Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3148 del 19/02/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3148 Anno 2014
Presidente: BARDOVAGNI PAOLO
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
FEDIUC FLORICA, nata il 03/03/1957
MARGINEANU DUMITRU, nato il 06/10/1954
MARGINEANU LACRAMIOARA, nata il 10/04/1980
MARGINEANU MINAI EMIL, nato il 04/11/1978
URSULEANU NICOLETA CLORINA, nata il 05/12/1981
nei confronti di
MARIANI DAVID, nato il 25 agosto 1963
e da:
MARIANI DAVID, nato il 25 agosto 1963
avverso la sentenza n. 39/2010 CORTE ASSISE APPELLO di ROMA
del 13/10/2011;
visti gli atti, la sentenza e i ricorsi;
udita in pubblica udienza del 19/02/2013 la relazione fatta dal
Consigliere dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Aldo Policastro,
che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata
limitatamente alla qualificazione giuridica del reato con rinvio al
Giudice civile, e rigettarsi il ricorso di Mariani David;
udito per le parti civili ricorrenti l ‘avv. Palma Seminara, che ha
chiesto l ‘annullamento della sentenza;
udito per il ricorrente Mariani David l ‘avv. Gian Antonio Minghelli,
che ha chiesto il rigetto del ricorso delle parti civili e l ‘accoglimento
del proprio ricorso.

Data Udienza: 19/02/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’il maggio 2010, la Corte di assise di Latina ha
dichiarato Mariani David colpevole del reato di omicidio volontario in danno di
Margineanu Daniel Dimitru, colpito all’altezza della regione dorsale destra da uno
dei due colpi di un fucile da caccia marca Breda calibro 12, esplosi dall’indicato

trovava a una distanza di circa dieci metri, dopo aver perpetrato un furto di
stecche di sigarette unitamente ad altri complici presso la tabaccheria gestita
dalla moglie dello stesso Mariani, decedendo per acuta insufficienza cardiocircolatoria provocata da shock emorragico.
Con detta sentenza l’imputato è stato condannato, concesse le attenuanti
generiche e l’attenuante della provocazione di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen., alla
pena di anni nove e mesi quattro di reclusione, con interdizione perpetua dai
pubblici uffici e con interdizione legale e sospensione dell’esercizio della potestà
genitoriale durante l’esecuzione della pena, nonché al risarcimento dei danni in
favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separato giudizio civile, con
rigetto della richiesta di provvisionale.

2. Con sentenza del 13 ottobre 2011, la Corte di assise di appello di Roma,
in riforma della sentenza di primo grado, definito giuridicamente il fatto ai sensi
degli artt. 59 e 589 cod. pen, ha determinato la pena per Mariani David in anni
tre di reclusione, ha revocato le pene accessorie e ha assegnato alle costituite
parti civili, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, la somma di euro
venticinquemila ciascuna quanto a Fediuc Florica e Margineanu Dumitru, e la
somma di euro diecimila ciascuna quanto a Margineanu Lacramioara, Margineanu
Mihai Emil e Ursuleanu Nicoleta Clorina.

3. Secondo la ricostruzione del fatto operata dal primo Giudice, e condivisa
dalla Corte, Margineanu Daniel Dimitru nella notte del 19 agosto 2008 si era
introdotto, insieme a complici rimasti ignoti, all’interno della tabaccheria gestita
dalla moglie di Mariani David, sita in Aprilia al piano terra della villetta al cui
piano superiore abitavano lo stesso Mariani e la sua famiglia; attraverso il
monitor collegato alle telecamere a circuito chiuso, Mariani, allertato dal suono
dell’allarme verso le ore tre, aveva visto tre uomini che, entrati nell’esercizio
commerciale, stavano rubando stecche di sigarette, che riponevano in grossi
sacchi, e avevano continuato nella loro azione nonostante il medesimo avesse
azionato altro allarme sonoro al fine di dissuaderli; Mariani, che aveva già subito
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Mariani dal terrazzo della propria abitazione, mentre si stava dando alla fuga e si

altri furti, esasperato e in stato di agitazione, aveva preso il fucile che custodiva
in un armadio, e, mentre la moglie apriva la grata della porta-finestra per
accedere al terrazzo, aveva esploso un primo colpo di fucile a scopo
intimidatorio, un secondo colpo affacciandosi dal terrazzo, dopo avere intimato ai
ladri di andarsene ed essere stato minacciato da uno di essi, contro un vaso di
fiori, e altri due colpi sempre dal terrazzo verso la sagoma della vittima, il primo
dei quali era stato trattenuto dalla sacca che la stessa portava con sé e il
secondo aveva attinto il “bersaglio umano”, che era rimasto privo di protezione e

