l’assenza di ambiguità, e i verbali delle
conversazioni intercettate, come da precedenti dei locali uffici giudiziari, avevano
piena utilizzabilità probatoria.
3.2. Secondo la Corte, che esaminava i reati contestati nei singoli capi di
imputazione, non poteva riconoscersi la qualificazione bellica alle munizioni cal. 9
parabellum, e, non essendo vietata la cessione di proiettili per arma comune da
sparo, disponeva l’assoluzione dell’appellante dal reato di cui al capo B).
Con riguardo ai capi di imputazione D), G), I) e M) era confermata la
fondatezza delle accuse richiamandosi le argomentazioni del primo Giudice,
mentre, quanto ai capi C) e L), si osservava che non poteva riconoscersi la
qualificazione bellica alle pistole cal. 9 e cal. 9×21, contestate come armi da
guerra, in mancanza di alcun dato di univoco significato accusatorio da cui
potesse desumersi che avessero le caratteristiche di arma da guerra o tipo
guerra, e che la condotta contestata andava riqualificata sotto la fattispecie di
cui agli artt. 10 e 14 legge n. 497 del 1974.
In forza di tale diversa qualificazione e della disposta assoluzione era
rideterminato il trattamento sanzionatorio nei termini già indicati.

4. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, per
mezzo del suo difensore di fiducia avv. Cecilia Bassu, Cuccureddu Roberto, che
ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale deduce
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circostanze di tempo, luogo, situazione e persone nelle quali erano avvenute e al

violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla sua ritenuta responsabilità per i reati ascritti ai capi
C), D), G), I), L) e M), ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., che impone di
pronunciare condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo
eventualità remote, all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., riguardo alle regole
di valutazione probatoria, all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., che
impone la doverosa ponderazione delle ipotesi antagoniste, e all’art. 49 cod. pen.

4.1. Secondo il ricorrente, si è pervenuti all’affermazione della sua
responsabilità sulla base delle conversazioni intercettate e della ritenuta portata
confessoria delle sue affermazioni nel corso delle stesse conversazioni, che, in
primo grado, erano state ritenute frutto di millanteria con riguardo alle
imputazioni di cui ai capi E) ed F), relative alla cessione di un numero
imprecisato di bombe a mano e alla ricettazione di giubbotti e tute antiproiettile.
Il suo stato, che in psichiatria è qualificato mitomania, e che si fonda sulla
costruzione di una realtà parallela nei colloqui con Carta, è emerso, ad avviso del
ricorrente, dall’effettivo contenuto delle conversazioni intercettate, il cui
riferimento ad armi è privo di alcun riscontro esterno di carattere oggettivo sulla
natura, sulle caratteristiche, sul ritrovamento delle armi e altro, finendo con il
poggiarsi l’accusa su discorsi o parole invece che su condotte materiali o
obiettive, indicative di detenzione e messa in vendita di armi.
Era, pertanto, necessario, secondo il ricorrente, saggiare la fondatezza della
tesi difensiva della

vanteria

attraverso l’analisi delle dinamiche delle

conversazioni intercettate, omessa, invece, dalla Corte di merito, che si è
soffermata sulla valenza probatoria delle dichiarazioni intercettate, quando
invece la contestazione mossa con l’appello atteneva alla millanteria emergente
dal contenuto dei colloqui, nessuno dei quali poteva sfociare nella disponibilità di
armi, e confermata dalle informazioni personali e familiari relative alla sua vita e
personalità.
4.2. Secondo il ricorrente, che richiama i singoli capi di imputazione e il
contenuto delle conversazioni che li sostengono, sette delle nove contestazioni
hanno trovato fondamento nella stessa conversazione del 3 febbraio 2006, senza
neppure verificarsi se in essa con il termine arma e munizioni si sia fatto
riferimento a oggetti plurimi, a quanti e a quali, e senza che alcun riferimento a
reati in materia di armi sia stato acquisito in mesi diversi dal mese di febbraio
2006.
Né nei capi di imputazione, oltre a parlarsi di plurime armi, sono state
indicate condotte oggettive di detenzione e cessione, e neppure si sono offerti al

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in relazione alla inoffensività delle condotte.

giudice fatti circostanziati, elementi di prova e fatti da provare, allo stesso
lasciandosi la discrezionalità di individuare i fatti stessi.
Ciò è avvenuto perché non vi sono fatti da provare, essendo il processo
senza fatti, ricalcando le imputazioni le generiche asserzioni della “produzione
verbale”, con la sola aggiunta del riferimento alle norme indicate come violate, e
non avendo gli inquirenti mai rilevato – pur conoscendo le date degli incontri – la
effettiva consegna di armi o munizioni.
4.3. Ad avviso del ricorrente, l’analisi delle intercettazioni fa emergere come

