Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31458 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31458 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FLORESTA ALFIO N. IL 18/11/1961
avverso la sentenza n. 1230/2008 TRIBUNALE di TORINO, del
22/05/2008
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G ,DcaQQ_-et t_kf
che ha concluso per

v

Data Udienza: 17/06/2014

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

2\7

50310/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 maggio 2008 il Tribunale di Torino ha condannato Floresta Alfio alla
pena di C 4.000 di ammenda per il reato di cui all’articolo 27, comma 1, lettera d), d.lgs.
277/1991 per non avere nella qualità di titolare della ditta Tecnorestauri progettato,
programmato e sorvegliato le lavorazioni su manufatti contenenti amianto in modo che non vi
fossero emissioni d’amianto nell’aria, fatto contestato in Torino il 26 luglio 2005 con

2. Ha presentato appello, convertito in ricorso, il difensore, sulla base di tre motivi. Il primo
denuncia la mancata ammissione della prova decisiva rappresentata dalla testimonianza della
teste Lantermo. Il secondo denuncia erronea applicazione dell’ articolo 27, comma 1, lettera
d), d.lgs. 277/1991 perché ritenuto dal Tribunale applicabile anche laddove non è in corso
alcuna attività lavorativa. Il terzo motivo denuncia erronea qualificazione del reato come
permanente, essendo invece istantaneo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
3.1 II primo motivo lamenta la mancata ammissione di una prova decisiva, rappresentata
dalla testimonianza della dottoressa Lantermo. Il Tribunale aveva rigettato la richiesta della
difesa di audizione della suddetta quale teste a prova contraria motivando che ella avrebbe
deposto su una circostanza non connessa ai fatti di causa che pertanto non poteva essere
ritenuta prova contraria ex articolo 495, comma 2, c.p.p. Sostiene il ricorrente che invece “la
teste avrebbe potuto fondatamente riferire in merito alle circostanze che in concreto hanno
originato il presente processo”. L’imputato infatti “sembrerebbe aver omesso di versare la
somma comminata a titolo di ammenda, il cui pagamento avrebbe comportato l’estinzione del
reato” ma in realtà “non ha colpevolmente omesso” di versarla, non avendo mai ricevuto la
comunicazione dell’importo da pagare né l’informazione che “con tale pagamento avrebbe
evitato il procedimento penale”. Il giudice avrebbe dovuto pertanto rimetterlo in termini per
consentirgli di pagare l’ammenda di cui non conosceva l’esistenza e di estinguere la
contravvenzione. Ma solo la teste Lantermo poteva confermare la circostanza dell’ “ignoranza
incolpevole” perché la sua deposizione avrebbe “certamente chiarito le modalità relative alla
notificazione dell’atto con cui il Floresta era stato ammesso al pagamento della sanzione
amministrativa e, soprattutto, come quest’ultimo non fosse mai venuto effettivamente a
conoscenza di tale beneficio”.

permanenza fino al 22 maggio 2006.

La formulazione del motivo è stata riportata in modo ampio perché la sua lettura evidenzia
una netta genericità, a tacer d’altro, sulle circostanze in ordine alle quali avrebbe dovuto
deporre la teste Lantermo, che non sono state determinate se non nella loro pretesa
conseguenza di ignoranza incolpevole di una notificazione da parte dell’imputato. Una prova
generica nel suo contenuto non può assurgere al ruolo di prova decisiva ex articolo 495 c.p.p.,
considerato anche che, per essere tale, occorre che apporti un risultato probatorio che non
lasci alcun margine di soluzione contraria (cfr. da ultimo Cass. sez. II, 20 marzo 2013 n. 21884
e Cass. sez. III, 15 giugno 2010 n. 27581). Il motivo risulta dunque inammissibile per

3.2 D secondo motivo denuncia erronea applicazione dell’articolo 27, comma 1, lettera d),
d.lgs. 277/1991 per avere il Tribunale ritenuto di scarso rilievo il fatto che non sia stato
accertato con sicurezza che nel sito di proprietà della ditta dell’imputato fossero in corso
attività lavorative perché l’articolo 24, comma 2, dello stesso decreto si riferirebbe
all’inquinamento ambientale e non solo al rischio dei lavoratori. Il ricorrente, pur riconoscendo
che tale articolo fa riferimento effettivo all’inquinamento ambientale, afferma che l’ambiente in
esso non è considerabile lato sensu come ecosistema, poiché la “normativa in argomento…è
espressamente volta alla tutela dei lavoratori” e le norme asseritamente violate, come
dimostra anche l’intitolazione del capo cui appartengono, sono deputate alla protezione di
questi contro i rischi da esposizione all’amianto durante il lavoro.
Non è discutibile che il d.lgs. 15 agosto 1991 n. 277 – che, a norma della legge delega 30
luglio 1990 n. 212, ha effettuato l’attuazione di varie direttive CEE (80/1107, 82/605, 86/188
e 88/642) in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad
agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro – , al suo capo III, contemplasse la protezione
dei lavoratori contro i rischi connessi ad ogni esposizione (cfr. Cass. sez. III, 3 febbraio 2009
n. 10527) all’amianto durante il lavoro (la normativa è stata, seppure con continuità,
successivamente sostituita prima dal titolo VI bis del d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626 e poi dal
titolo IX del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81). Peraltro, non ne ha la sentenza impugnata operato una
erronea applicazione, perché il passo indicato dal ricorrente è stato illogicamente
decontestualizzato dal complessivo tessuto del ragionamento del giudice. È vero che
quest’ultimo ha affermato che poco rileverebbe “che lavori fossero in corso o no”, ma ciò
funge come argomento ad abundantiam