shock emorragico.
3.1. A tale ricostruzione il primo Giudice era pervenuto sulla base delle
dichiarazioni rese da Mariani, sentito dal Pubblico Ministero, nella immediatezza
del fatto, risultate perfettamente coincidenti con gli esiti della consulenza
balistica, disposta dal Pubblico Ministero, che aveva accertato che erano stati
esplosi quattro colpi, il primo dall’interno della cucina, il secondo dal terrazzo
verso il lato destro del piazzale, il terzo e il quarto da persona affacciata sul lato
sinistro del terrazzo, e aveva rilevato che il terzo colpo aveva lasciato tutti i
pallini nel sacco abbandonato, attinto a otto metri di distanza dal punto di sparo,
e il quarto aveva attinto il corpo della vittima, che aveva avuto il tempo di
percorrere altri due metri, dimostrativo tale tempo della unicità della direzione
del terzo e del quarto colpo, della non simultaneità del secondo di essi, esploso
dopo il caricamento dell’arma da parte di Mariani, e della mira da lui presa.
Coincideva con tale ricostruzione, secondo il primo Giudice, che valutava
come non credibile la versione dei fatti resa dall’imputato al dibattimento,
ricostruendo a posteriori la vicenda (indicando come involontaria la partenza del
terzo colpo, a causa di una sua perdita di equilibrio, e precisando di avere
sparato senza mirare per non avere visto i ladri fuggire), la consulenza medicolegale che aveva accertato che la vittima era stata attinta da un colpo sparato da
un fucile caricato a pallini, posto in posizione più elevata rispetto a essa, alle
spalle da circa dieci metri di distanza.
3.2. La sentenza di primo grado, che escludeva che l’omicidio fosse
ricollegabile a un fatto casuale, ricostruiva, all’esito della svolta analisi delle
emergenze probatorie, l’elemento soggettivo del reato in termini di dolo
eventuale, implicando la volontà di colpire a distanza una “sagoma” umana
l’accettazione del rischio di provocare lesioni mortali; escludeva che ricorressero i
presupposti della legittima difesa, pur essendo stata la condotta determinata da
una ingiusta aggressione al patrimonio, poiché difettavano i requisiti del pericolo
di aggressione alla persona dell’imputato e ai suoi familiari, della necessità di
difesa e della attualità dell’offesa, anche sotto la specie dell’errore ex art. 55 cod.

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che, dopo alcuni passi, era caduto decedendo per la rapida insorgenza dello

pen., non potendo configurarsi l’errata percezione del pericolo, una volta esaurita
l’azione.

4. La Corte di assise di appello, dopo aver sintetizzato la ricostruzione della
vicenda fatta in primo grado, il compendio probatorio, le ragioni della decisione e
le doglianze mosse con l’atto di appello,
– riteneva pacifica e non più contestabile la dinamica del fatto come
ricostruita;

per accertare la sussistenza di eventuali cause di esclusione o di riduzione della
imputabilità dell’imputato appellante al momento del fatto, in dipendenza della
prospettata sussistenza nel medesimo di una condizione di acuta tensione
imputabile al senso di insicurezza derivante dall’ansia di non essere in grado di
poter difendere se stesso, la propria famiglia e i propri beni da reali aggressioni
esterne, rimarcando la esclusa sussistenza di alcuna infermità, la presenza di
note ansiose derivanti anche dall’accumulo di stress imputabile a problematiche
lavorative, e l’insorgenza di disturbo post-traumatico da stress per lo shock
conseguito alla uccisione della vittima, escludenti la sussistenza, al momento del
fatto, di infermità rilevante ai fini della imputabilità. Non erano, invece,
condivisibili le conclusioni del consulente di parte dell’imputato appellante, pure
richiamate, poiché la sequenza delle azioni era logicamente ricostruibile quale
reazione a una condotta altrui, percepita da Mariani come ingiusta e lesiva dei
propri diritti fondamentali, e la decisione di esplodere il terzo e il quarto colpo
apparteneva alla sfera volitiva del medesimo e, pur spiegabile per la paura e per
una erronea interpretazione della situazione di fatto, era svincolata da pregresse
situazioni psicopatologiche;
– escludeva che potesse fondatamente prospettarsi la tesi dell’evento
accidentale, che era in contraddizione logica con la tesi difensiva della non
imputabilità e dello sviluppo dell’azione sotto l’onda emotiva della paura e come
effetto dello stress, oltre a essere in contrasto con la condivisa ricostruzione
operata in primo grado, avvalorata dalle dichiarazioni dello stesso appellante e
dagli esiti della prova scientifica.
4.1. La Corte di assise di appello riteneva, invece, fondato l’appello con
riguardo al chiesto riconoscimento della legittima difesa putativa con errore
dovuto a colpa ai sensi dell’art. 59 cod. pen., con conseguente qualificazione
della condotta quale omicidio colposo ai sensi di detta norma e dell’art. 589 cod.
pen.
Secondo la Corte, che richiamava due arresti di legittimità (Sez. 1 n. 3464
del 24 novembre 2009 e Sez. 5 n. 3507 del 4 novembre 2009), la legittima
difesa putativa supponeva, a differenza di quella reale, la insussistenza obiettiva
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– richiamava gli esiti della perizia psichiatrica disposta nel giudizio di appello

di una situazione di pericolo, tuttavia presupposta dall’agente per erroneo
apprezzamento di un fatto concreto, che doveva essere tale da determinare nello
stesso agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo attuale di
una offesa ingiusta, da accertarsi con giudizio ex ante delle circostanze di fatto,
cronologicamente rapportato al momento della reazione.
Una tale valutazione, ad avviso della Corte, era nella specie mancata per
avere il primo Giudice valutato con ragionamento freddo ex post elementi che
dovevano essere presenti nell’animo dell’appellante al momento del fatto

ladri, tempo notturno, precedenti episodi di furto, sensazione di minaccia
concreta e incombente), e che, non incidenti sulla imputabilità, erano in linea con
la stessa sentenza di primo grado che aveva escluso con giudizio ex ante la
volontà dell’appellante di uccidere, inserendo poi non condivisibilmente una
deduzione ex post circa la condotta da tenersi da parte dello stesso (chiudersi in
casa e chiamare i carabinieri), presupponente una freddezza valutativa e una
padronanza di sé, non riferite né rapportabili al momento della reazione, anche
in considerazione della inconsapevolezza della mancanza di rischi, della presenza
di complici armati e della possibile ritorsione verso il suocero possibilmente
recatosi al piano terra.
4.2. Sul piano sanzionatorio la Corte, che manteneva ferma la concessione
delle attenuanti generiche e della provocazione, rideterminava la pena, avuto
riguardo alla gravità oggettiva del fatto, nel massimo edittale previsto per la
ritenuta fattispecie colposa, pari ad anni cinque di reclusione, che riduceva ad
anni quattro per le attenuanti generiche e ad anni tre per la provocazione,
revocando le pene accessorie inflitte con la prima sentenza.
4.3. La Corte accoglieva anche l’appello delle parti civili che avevano
lamentato la mancata concessione della provvisionale, non sussistendo ragioni
per negarla una volta affermata la responsabilità sia pure nei termini precisati.

5. Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, per
mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, le parti civili
costituite Fediuc Florica, Margineanu Dumitru, Margineanu Lacramioara,
Margineanu Mihai Emil e Ursuleanu Nicoleta Clorina,

che

ne chiedono

l’annullamento, in vista dell’affermazione del loro diritto al riconoscimento del
pieno ed effettivo risarcimento del danno ex art. 185 cod. pen., sulla base di tre
motivi, alla cui esposizione premettono la illustrazione dell’analisi dei fatti e della
responsabilità svolta nei due gradi del giudizio e la deduzione della sussistenza di
un loro concreto interesse alla impugnazione, poiché dalla diversa qualificazione
penalistica del fatto da omicidio doloso a omicidio colposo sono derivate una

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(estrema concitazione, oggettiva paura, urla dei familiari, minacce da parte dei

diversa valutazione della gravità del reato, riconosciuta sussistente, e una
diversa quantificazione del danno subito.
5.1. Con il primo motivo le parti civili ricorrenti denunciano violazione degli
artt. 52 e 59, comma 4, cod. pen., quanto alla riconosciuta legittima difesa
putativa, e carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto, ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
5.1.1. Secondo le ricorrenti, la riqualificazione del fatto è sorretta da
motivazione illogica, incoerente e illegittima quanto alla interpretazione della

ex post del percorso argomentativo del primo Giudice, è incorsa nel medesimo
errore.
La Corte di assise di appello ha, in particolare, assunto la presenza,
all’interno della tabaccheria, del suocero dell’imputato senza indicare da quali
elementi concreti o censure avesse desunto la circostanza, né, ammettendo la
visibilità dello stesso in alcune fotografie estrapolate dal filmato di
videosorveglianza acquisito, ha indicato il fotogramma e il contesto spaziale e
temporale rappresentato e ha precisato come potesse affermarsi che l’imputato,
che non ne aveva mai parlato, avesse conosciuto la circostanza e fatto
erroneamente una valutazione della stessa con giudizio ex ante.
Peraltro, la motivazione è sul punto, oltre che contraddittoria, del tutto
apodittica, per essere congetturale l’argomentazione che non ha dato conto della
situazione concreta desumibile dalla prova documentale, anche in rapporto ai
momenti della vicenda come ricostruita in sede di merito.
5.1.2. La sentenza impugnata, ad avviso delle parti civili, non ha neppure
fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte.
Essa, avendo condiviso la ricostruzione in fatto operata in primo grado,
doveva coerentemente considerare i dati obiettivi emersi da detta ricostruzione enucleati nella sentenza di primo grado e riepilogati e assunti come già
consolidati nella sentenza di appello – dimostrativi del difetto di pericolo attuale
di aggressione alla incolumità fisica dell’imputato o dei suoi familiari e della
intenzione dell’imputato di attingere la vittima per intimorirla o allontanare i ladri
rappresentandosi il rischio di ucciderla, rimanendo contraddittoria e illogica la
motivazione che non ha estrinsecato la ragione per la quale l’imputato avesse
potuto percepire il rischio di un’aggressione, non avendo alcuno dei familiari
neppure chiesto l’intervento delle forze dell’ordine, e si è soffermata solo sullo
stato emozionale dello stesso imputato e dei familiari.
5.2. Con il secondo motivo le ricorrenti parti civili si dolgono della
contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione, risultante dagli
atti del procedimento, per travisamento della prova documentale delle immagini
estrapolate dai filmati di videosorveglianza acquisiti nel corso delle udienze
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disciplina sostanziale applicata, poiché la Corte, dopo aver contestato la natura

dibattimentali di primo grado del 16 marzo 2010 e del 27 aprile 2010, in
relazione alla ritenuta sussistenza della legittima difesa putativa, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
Secondo le ricorrenti, l’unico fotogramma, estrapolato dai filmati del circuito
di videosorveglianza acquisiti agli atti e allegati al ricorso, in cui è presente il
suocero dell’imputato, Cremonini Antonio, contraddistinto con il numero sei,
raffigura lo stesso, “ritratto in primo piano, in piedi, con indosso il solo
indumento intimo”, appena fuori dal porticato esterno della tabaccheria,

sacco bianco con la refurtiva, già raggiunto dal terzo colpo di fucile.
Tale fotogramma ha, pertanto, ritratto un momento successivo alla
sparatoria e alla morte della vittima, e non antecedente, e come tale è inidoneo
a far ritenere che la esplosione del colpo sia avvenuta nella erronea convinzione
dell’imputato di un pericolo di ritorsione per il suocero.
5.3. Con il terzo motivo le ricorrenti parti civili deducono l’omessa
motivazione in ordine alla quantificazione della condanna al pagamento di
somme a titolo di provvisionale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

e), cod.

