Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31427 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31427 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da MONTANARI Carlo, nato a Taranto il 04/10/1963,
avverso l’ordinanza emessa in data 26/06/2014 dal Tribunale di Taranto.
01.0e\k9kAA.-E- 4..
Visti gli atti, la .sentanza impugnata, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Taranto, decidendo quale
giudice dell’esecuzione, ha – ai fini che qui interessano – revocato l’indulto già
concesso ai sensi della legge n. 241 del 2006 a Carlo MONTANARI.
A ragione osservava che con sentenza in data 12 giugno 2012, irrevocabile il
4 novembre 2012, Carlo MONTANARI era stato condannato a sei anni di
reclusione e 5.000 euro di multa per estorsione commessa sino al 19 settembre

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Data Udienza: 03/06/2015

2006; che nonostante né il capo di imputazione né la sentenza di condanna
facessero riferimento alla continuazione, poteva riconoscersi, attesa la natura
istantanea del delitto di estorsione, che la contestazione si riferiva a tre distinti
episodi, realizzati il 20 luglio, il 2 agosto e il 19 settembre 2006 con l’esazione di
denaro contante (pari, rispettivamente a 22.300,00 euro; 22.847,00 euro;
12.500,00 euro) in cambio di assegni protestati; che in relazione alle somme
estorte doveva ritenersi più grave il secondo episodio, commesso dopo l’entrata
in vigore della legge n. 241 del 2006; che la pena base per detto episodio non
poteva in alcun caso ritenersi inflitta in misura inferiore al minimo di legge, pari
revoca del condono.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il MONTANARI, a mezzo del
difensore, avvocato Pietro Putignano, chiedendone l’annullamento. Denunzia
violazione di legge e vizi della motivazione con riferimento alla individuazione del
reato “base” nel secondo episodio, anziché nel primo, lamentando che il Giudice
dell’esecuzione si era limitato ad esaminare i capi d’imputazione, senza
considerare gli atti e le prove acquisite al fine di misurare la reale gravità delle
condotte. Non era stato considerato, in particolare, che la presunta persona
offesa aveva dichiarato che in relazione al secondo episodio parte della somma
(3.900,00 euro) era stata trattenuta a copertura di una quietanza poi restituita.
L’omessa acquisizione degli atti rendeva per altro evidente la superficialità
dell’esame. Andava, per altro, considerato che essendo il giudizio ancora
pendente nei confronti del coimputato Massimo Montanari appellante prima e
ricorrente poi, anche Carlo Montanari doveva ritenersi tuttora impugnante in
virtù dell’effetto estensivo di cui all’art. 587 cod. proc. pen.
3. Il Procuratore generale nella sua requisitoria ha chiesto la declaratoria
d’inammissibilità del ricorso osservando che nel caso in esame in realtà doveva
escludersi che la condanna avesse ad oggetto un reato continuato, la
continuazione non essendo mai menzionata né nel capo d’imputazione né nella
sentenza di condanna.
4. Ha depositato memoria in replica il ricorrente contestando l’assunto del
Procuratore generale. Afferma che spettava al giudice dell’esecuzione
interpretare il giudicato chiarendone contenuto e limiti e tanto aveva
insindacabilmente fatto il Tribunale nel caso in esame riconoscendo che la
condanna si riferiva a tre autonome condotte estorsive. Nel caso in esame
neppure si poteva parlare di unico reato a realizzazione frazionata, perché le
dazioni non erano scaturite da un’unica richiesta, ma erano collegate a tre
distinte autonome richieste, rivolte alla persona offesa in tempi diversi. E insiste
nell’accoglimento del ricorso ribadendo che il giudice dell’esecuzione avrebbe
dovuto procedere all’esame degli esiti istruttori.

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a cinque anni di reclusione; che la relativa condanna costituiva, dunque, causa di

E

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.
2. Il Procuratore generale ha posto la questione della unitarietà della
condotta criminosa, ma senza alcun riferimento concreto alla vicenda accertata
dalla sentenza di condanna.
Resta, dunque, che l’interpretazione del giudicato effettuato dal giudice
dell’esecuzione sulla base della lettura della sentenza di condanna è del tutto
di estorsione è questione in fatto che risulta ineccepibilmente giustificata sulla
base del riferimento alla maggiore, sia pure non di molto, entità della somma
pretesa in tale occasione.
Mentre le doglianze articolate in ricorso appaiono oltreché afferenti, per
quanto detto, a valutazioni in fatto insindacabili in questa sede, anche
manifestamente infondate.
Al giudice dell’esecuzione compete, infatti, interpretare il giudicato in base a
quanto risulta dalla sentenza, che nel caso in esame ha incontestabilmente
ritenuto il ricorrente responsabile dei fatti così come contestati, senza alcuna
“riduzione” degli addebiti. Ma non spetta a lui riesaminare le prove per
addivenire ad una diversa valutazione o perimetrazione delle condotte punibili.
Manifestamente infondata è, quindi, anche la censura riferita al ventilato
effetto estensivo dell’impugnazione proposta dal coimputato che renderebbe la
posizione del ricorrente non definitiva. Si tratta, infatti, di questione che risulta
già separatamente posta dal medesimo ricorrente e decisa, nel senso della
esclusione della fondatezza della tesi, con la sentenza sez. 1, n. 48309 del
22/10/2014, cui, per evidenti ragioni di brevità, si rimanda.
3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del
2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso il 3 giugno 2015
Il consiglie estensore

pEOOSITAtA

Il Presidente

plausibile e che la valutazione relativa alla maggiore gravità del secondo episodio

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