armi e munizioni da parte di esso ricorrente, che ha seguito la tecnica di
“spostare il discorso”, senza che mai né l’uno né l’altro abbiano potuto avere o
vedere le armi rispettivamente indicate, riportandosi in ricorso stralci della
conversazione dell’indicato 3 febbraio 2006 e rimarcandosi che le fantasiose
situazioni passate, caratterizzate dalla visione di armi in capo a un terzo
detentore, sono diventate oggetti posti in vendita e contestati nelle imputazioni.
In tal modo, secondo il ricorrente, il contenuto delle conversazioni è di
segno opposto a quello della sua ritenuta colpevolezza e dimostra, unitamente ai
documenti prodotti in sede di indagini, la sua particolare e innocua condizione
umana, già segnalata a mezzo memoria, e la inidoneità offensiva delle condotte,
solo verbali, tenute.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ogni conseguenza di
legge perché le doglianze sono manifestamente infondate o generiche o non
consentite in sede di legittimità.

2. Le censure svolte dal ricorrente attengono, in particolare, alla contestata
correttezza, sul piano logico e giuridico, dell’iter motivazionale seguito in sede di
merito per accertare il contenuto delle conversazioni intercettate e l’affidabilità
dei riferimenti in esse operati ad armi e munizioni dallo stesso ricorrente, senza
saggiare la fondatezza della tesi della sua mitomania e vanteria, e alla
contestata sufficienza e coerenza degli elementi probatori utilizzati per pervenire
al giudizio della sua responsabilità penale quanto ai reati ascrittigli, e non
oggetto di pronuncia assolutoria nel giudizio di merito.
2.1. La totale infondatezza delle mosse censure consegue al rilievo che la
Corte di merito, seguendo un logico percorso argomentativo, sviluppatosi in
stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, della quale ha
condiviso la specifica analisi del chiaro contenuto delle conversazioni intercettate,
e facendo esatta interpretazione e corretta applicazione dei pertinenti principi di
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anche l’interlocutore Carta abbia cercato di verificare la disponibilità effettiva di

diritto, ha esaustivamente rappresentato le ragioni significative che, in fatto e in
diritto, giustificano la decisione adottata a fronte del compiuto vaglio delle
deduzioni difensive fatte oggetto dei motivi di appello.
2.2. Essa, infatti, procedendo all’analisi della valenza probatoria delle
dichiarazioni costituenti ammissioni di fatti integranti reato, captate nel corso del
servizio di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, e riconosciutane, in
coerenza con l’indirizzo interpretativo espresso dal medesimo Ufficio, la natura di
confessione stragiudiziale e la idoneità, in astratto, a fornire la prova diretta dei

Cuccureddu e il suo interlocutore Carta Giovanni e captate, integralmente
riportate nella sentenza di primo grado, riprese nella narrativa della sentenza (e
richiamate per sintesi sub 3 del “ritenuto in fatto”), rendevano evidenti sia i
plurimi contatti da essi avviati in vista di acquisti e cessioni di armi e munizioni,
sia la serietà del dialogo affrontato dai medesimi, non messa in dubbio da “frasi,
interlocuzioni o interruzioni significative”, e la serietà dei fini perseguiti, attestata
dai riferimenti espressi alle caratteristiche del materiale trattato, sia la messa in
pratica dell’attività delittuosa di cessione e acquisto di pistole, con relativo
munizionamento, di provenienza illecita.
Tale analisi fattuale ha preceduto, esprimendone la corretta e relativa
applicazione concreta, i richiami operati dalla Corte di merito ai condivisi principi
di diritto, affermati in questa sede di legittimità, in ordine alla non assimilabilità
(comportante la non applicabilità del disposto degli artt. 62 e 63 cod. proc. pen.)
delle ammissioni di circostanze indizianti, fatte spontaneamente dall’indagato nel
corso di conversazione legittimamente intercettata, alle dichiarazioni da lui rese
dinanzi all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria; alla non riconducibilità
delle registrazioni e dei verbali delle conversazioni (integranti la riproduzione
fonica o scritta delle dichiarazioni stesse, delle stesse rendendo in modo
immediato e senza fraintendimenti il contenuto) alle testimonianze “de relato”
sulle dichiarazioni dell’indagato; alle valutazioni riguardanti il significato delle
conversazioni intercettate, la decifrazione del linguaggio criptico utilizzato, la
verifica della sussistenza dei caratteri di chiarezza, di coerenza e di assenza di
ambiguità del significato decifrato e attribuito al contenuto delle conversazioni;
alla spettanza di dette valutazioni alla competente sede di merito.
2.3. La completezza della svolta verifica, che si è espressa anche con
riguardo alle singole imputazioni (di cui ai capi C, D, G, I, L, M), la cui fondatezza
è stata confermata con richiamo al contenuto chiaro delle conversazioni
intercettate illustrate nella sentenza di primo grado e ai rilievi in essa espressi,
ha consentito alla Corte anche di enucleare le munizioni, oggetto delle
conversazioni, non qualificabili da guerra, come contestato, e di assolvere
l’appellante da uno dei reati ascrittigli (sub B), e di individuare le armi comuni da
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fatti, ha rimarcato, in fatto, che le emergenze delle conversazioni intercorse tra

sparo contestate ai capi C) e L), con riqualificazione delle condotte ai sensi degli
artt. 10 e 14 legge n. 497 del 1974.