proc. pen. in relazione all’art. 539, comma 2, cod. proc. pen.
Rispetto a tale condanna, da qualificarsi non quale misura di carattere
cautelare ma come condanna parziale al risarcimento del danno da imputarsi
successivamente alla quantificazione del danno da effettuarsi in sede civile e
come tale suscettibile di passare in giudicato e di essere impugnata in cassazione
per motivi di legittimità, sussistono, secondo le ricorrenti, sia il loro interesse a
impugnare sia la impugnabilità stessa della statuizione.
L’ammontare della provvisionale, di gran lunga inferiore a quello
normalmente riconosciuto in analoghi casi sulla base dei criteri tabellari elaborati
dal Tribunale di Milano e più comunemente accreditati e diffusamente utilizzati,
è stato illogicamente determinato non tenendo conto delle specifiche censure
proposte con l’atto di appello con riguardo alla sofferenza morale e al
turbamento psichico di enorme rilevanza conseguiti al traumatico fatto
omicidiario.

6. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, anche l’imputato Mariani David, che ne chiede l’annullamento,
deducendo, dopo avere a sua volta ripercorso l’intera vicenda processuale,
violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett.

b), c) ed e), cod. proc. pen., con riguardo alla operata quantificazione della pena
nella misura finale di anni tre di reclusione partendo da una pena base pari al
massimo edittale.

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unitamente all’imputato che, avendo il fucile in mano, si accinge a recuperare il

Secondo il ricorrente, il collegamento della motivazione alla sola gravità
oggettiva del fatto, comunque riportabile alla sua situazione psichica al momento
del fatto, e la limitazione delle riduzioni della pena per effetto delle concesse
attenuanti sono rimaste prive di specifica motivazione e non sono spiegabili in
relazione alla sua situazione psico-patologica post facta, ai

suoi problemi

psicologici ante facta e a quanto accaduto in rapporto alla sua personalità,
immune da precedenti e pendenze giudiziarie e dedita solo al lavoro.

1. Il ricorso proposto dalle parti civili attiene nei primi due motivi alla
contestata qualificazione giuridica data al fatto dalla sentenza di condanna, resa
all’esito del giudizio di appello, in riforma di quella più grave, e ritenuta corretta,
riconosciuta dalla sentenza di primo grado.
1.1. Deve premettersi in diritto che questa Corte ha più volte affermato che
sussiste l’interesse della parte civile a impugnare ai fini civili la sentenza di
condanna che dia al fatto una diversa qualificazione giuridica, quando dalla
modifica della qualificazione possa derivare una diversa quantificazione del
danno da risarcire (tra le altre, Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, dep.
28/02/2001, Chieffi, Rv 218427; Sez. 5, n. 4303 del 04/12/2002,
dep. 30/01/2003, Gunnella, Rv. 223769; Sez. 5, n. 12139 del 14/12/2011,
dep. 30/03/2012, Martinez e altro, Rv. 252164; Sez. 4, n. 3998 del 03/07/2012,
dep. 09/10/2012, p.c. in proc. Giacalone, Rv. 254672), e per converso la parte
civile è priva di interesse alla impugnazione di una sentenza di condanna, anche
nell’ipotesi in cui con quest’ultima sia stata data al fatto una qualificazione
giuridica diversa rispetto a quella contenuta nella imputazione, salvo che da tale
diversa qualificazione possa derivare una diversa quantificazione del danno da
risarcire (Sez. 1, n. 23114 del 22/01/2003, dep. 26/05/2003, Laganà e altri, Rv.
224562).
Si è anche osservato, sotto un profilo concorrente e più generale, che nel
sistema processuale penale vigente il diritto della parte civile, una volta
legittimamente intervenuta nel giudizio, di partecipare a tutte le sue fasi per la
tutela dei propri interessi e di proporre impugnazione, a norma dell’articolo 576
cod. proc. pen., con il mezzo previsto per il pubblico ministero, contro i capi della
sentenza di condanna che riguardano l’azione civile trova un limite nella
cessazione dell’interesse, quando non si dibatta su questioni che possano
incidere sull’azione risarcitoria (Sez. 4, n. 4933 del 10/03/1981,
dep. 26/05/1981, Mastrodicasa, Rv. 149005), e che, “in particolare, ciò avviene
allorché, definita la responsabilità dell’imputato, si discuta su elementi che
incidono in modo esclusivo sull’entità della pena in ragione della gravità che
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CONSIDERATO IN DIRITTO

l’ordinamento giuridico riconosce al fatto, sul piano del disvalore penale, senza
possibili incidenze sull’azione di risarcimento del danno”, dovendo rintracciarsi
l’elemento che consente di individuare l’esistenza di un interesse della parte
civile a ricorrere contro la sentenza di condanna “nella possibilità di incidenza
della decisione oggetto del ricorso sulla liquidazione del danno, e quindi nei casi
in cui il punto in contestazione costituisce un elemento essenziale del rapporto
causale, tale da modificare in modo essenziale la relazione tra il fatto reato che
produce il danno e il suo autore” (Sez. 5, n. 10077 del 15/01/2002, dep.

