Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31465 del 03/07/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31465 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1)Santangelo Vincenzo
2)Sciacca
Rosa

nato il 23.11.1947
nata l’ 1.07.1956

avverso la sentenza del 29.10.2013
della Corte di Appello di Catania
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P. G., dr. Fulvio Baldi , che ha
chiesto rigettarsi il ricorso

1

Data Udienza: 03/07/2014

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 29.10.2013, ha confermato la sentenza del
Tribunale di Catania, sez. dist. di Paternò, emessa 1’8.1.2013, con la quale Santangelo
Vincenzo e Sciacca Rosa erano stati condannati per il reato di cui agli artt. 36 L.R. siciliana
n.71/1978 e 44 lett.b) DPR 380/2001.
Dopo aver premesso che agli imputati risultava contestato di avere abusivamente realizzato
un immobile a due elevazioni fuori terra, con destinazione a civile abuitazione, e quindi in
totale difformità dal titolo abilitativo che prevedeva la costruzione di un fabbricato per ricovero
di macchine agricole, ha ritenuto la Corte territoriale infondati i motivi di appello. Secondo la
pacifica giurisprudenza di legittimità, infatti, la destinazione abitativa di un immobile, quando
avvenga tra categorie non omogenee, determina mutamento della destinazione d’uso, con
conseguente necessità di permesso di costruire.
Il trattamento sanzionatorio non era poi suscettibile di attenuazione, non ravvisandosi elementi
di segno positivo per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2. Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, denunciando la violazione di
legge in relazione all’art.44 lett.b) DPR 380/2001 ed il vizio di motivazione con riferimento
all’art.36 L.R. siciliana n.71/1978.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il mutamento di destinazione d’uso
cd. Funzionale, senza cioè la realizzazione di opere, non richiede concessione edilizia (ora
permesso di costruire).
La questione è stata affrontata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n.73 dell’11.2.1991,
che ha chiarito che la modifica funzionale è soggetta al regime autorizzatorio.
Il mutamento d’uso, senza la realizzazione di opere edilizie, non determinando una
trasformazione urbanistico-edilizia del territorio i non contrasta con le previsioni del piano
regolatore. Che il mutamento di destinazione debba ormai ritenersi attività libera è
confermato dalla giurisprudenza amministrativa.
Le modifiche apportate dai ricorrenti non hanno determinato aumento di volumi, né
realizzazione di opere edilizie aggiuntive, per cui l’intervento deve ritenersi assoggettato al
regime dell’autorizzazione.
I Giudici di appello, senza motivare in ordine ai rilievi contenuti in proposito nei motivi di
gravame, si limitano ad affermare che il mutamento di destinazione è avvenuto tra categorie
non omogenee.
Denunciano, infine, la mancanza di motivazione in ordine alla omessa concessione delle
circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Risulta pacificamente (non venendo contestato neppure dalla difesa) che gli imputati
avevano realizzato in zona agricola un immobile a due elevazioni fuori terra, su una superficie
coperta di mq.150 circa, destinandolo a civile abitazione, mentre il titolo abilitativo prevedeva
la costruzione di un fabbricato per ricovero di macchine agricole.
Hanno quindi accertato i Giudici di merito che la costruzione realizzata aveva una destinazione
completamente diversa da quella assentita (da uso agricolo ad uso abitativo)- cfr. anche pag.
2 sent. Trib.; e, sulla base di tale accertamento, hanno, correttamente, ritenuto che, pur non
essendo stato effettuato alcun ampliamento di volume né opere edilizie aggiuntive, fosse
necessario permesso di costruire, essendo il mutamento di destinazione avvenuto tra
categorie non omogenee
La giurisprudenza di questa Corte ha, invero, costantemente ritenuto che il mutamento della
destinazione d’uso che comportasse una traslazione non precaria dell’immobile da una ad
un’altra categoria urbanistica (uso residenziale, uso agricolo, uso industriale, uso commerciale)
richiedesse, ai sensi del combinato disposto degli artt.8, 25 e 26 L.28 febbraio 1985 n.47, il
rilascio di concessione edilizia, stante l’incidenza sui carichi urbanistici (Cass.sez.3 n.45119 del
22.11.2001).

2

RITENUTO IN FATTO

4

2.1. Improprio ed inconferente è il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n.73 del
1991 che aveva, piuttosto, ritenuto che, dalla normativa statale in materia edilizia (artt.8, 25
e 26 L.47/1985) emergesse che la modifica funzionale della destinazione d’uso degli immobili,
non connessa all’esecuzione di interventi edilizi, fosse assoggettata al regime
dell’autorizzazione, ma solo subordinatamente ad un preventivo apprezzamento di insieme del
territorio diretto a valutare se dalle mutate utilizzazioni potessero effettivamente derivare
situazioni di incompatibilità con il tessuto urbanistico, apprezzamento possibile in sede di
pianificazione comunale. Tanto che dichiarava la illegittimità costituzionale dell’art.76, primo
comma, punto 2 L.Reg. Veneto 27.giugno 1985 n.61, come modificato dall’art.15, legge reg.
Veneto 11 marzo 1986 n.9, per contrasto con l’art.117 Cost., in quanto, in difformità del
principio della legislazione statale, assoggettava i suddetti mutamenti di destinazione d’uso,
direttamente ed indiscriminatamente, ad autorizzazione.
3. Quanto al trattamento sanzionatorio, il Tribunale, dopo aver descritto l’abuso (certamente
non di minima rilevanza), aveva ritenuto che non emergesse alcun elemento di segno positivo
che giustificasse il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non potendosi
ritenere tale (per espresso divieto normativo ex art.62 bis co.3 c.p.) il mero stato di
incensuratezza.
La Corte territoriale, in presenza di generici rilievi, in proposito, dei motivi di appello (si
richiamava lo stato di incensuratezza e la lieve entità dei reati), ha rinviato alla motivazione
della sentenza impugnata, limitandosi a ribadire che non si ravvisavano ragioni specifiche
per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e che la pena era stata già
mantenuta in limiti prossimi al minimo edittale.
4. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, nonchè, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, al versamento in favore della cassa delle
ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ciascuno, ai
sensi dell’art.616 c.p.p.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
ed al versamento della somma di euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 3.7.2014

Il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie
funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, da individuarsi tenendo conto della
destinazione indicata nell’ultimo titolo abilitativo relativo all’immobile ovvero della sua
tipologia, nonché delle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire.
Sicchè il mutamento di destinazione d’uso è assoggettato a D.I.A. (ora SCIA), purchè però
intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica; mentre è richiesto il permesso di
costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il
cambio d’uso sia eseguito nei centri storici, anche all’interno di una stessa categoria omogenea
(Cfr. Cass. pen. Sez. 3 n.5712 del 13.12.2013; conf. Cass.pen. N.4943 del 2012 Rv.251984;
Cass. n.9894 del 2009 Rv.243102).

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