Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31433 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31433 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DAHIR SAID N. IL 01/01/1974
avverso l’ordinanza n. 42/2014 TRIBUNALE di LODI, del 20/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;
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Data Udienza: 19/06/2015

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE

Ricorso n. 41.420/2014 R.G. *

Udienza del 19 giugno 2015

Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. Giulio Romano, sostituto procuratore generale della Repubblica presso
questa Corte, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

i. — Con ordinanza deliberata il 20 giugno 2014 e depositata in pari
data il Tribunale ordinario di Lodi, in composizione monocratica e in
funzione di giudice della esecuzione, ha rigettato — per quanto qui rileva — la richiesta difensiva di rideterminazione della pena di quattro
anni di reclusione e di C 18.000 di multa, inflitta al condannato Said
Dahir giusta sentenza di quel Tribunale 16 dicembre 2011 (irrevocabile dal 4 gennaio 2012) per il delitto di cui all’articolo 73 del Testo U-

nico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze
psicotrope etc.., approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel concorso della attenuante del fatto di lieve entità, di cui al comma 5 del
medesimo articolo, dichiarata equivalente alla recidiva reiterata, specifica, infraquinquennale e aggravata dalla pregressa esecuzione della
pena.
Il giudice della esecuzione ha motivato che sul giudicato non incidono:
a) né la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, la quale ha
dichiarato la illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies
ter, del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma i, della legge 21 febbraio 2006, n.
49, di modificazione della norma incriminatrice, così ripristinando le
disposizioni previgenti, in quanto la condotta delittuosa (di detenzione per lo spaccio di otto grammi di cocaina) risulta sanzionata ancor
più severamente dalla norma penale ripristinata e attualmente vigente;
b) né la sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2012, la quale
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 69, quarto
comma, cod. pen., come sostituito dall’articolo 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza
della circostanza attenuante di cui all’articolo 73, comma 5, del decreto del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sulla recidiva di cui all’articolo
99, quarto comma, del codice penale, in quanto, in esito alla rimozione del divieto, deve essere ribadita la comparazione in termini di equivalenza tra le circostanze in parola, in considerazione della qualità
e della quantità della sostanza stupefacente, delle modalità della condotta, della non episodicità del fatto e della spiccata capacità delinquenziale del condannato, desunta dai precedenti penali;
c) né — e neppure — la novella della disposizione dell’articolo 73,
comma 5, cit. [ai sensi dell’articolo 1, comma 24-ter, lettera a), del

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Rileva

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Ricorso n. 41.420/2014 R.G. *

Udienza del 19 giugno 2015

2. – Il condannato ha proposto ricorso per cassazione, personalmente, mediante atto recante la data del 26 giugno 2014, denunziando
genericamente che il giudice della esecuzione non avrebbe tenuto
conto delle pronunce della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite e
trascurato di apprezzare la prevalenza della attenuante dell’articolo
73, comma 5, cit.

3. — Il procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
suprema di cassazione, mediante atto recante la data del 3 dicembre
2014, ha obiettato che la decisione impugnata è conforme all’ orientamento di legittimità espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n.
42858 del 29 maggio 2014.
4. — Il ricorso è inammissibile.
I motivi addotti dal ricorrente sono — alla evidenza — privi del requisito formale della specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli
elementi di fatto che sorreggono l’impugnazione, prescritto dall’ articolo 581, comma i, lettera c), cod. proc. pen. e sanzionato, a pena di
inammissibilità dall’articolo 591, comma i, lettera e), cod. proc. pen.
Per vero, le deduzioni e le censure enunciate non presentano alcuna
apprezzabile correlazione con la ratio decidendi della ordinanza impugnata (v., circa il requisito della correlazione, Sez. 1, n.
39.598 del 30 settembre 2004, Burzotta, Rv. 230.634, secondo la
quale «è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi
l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di a sp ecificità, che conduce, ex
articolo 591, comma i, lettera c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso»): non impingono — in quanto affatto prive dei necessari agganci e/o in quanto affatto immotivate e indimostrate — le
strutture portanti del costrutto argomentativo della decisione nella prospettiva, prescritta dal rito, della confutazione dialettica delle ragioni specifiche effettivamente poste
dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata.
Conseguono la declaratoria della inammissibilità del ricorso e la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché — valutato il contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione — al versamento a favore della cassa delle ammende della somma, che la Corte

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decreto legge 20 marzo 2014, n. 36, convertito nella legge 16 maggio
2014, n. 79] che ha trasformato in reato autonomo la fattispecie circostanziale e mitigato il trattamento sanzionatorio, in quanto il giudicato osta, a’ termini dell’articolo 2, comma 4, cod. pen., alla applicazione della lex mitior.

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R. G. *

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determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
P. Q. M.

Così deciso, addì 19 giugno 2015.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

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