1.2. Tale approdo interpretativo è del tutto coerente con la ricostruzione
sistematica della impugnazione della parte civile in correlazione con la disciplina
delle cause di inammissibilità della impugnazione, dovendo distinguersi, ai sensi
dell’art. 591 lett. a) cod. proc. pen., il profilo della carenza di legittimazione e
quello della carenza di interesse: il primo attiene alla verifica del requisito
soggettivo della titolarità del potere di impugnazione e di quello oggettivo della
conformità del tenore decisorio del provvedimento a un modello prestabilito,
ancorato alle norme procedurali che riconoscono alla parte il diritto di impugnare
il provvedimento o taluni suoi capi, che per la parte civile sono solo quelli che
concernono l’azione civile (art. 576 cod. proc. pen.), salva la facoltà di sollecitare
l’impugnazione del P.M. (art. 572, comma 1, cod. proc. pen.); il secondo, invece,
attiene alla delibazione subordinata e concreta della esistenza di una ragione
economica della parte proponente di ottenere la decisione richiesta al fine di
rimuovere il pregiudizio che a quella ragione arreca il provvedimento impugnato
(in tal senso, in motivazione, Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, citata; Sez. 4, n.
3998 del 03/07/2012, citata).
Alla stregua di tali premesse, è del tutto condivisibile il rilievo conclusivo che

Shae, secondo il quale il giudizio in ordine all’ammissibilità della impugnazione
della parte civile, che richiede in appello una diversa definizione giuridica del
fatto ai fini della quantificazione dei danni da reato, non pertiene alla sua
legittimazione ma all’interesse, poiché, anche in relazione ai poteri decisori del
giudice della impugnazione fissati dal’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., la
definizione giuridica del fatto può essere svincolata dagli effetti penali
conseguenti, cui è correlato l’ambito oggettivo di legittimazione dell’impugnante,
senza essere per tale ragione fine a se stessa, poiché la sentenza penale di
condanna, a norma dell’art. 651 cod. proc. pen. ha efficacia di giudicato quanto
all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale nel giudizio
civile (o amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento del danno (in tal
senso, in motivazione, Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, citata).
1.3. Consegue alle svolte considerazioni che il ricorso proposto dalle parti
civili, da valutarsi in rapporto al loro interesse a impugnare ai fini civili la
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12/03/2002, Mobilia, Rv. 221531).

sentenza di condanna in punto di definizione giuridica del fatto, deve essere
considerato ammissibile, poiché la diversa qualificazione richiesta del fatto illecito
come doloso invece che colposo implica una sua valutazione di maggiore gravità,
che va desunta da una serie di elementi tra i quali l’intensità del dolo e il grado
della colpa, e implica una diversa quantificazione del danno da risarcire (tra le
altre, Sez. 3 civile, n. 15103 del 25/10/2002, Rv. 558053; Sez. 3 civile, n. 702
del 19/01/2010, Rv. 610870).

fondate nel merito.
2.1. La Corte di assise di appello ha condiviso e ripercorso la dinamica del
fatto nei termini ricostruiti con la sentenza di primo grado sulla base delle
dichiarazioni di Mariani David e del coniuge e degli esiti della prova scientifica
(sintetizzati sub 3. e 3.1. del “ritenuto in fatto”), e apprezzati come pacifici e non
ulteriormente contestabili, e ha ritenuto, richiamando gli esiti della perizia
psichiatrica, non esclusa né ridotta la imputabilità del detto Mariani al momento
del fatto per la insussistenza di alcun elemento caratterizzante il concetto di
infermità e rilevante all’indicato fine.
La Corte, che ha anche motivatamente rappresentato la non fondatezza
della tesi difensiva dell’evento accidentale, dedotta in primo grado e riproposta in
appello in contraddizione logica con la prospettazione della non imputabilità
unitamente sostenuta, e contrastata dagli elementi di valutazione offerti dalla
consulenza balistica e dalle dichiarazioni rese dallo stesso Mariani il giorno del
fatto (alle ore 11,50) al Pubblico Ministero, ha ricostruito il fatto in termini di
volontaria esplosione, per opera di Mariani, di quattro colpi di fucile, due dei
quali indirizzati “contro il ladro che fuggiva dalla sua proprietà con una sacca di
sigarette in spalle, colpendo con il primo di questi due colpi la sacca, e con il
secondo il bersaglio umano”.
2.2. Tale analisi fattuale e le conclusioni che l’hanno definita non sono
oggetto di contestazione nel ricorso delle parti civili, né in quello dell’imputato,
che attiene al solo trattamento sanzionatorio, e possono considerarsi non
ulteriormente discutibili.

3. La questione invece controversa, e che fonda la stessa ammissibilità del
ricorso delle parti civili, riguarda l’ulteriore passaggio argomentativo della Corte
di secondo grado, che, nel riformare la sentenza appellata, ha definito
giuridicamente il fatto ai sensi degli artt. 59 e 589 cod. pen. all’esito di un
percorso argomentativo, in diritto e in fatto, ritenuto dimostrativo della
fondatezza della richiesta difensiva di riconoscimento della legittima difesa
putativa con errore dovuto a colpa.
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2. Le censure mosse dalle parti civili con i primi due motivi del ricorso sono

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i presupposti
essenziali della legittima difesa sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da
una reazione legittima; mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di
un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un
diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire
alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra
difesa e offesa (tra le altre, Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, dep. 15/12/2005,
P.G. in proc. Bollardi, Rv. 233352).