ovvero inutile, e quindi non incidente – alla fine di

un percorso, attraverso il quale ha accertato che i lavori erano effettivamente in corso, sia per
l’esposto dei condomini sia per la presenza di materiali e postazioni fisse al momento della
verifica ASL in un cortile abitato. Il secondo motivo è pertanto manifestamente infondato.
3.3 II terzo motivo sostiene che il reato contestato deve qualificarsi istantaneo, laddove, nel
caso di specie, è stato invece inteso come permanente. Adduce il ricorrente che, qualora il
reato consista nella inottemperanza di un ordine legittimamente impartito dall’autorità, come
sarebbe quello in esame, il reato dovrebbe considerarsi istantaneo qualora il termine contenuto
nell’ordine abbia carattere perentorio, poiché la sua consumazione coincide con lo scadere del

genericità.

termine indicato. Nel caso di specie, dalla deposizione del teste Alciati risulterebbe che il 26
luglio 2005 fu ordinato all’imputato di mettere in sicurezza la tettoia entro i 90 giorni
successivi; sarebbe “certo” che l’imputato ottemperò all’ordine, ma solo successivamente allo
spirare del termine la ASL verificò se la prescrizione era stata adempiuta. Pertanto le
conseguenze del ritardo non dovrebbero essere a carico dell’imputato ed erroneo è
l’accertamento del Tribunale che, “ritenendo la natura permanente dell’illecito, considera lo
stesso consumato in data 22/5/2006, anziché il 24/10/2005”. È infatti ad avviso del ricorrente
“d’obbligo ritenere che, in assenza di prova contraria, il Foresta abbia adempiuto prima dello

al più tardi il 24 ottobre 2005, per cui dovrebbe essere annullata la sentenza per effettuare la
rideterminazione della consumazione del reato ad ogni effetto di legge.
Le argomentazioni del ricorrente da un lato non tengono conto dell’effettivo contenuto del
capo di imputazione che non fa riferimento all’inadempimento di un ordine della ASL in un
determinato termine, bensì descrive una condotta omissiva in esatta corrispondenza con la
norma contestata (“non aver progettato, programmato e sorvegliato le lavorazioni su
manufatti contenenti amianto, in modo che non vi siano emissioni d’amianto nell’aria”) che,
per quanto riguarda l’omessa sorveglianza delle lavorazioni, non può non qualificarsi
permanente fino a che la lavorazione continua (sull’obbligo di adempimento dei suoi obblighi
da parte del datore di lavoro come perdurante finché si svolge il lavoro v., a proposito della
affine ipotesi della tutela dagli infortuni sul lavoro, Cass. sez. III, 21 maggio 2008 n. 26539).
Da un altro lato, il motivo scende sul piano fattuale, sostenendo che non vi sarebbe prova della
permanenza del reato per il periodo contestato (26 luglio 2005-22 maggio 2006), poiché tutt’al
più questo sarebbe perdurato fino al 24 ottobre 2005. Richiede pertanto al giudice di legittimità
una inammissibile verifica sulle risultanze del compendio probatorio, non potendosi d’altronde
condividere l’asserto che si dovrebbe desumere, in difetto di prova contraria, l’adempimento
degli ordini della ASL prima della scadenza del relativo termine: conseguentemente alla
conformazione del capo d’imputazione, nella sentenza impugnata si fa sì riferimento nella
esposizione dei fatti all’imposizione di prescrizioni all’imputato dopo il sopralluogo della ASL,
ma non ad una specifica scadenza di termine, e comunque si espleta una tutt’altro che illogica
valutazione di fatto sulla cessazione della permanenza osservando (motivazione, pagina 5) che
la rimozione dell’amianto deve ritenersi avvenuta il 22 maggio 2006 non avendo mai l’imputato
chiesto un accertamento anteriore a tale data né avendo mai segnalato alcunché per far
ritenere anteriore la cessazione della consumazione. Il motivo risulta pertanto privo di
consistenza.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
(il che impedisce la formazione di un valido rapporto processuale di impugnazione che
consentirebbe di valutare la presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.
(S.U. 22 novembre 2000 n. 32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per prescrizione è
rilevabile anche d’ufficio a condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di

spirar dei termini imposti dall’ASL”. A tutto voler concedere, la consumazione sarebbe cessata

giudizio, cioè non risulti affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel
caso de quo: ex multis v. pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3
novembre 1998 n. 11493, Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10
novembre 2009 n. 42839, Imperato Franca), con conseguente condanna del ricorrente, ai
sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi,
conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e
considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 17 giugno 2014

Il Presidente

somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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