3. In questo contesto, ancorato alle risultanze ragionate delle evidenze
fattuali disponibili e coerente con il quadro normativo nella lettura costantemente
operata da questa Corte, che ha recentemente ribadito la integrale valenza
probatoria delle dichiarazioni autoaccusatorie intercettate (Sez. 4, n. 34807 del
02/07/2010, dep. 27/09/2010, Basile e altri, Rv. 248089), in linea con la

dep. 29/03/1994, Cuozzo, Rv. 197146), non possono trovare accoglimento le
censure difensive, che, in sovrapposizione argomentativa rispetto all’articolato
ragionamento probatorio svolto e senza correlarsi con i suoi passaggi motivi, né
esprimendone travisamenti o distorsioni logiche, si risolvono in censure sul
significato e sulla interpretazione del materiale probatorio del processo e
tendono a impegnare questa Corte, il cui sindacato rimane di sola legittimità
anche quando sia prospettata in ricorso una diversa e più adeguata valutazione
delle risultanze processuali, in una nuova lettura degli elementi di conoscenza
apportati ai Giudici di merito dal detto materiale probatorio e in una revisione
delle valutazioni da essi effettuate e delle conclusioni raggiunte, non consentite
in questa sede di legittimità.
3.1. La tesi della millanteria, che il ricorrente reitera a fondamento della
contestata veridicità delle proprie dichiarazioni contenute nelle conversazioni
intercettate, e che non trova conforto nella sua assoluzione, in primo grado, dai
reati di cui ai capi E) ed F), disposta per la ritenuta argomentata insussistenza di
prova sufficiente e univoca circa la loro sussistenza, è, infatti, affidata ai soli
rilievi difensivi contrapposti alla coerente disamina, svolta nella sede di merito,
del tenore delle conversazioni e delle ragioni della ritenuta veridicità e serietà dei
contenuti e dei riferimenti esterni, mentre le osservazioni e deduzioni sulla
valenza probatoria delle dichiarazioni autoaccusatorie captate sono prive di
alcuna fondatezza a fronte del rappresentato quadro interpretativo, cui sono
opposte l’assenza di, non richiesti, riscontri oggettivi esterni e la sottovalutazione
del contenuto delle dichiarazioni, reso, al contrario, “in modo immediato e senza
fraintendimenti”, dalla loro registrazione.
Neppure può imputarsi, con alcun fondamento, ai Giudici di merito di avere
omesso la specifica analisi delle dichiarazioni intercettate acquisite, che sono
state, invece, oggetto di esplicito e particolareggiato apprezzamento in primo
grado, condiviso dal Giudice di appello con corretto richiamo al quadro
giurisprudenziale di riferimento, non solo illustrato in via di principio, e rispetto al
quale il ricorrente ha espresso il suo ampio dissenso di merito, reso evidente
dalla stessa metodologia adottata di “riprendere in mano” le imputazioni e il
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pronuncia richiamata in sentenza (Sez. 6, n. 317 del 01/02/1994,

materiale tratto dai contenuti delle conversazioni e dalla riproposizione di rilievi
alternativi sul contenuto e sul significato delle conversazioni.
3.2. La censura relativa alla inidoneità offensiva della condotta ai sensi
dell’art. 49, comma 2, cod. pen., aspecifica e come tale inammissibile perché
non sottoposta all’esame della Corte d’appello con i motivi ritualmente proposti,
è anche palesemente infondata perché correlata all’affermazione del carattere
millantatore delle condotte solo verbali, utilizzate per l’affermazione della
responsabilità penale, ripetuta nell’ottica, ormai superata, della fase del merito.

fattuali e logici, contrasta in alcun modo con l’esatta interpretazione e
applicazione del principio per cui il giudice pronuncia condanna al di là di ogni
ragionevole dubbio, lo stesso imponendo al giudice, per costante e condivisa
giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009,
dep. 17/12/2009, Durante, Rv. 245879; Sez. 1, n. 17291 del 03/03/2010,
dep. 11/05/2010, Giampa, Rv. 247449; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011,
dep. 11/11/2011, PG in proc. Javad, Rv. 251507), un metodo dialettico di
verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del “dubbio” e comportando
che la verifica dell’ipotesi accusatoria da parte del giudicante deve essere
effettuata in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi interni
(l’autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa
(l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica),
come è avvenuto nella specie.

4. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto
del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione
dell’impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della
somma che si determina nella misura ritenuta congrua di euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, HO febbraio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

3.3. Neppure l’operata valutazione, adeguata e plausibile di tutti i dati

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