con la sola differenza che, nella prima, la situazione di pericolo non sussiste
obiettivamente, ma è supposta dall’agente a causa di un erroneo apprezzamento
dei fatti. Tale errore – che ha efficacia esimente se è scusabile e comporta
responsabilità di cui all’art. 59, comma ultimo, cod. pen. quando sia determinato
da colpa – deve in entrambe le ipotesi trovare adeguata giustificazione in qualche
fatto che, sebbene malamente rappresentato o compreso, abbia la possibilità di
determinare nell’agente la giustificata persuasione di trovarsi esposto al pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sicché la legittima difesa putativa non può valutarsi
alla luce di un criterio esclusivamente soggettivo e desumersi, quindi, dal solo
stato d’animo dell’agente, dal solo timore o dal solo errore, dovendo, invece,
essere considerata anche la situazione obiettiva che abbia determinato l’errore
stesso. Essa, pertanto, può configurarsi se e in quanto l’erronea opinione della
necessità di difendersi sia fondata su dati di fatto concreti, di per sé inidonei a
creare un pericolo attuale, ma tali da giustificare, nell’animo dell’agente, la
ragionevole persuasione di trovarsi in una situazione di pericolo, persuasione che
peraltro deve trovare adeguata correlazione nel complesso delle circostanze
oggettive in cui l’azione della difesa venga a estrinsecarsi (Sez. 1, n. 3464 del
24/11/2009, dep. 27/01/2010, Narcisio, Rv. 245634, e, tra le precedenti
conformi, Sez. 1, n. 3898 del 18/02/1997, dep. 28/04/1997, Micheli, Rv.
207376).
È anche consolidato il principio di diritto alla cui stregua il giudizio di
accertamento della legittima difesa putativa, così come di quella reale, deve
essere effettuato con giudizio ex ante – e non già ex post – delle circostanze di
fatto, cronologicamente rapportato al momento della reazione e dimensionato
nel contesto delle specifiche e peculiari circostanze concrete al fine di apprezzare
solo in quel momento – e non a posteriori – l’esistenza dei canoni della
proporzione e della necessità di difesa, costitutivi, ex art. 52 cod. pen.,
dell’esimente indicata (Sez. 5, n. 3507 del 04/11/2009, dep. 27/01/2010,
Siviglia e altro, Rv. 245843, e, tra le precedenti conformi, Sez. 1, n. 4456 del
17/02/2000, dep. 12/04/2000, Tripodi, Rv. 215808).

11

La legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale

Il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa reale o putativa o
dell’eccesso colposo nella stessa costituisce, peraltro, giudizio di fatto
insindacabile in sede di legittimità, quando gli elementi di prova siano stati
puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito (tra le altre,
Sez. F, n. 39049 del 26/08/2008, dep. 16/10/2008, Greco, Rv. 241553).
3.2. La Corte di secondo grado, che ha richiamato tali condivisi principi, ha
ritenuto che nella specie si erano valutati con la freddezza tipica del
ragionamento ex post “gli elementi di valutazione che dovevano essere presenti

considerandosi “lo stato di estrema concitazione e di oggettiva paura”, del quale
lo stesso risultava portatore in detto momento, e la percezione autentica da
parte del medesimo della sensazione di una minaccia concreta e incombente, in
un contesto connotato dalle urla dei familiari, dalle minacce dei ladri, dall’orario
notturno, dai precedenti furti subiti, dalla paura diffusa all’interno del nucleo
familiare; ha sottolineato che in tale contesto, esclusa dalla stessa sentenza (che
ha riconosciuto il dolo eventuale) con valutazione ex ante la volontà di Mariani di
uccidere, la deduzione ex post pure espressa in sentenza circa la condotta che lo
stesso doveva tenere (serrarsi in casa e chiamare i Carabinieri) presupponeva a
sua volta, nel complesso

iter

valutativo presupposto dal primo Giudice

(portoncino divisorio di accesso al piano superiore blindato e non valicabile senza
adeguati mezzi, indisponibilità di armi da parte dei ladri, minaccia di ritorsioni da
parte degli stessi solo se qualcuno fosse sceso, fuga dei medesimi, esplosione del
colpo mortale contro la vittima in fuga), una lucida consapevolezza, una
freddezza valutativa e una padronanza di sé, non esigibili se non “a mente
fredda”; ha rappresentato che, se tale ricostruzione poteva essere ritenuta
diretta a determinare lo stato d’animo dell’agente, era configurabile un errore
dovuto a una erronea percezione del reale stato di cose, determinata dalle
peculiari circostanze di fatto, per la possibilità, non considerata nella sentenza,
che il suocero di Mariani (ritratto in alcune immagini fotografiche estratte dalle
telecamere di sorveglianza) si fosse recato al piano inferiore e fosse esposto al
pericolo di aggressione o ritorsione da parte dei ladri, e per la possibile
esplosione del colpo nell’erroneo convincimento di tale situazione di pericolo.

4. La ricostruzione della ritenuta scriminante putativa nei termini
sinteticamente rappresentati non resiste alle specifiche doglianze espresse dalle
parti civili ricorrenti, che hanno censurato la decisione sul punto per violazione di
legge e vizio di motivazione.
La Corte di secondo grado, che, richiamando i principi di diritto affermati da
questa Corte, ne ha condiviso il contenuto e ha fissato, in coerenza con essi, il
criterio metodologico da seguire per la corretta analisi della vicenda, rapportando

