Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31442 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31442 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARENA SALVATORE N. IL 09/10/1950
avverso la sentenza n. 194/2013 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 10/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paotp cAut (iati
che ha concluso per
jjt.4$l4C 4JQ e5f9z,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 09/07/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10.10.2013 la Corte di appello di Caltanissetta, a
seguito di gravame interposto dall’imputato ARENA Salvatore avverso la
sentenza emessa il 20.6.2012 dal G.I.P. del Tribunale di Enna, in
parziale riforma della decisione – che aveva riconosciuto l’imputato
responsabile dei reati di peculato e falso contestati ai capi a) e c) del
proc. n. 928/2007 nonché del peculato oggetto del procedimento n.
ha dichiarato non doversi procedere nei confronti

dell’imputato in ordine alle condotte ascrittegli commesse fino al mese di
aprile 2003 per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione,
rideterminando la pena inflitta e confermando nel resto detta prima
decisione.
2.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato , a mezzo
del difensore, deducendo:

2.1.

Violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. per difetto di

correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza ovvero per
difetto di contestazione in ordine al tempus commissi delicti che non
coincide con l’epoca di accertamento, trattandosi di procedure esecutive
collocate e definite tra il 1999 ed gli inizi del 2005. La deduzione
difensiva non può essere superata dalla considerazione svolta dalla
sentenza secondo la quale alla mancata contestazione sopperisce
l’indicazione contenuta negli atti della contestazione disciplinare, stante
l’obbligo incombente sull’accusa in tema di formulazione del capo di
imputazione. Né la sentenza spiegherebbe in relazione a quali reati
sarebbe stata individuata la protrazione della condotta fino al maggio
2006 né a quali di esse, di falso o di peculato, la estinzione faccia
riferimento.
2.2.

Violazione degli artt. 157 e 159, comma 2, n. 3 cod. pen. in

quanto il tempo calcolato in sentenza in tema di sospensione del decorso
della prescrizione è superiore a quello che poteva essere considerato in
base alla regola secondo la quale il periodo di ogni singola sospensione
per impedimento non può essere superiore oltre il sessantesimo giorno
successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento: cosicché il
complessivo periodo di sospensione non è quello di anni due, mesi undici
e gg. 19 calcolato dalla sentenza, quanto quello di anni due, mesi
quattro e gg. dieci. Dovendosi, pertanto, comprendersi tutte le ulteriori
fattispecie di reato, certamente quelle di falso collocabili tra il 1999 ed il
2005.
1

1247/09 –

2.3.

Violazione degli artt. 49, 314 e 479 cod. pen. in relazione alla
mancanza dell’elemento soggettivo in quanto il ricorrente non ha mai
inteso appropriarsi di denaro pubblico, rispetto all’abbandono da parte

dei creditori delle somme oggetto di contestazione stante la superiorità
delle somme da realizzate con l’esecuzione rispetto alla stessa imposta
di registro. Cosicchè nella specie si trattava di somme di natura privata
e non pubblica delle quali il ricorrente non sapeva quale destinazione

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
1.1. Va premesso che la divergenza di data tra il fatto in contestazione e
quello in relazione al quale è emessa la sentenza non determina
mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, quando tale divergenza
non abbia impedito ne’ menomato il diritto di difesa dell’imputato;
l’incidenza sul diritto di difesa si verifica quando dalla mutazione della
data derivi una mutazione degli elementi essenziali dell’ipotesi
accusatoria, nel suo raccordo con gli elementi probatori e gli argomenti
di difesa (Sez. 1, n. 4587 del 08/03/1994 Rv. 198273 Rampinelli ed
altri); ancora, non sussiste violazione del principio di correlazione fra
accusa e sentenza quando non muta il fatto storico sussunto nell’ambito
della contestazione (Sez. 3, n. 5463 del 05/12/2013 Rv. 258975 Diouf).
1.2. La sentenza impugnata è incensurabile allorquando ha escluso la
violazione dei diritti della difesa rispetto alla indicazione del tempus
commissi delicti in relazione alle specifiche indicazioni contenute nelle
contestazioni ispettive – alle quali il ricorrente aveva risposto
ammettendo gli addebiti – come acquisite agli atti del processo svoltosi
con rito abbreviato adito dallo stesso ricorrente. Del tutto generica è la
contestazione della cessazione delle condotte individuata dalla sentenza
impugnata all’epoca del maggio 2006 alla stregua dei prospetti
riepilogativi in atti.
2.
2.1.

Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
Invero, anche a non considerare per intero i periodi di rinvio determinati
da impedimento del difensore o dell’imputato che vanno oltre i 60 giorni
(dal 6.11.2008 al 5.3.2009 e dal 5.3.2009 al 18.6.2009, nonché dal
2

dare.

29.9.2011 al 12.1.2012), nessuna specifica indicazione è allegata dalla
difesa sulla incidenza di tale minore periodo ( che porta ad individuare il
complessivo periodo di sospensione in quello di anni due, mesi otto e
gg. 20 anziché in quello di anni due, mesi undici e gg. 19 indicato in
sentenza) sulle condotte contestate in ordine al relativo periodo di
prescrizione, che – in relazione alla data in cui si sono protratte le
condotte indicata nella sentenza ( maggio 2006) – non risulta spirato .
Quanto al profilo psicologico si tratta di una deduzione sostanzialmente
ripropositiva della doglianza in appello alla quale la Corte ha risposto
escludendo la buona fede rispetto ai noti obblighi che incombevano sul
ricorrente quale custode delle somme (la cui altruità è fuori
discussione).
4.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo
determinare in euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali al pagamento e della somma di euro 1.000,00 in
favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9.7.2015.

3.

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