12

nell’animo dell’agente” nel momento del fatto, non adeguatamente

il giudizio delle circostanze di fatto al momento dell’azione e ritenendo non
condivisibile il giudizio svolto ex post dal Giudice di primo grado, ha, infatti,
omesso di farne corretta applicazione ed è incorsa in illogicità, contraddittorietà e
incongruenze argomentative incidenti sul discorso giustificativo della decisione e
sulla correttezza della operata qualificazione del fatto.
4.1. La non correttezza e la incongruenza logica del ragionamento sono
correlate sotto un primo profilo, denunciato con il primo motivo del ricorso delle
parti civili, alla valorizzazione della circostanza di fatto, costituita dalla possibile

posta a sostegno dell’individuato probabile pericolo di aggressione in danno di un
familiare e a giustificazione dell’erroneo convincimento di Mariani di esplodere i
colpi in presenza di un temuto pericolo.
La circostanza, peraltro enunciata in termini di possibilità di presenza
dell’indicato Cremonini, è rappresentata con generico riferimento alle risultanze
di fotogrammi estratti dal filmato di videosorveglianza dell’interno della
tabaccheria, che, non indicati in altra parte della sentenza, né riferiti dallo stesso
Mariani nei suoi interrogatori riportati nella sentenza di primo grado e nelle sue
dichiarazioni in dibattimento, non risultano oggetto del dibattito giudiziario e,
non specificati nel loro contenuto e nel contesto spazio-temporale che
rappresentano, non sono inseriti logicamente, e in coerenza con le svolte
premesse, nel giudizio ex ante, rapportato cronologicamente al momento del
fatto e riferito alla loro effettiva percezione da parte di Mariani, sì da incidere,
erroneamente, sulla determinazione dello stesso alla esplosione dei colpi.
L’omessa spiegazione di tale passaggio ha determinato un vuoto
motivazionale ricadente sulla tenuta logica della decisione e sulla correttezza
della valutazione svolta circa la sussistenza della ravvisata legittima difesa
putativa, poiché il giudizio prognostico da farsi

ex ante suppone che la

rappresentazione erronea della situazione di pericolo sia correlata a circostanze
di fatto, in concreto percepite dall’agente e non a quelle comunque accertate.
4.2. La indicata circostanza di fatto assume rilievo, anche sotto il
concorrente profilo, denunciato con il secondo motivo, dell’incorso travisamento
della prova documentale rappresentata dalle immagini estrapolate dai filmati del
circuito di videosorveglianza, contenute nei fascicoli fotografici acquisiti al
processo di primo grado nelle udienze del 16 marzo 2010 e del 27 aprile 2010 e
allegati al ricorso.
L’esame di tali immagini illustrato dalle ricorrenti parti civili nell’opporre la
difformità della informazione probatoria, utilizzata in sentenza, rispetto a
specifici atti processuali/probatori e rispetto alla stessa ricostruzione della
vicenda operata dal Giudice di primo grado e condivisa dal Giudice di appello,
non poteva, infatti, essere omesso al fine di una esauriente e persuasiva analisi

13

presenza del suocero di Mariani, Cremonini Antonio, all’interno della tabaccheria,

dei dati fattuali e probatori, una volta che la presenza del suocero di Mariani “in
taluna delle immagini fotografiche” è stata argomentata in motivazione come
rilevante e decisiva al fine del decidere.
La indicazione specifica dell’elemento di fatto, costituito dalla presenza di
Cremonini nel fotogramma n. 6 del fascicolo, acquisito nel corso della udienza
del 27 aprile 2010, nelle condizioni di vestiario descritte dal medesimo nella sua
deposizione testimoniale, unitamente allo stesso Mariani munito del fucile e al
sacco bianco in fase di recupero, non attiene, invero, a una contestazione sul

l’operata ricostruzione dei fatti e della responsabilità e alla tenuta informativa e
logico-argomentativa della motivazione, che non può astrarsi dall’obbligo di
fedeltà alle specifiche evidenze processuali, anche per escluderne l’utilizzabilità o
la rilevanza.
4.3. Ulteriore profilo fondatamente denunciato dalle parti civili con il primo
motivo del ricorso riguarda la illogicità e la illegittimità della decisione, che,
appuntandosi sullo stato emozionale di Mariani e dei suoi familiari al momento
del fatto per “inferirne una rappresentazione della situazione concreta in capo
agli stessi del tutto diversa da quanto in realtà stesse realmente accadendo”, ha
degradato ogni dato obiettivo, indicato nella sentenza di primo grado, ritenuto
pacifico e non contestabile nella sentenza impugnata e ribadito come vero nella
disaminata della ritenuta scriminante putativa, a circostanza suscettibile di
valutazione coerente con la sua concreta e oggettiva sussistenza solo con
ragionamento ex post, come ripercorso in primo grado, e non in rapporto ai
frenetici momenti in cui sono stati esplosi da Mariani i colpi con il fucile, sfociati
nel tragico epilogo.
Una tale impostazione valutativa, posta a base della rilettura critica delle
osservazioni reiettive, in primo grado, della invocata scriminante, raffrontata alle
stesse emergenze processuali, non diversamente valutate, evidenzia la
incoerenza del tessuto argomentativo della ratio decidendi, avvertita nella stessa
sentenza, che, di fronte all’autocritica della limitazione argomentativa alla
determinazione dello stato di animo dell’agente, ha introdotto la vicenda del
suocero dell’imputato come riscontro oggettivo alla errata interpretazione da
parte dello stesso imputato della situazione reale, lasciando ogni dato oggettivo
certo senza alcuna espressa e coordinata ricaduta processuale.
4.4. In tale contesto, l’apprezzamento finale della qualificazione del fatto
come colposo non si pone come rispondente, in contrasto con le affermazioni di
principio pure richiamate e sostenute, ai parametri normativi fissati dagli artt.
59, comma 4, e 589 cod. pen.

14

significato della prova, ma alla compatibilità del dato omesso travisato con

5. È, invece, privo di alcuna fondatezza il terzo motivo del ricorso delle parti
civili che attiene alla contestata quantificazione delle somme liquidate a titolo di
provvisionale.
5.1. Questa Corte ha, infatti, costantemente e condivisibilmente affermato
che il provvedimento con il quale il giudice di merito nel pronunciare condanna
generica al risarcimento del danno assegna alla parte civile una somma da
imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in
quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato a essere

definitiva sul risarcimento che, sola, può essere oggetto di impugnazione con
ricorso per cassazione (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 19/02/1991,
Aliano, Rv. 186722; Sez. 6, n. 9266 del 26/04/1994, dep. 26/08/1994, Mondino
e altro, Rv. 199072; Sez. 1, n. 7241 del 04/03/1999, dep. 08/06/1999, Pirani e
altri, Rv. 213701; Sez. 5, n. 4973 del 18/10/1999, dep. 31/01/2000, Cucinotta
P., Rv. 215770; Sez. 2, n. 36536 del 20/06/2003, dep. 23/09/2003, Lucarelli e
altri, Rv. 226454; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, dep. 15/10/2004, Farina e
altri, Rv. 230105; Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, dep. 27/09/2010,
Mazzamurro, Rv. 248348), poiché la pronuncia circa l’assegnazione di una
provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo e provvisorio,
mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla
discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione
specifica sul punto (Sez. 4, n. 10098 del 20/03/1991, dep. 10/10/1991, Mileti,
Rv. 188254; Sez. 2, n. 6727 del 28/03/1995, dep. 08/06/1995, Terrusi, Rv.
201775; Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, dep. 17/09/2004, Cattaneo e altri,
Rv. 230271; Sez. 5, n. 32889 del 25/05/2011, dep. 26/08/2011, Mapelli e altri,
Rv. 250934).
5.2. Le ricorrenti parti civili, nel contrapporre la sussistenza di oscillazioni
giurisprudenziali non esplicitate e il riferimento alla diversa lettura operata dalla
dottrina processual-penalistica, non deducono alcuna alternativa interpretazione
a quella costantemente seguita, apoditticamente traendo dalla imputazione delle
somme liquidate in via anticipata alla successiva quantificazione del danno la
natura di condanna parziale del provvedimento sulla provvisionale e la sua

suscettibilità di passare in giudicato.

6.

Il ricorso proposto da Mariani David, che riguarda il trattamento

sanzionatorio nella parte relativa alla quantificazione della pena base e alla
limitazione delle riduzioni della pena per effetto delle attenuanti, è
manifestamente infondato.
6.1.. La sentenza impugnata ha, infatti, esplicitato, dopo le determinazioni in
punto responsabilità, le ragioni che giustificavano la scelta giudiziale, rilevando,

15

travolto dalla effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento con la pronuncia

quanto alla entità della pena base corrispondente al massimo edittale, la sua
adeguatezza al fatto, già descritto in termini di oggettiva gravità, e mantenendo
ferme le già concesse attenuanti generiche e della provocazione, con implicita
conferma delle ragioni, non contestate, diffusamente esposte e analizzate dal
primo Giudice con specifici richiami a elementi fattuali a fondamento della loro
applicazione cumulativa, e con determinazione della loro incidenza sulla pena
inflitta nella misura in diminuzione di un anno per ciascuna.
6.2. Tale valutazione, attinente ad aspetti che rientrano nel potere

coerentemente al principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da
soddisfare non richiede necessariamente, né in tema di attenuanti generiche
(Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, dep. 13/09/2010, P.G. in proc. Biancofiore,
Rv.247959), né in materia di determinazione della pena (Sez. 2, n. 36425 del
26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596), l’esame di tutti i parametri
fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure mosse, che del tutto
infondatamente oppongono la rilettura, non consentita in questa sede, nella
medesima chiave prospettica degli stessi elementi già oggetto di congrua e
complessiva valutazione.

7. Alla stregua degli svolti rilievi, il ricorso proposto dall’imputato Mariani
David deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile, mentre le rilevate lacune
e incongruenze motivazionali e la rilevata erronea applicazione dei principi di
diritto, incidenti, con carattere assorbente su ogni altra deduzione, sulla
qualificazione giuridica del delitto contestato all’imputato come omicidio doloso e
riqualificato in appello in termini di omicidio colposo ai sensi degli artt. 59 e 589
cod. pen., impongono, in accoglimento parziale del ricorso delle parti civili,
l’annullamento della sentenza impugnata ai soli effetti civili limitatamente alla
detta qualificazione del fatto, dovendo il ricorso essere dichiarato inammissibile
con riguardo alla contestata entità della provvisionale.
L’annullamento della sentenza nel detto limite deve essere disposto con
rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello, non essendo
più necessari ulteriori interventi del giudice penale e avendo la pronuncia del
giudice di rinvio rilievo al fine della quantificazione del danno (tra le altre, Sez. 6,
n. 6645 del 21/04/1997, dep. 09/07/1997, P.M. e p.c. in proc. Cii, Rv. 209727;
Sez. 5, n. 8577 del 26/01/2001, citata, non massimata sul punto; Sez. 2, n.
10813 del 13/12/2011, dep. 20/03/2012, P.C. in proc. Panza, Rv. 252470).

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto da Mariani David
segue la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, nonché, in
mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa
16

discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente e anche

di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta congrua nel caso
concreto, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Alla regolamentazione delle spese del grado sostenute dalle parti civili, il cui
ricorso è stato accolto nei termini indicati, deve invece provvedere il giudice di
rinvio chiamato a pronunciarsi sulla domanda risarcitoria.

P.Q.M.

qualificazione del fatto e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Giudice civile
competente per valore in grado di appello.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso delle parti civili.
Dichiara inammissibile altresì il ricorso di Mariani David, che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2013

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Annulla la sentenza impugnata ai soli effetti civili limitatamente alla

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