Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31424 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31424 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la
Corte di appello di Napoli,
avverso l’ordinanza emessa in data 16/09/2014 dalla Corte di appello di
Napoli,
nei confronti di BIANCO Cesare, nato a Casa! di Principe il 21/03/1966.
Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Gabriele Mazzotta, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
del provvedimento impugnato.

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Data Udienza: 03/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo quale
giudice dell’esecuzione, rigettava le richieste avanzate dalla Procura generale
volte, da un lato a revocare l’ordinanza emessa, in accoglimento dell’istanza ex
art. 671 cod. proc. pen. avanzata da Cesare BIANCO, dalla stessa Corte in data
27 marzo 2014 (richiesta del P.G. in data 19/08/2014); dall’altro a correggere
l’errore materiale in cui si assumeva fosse incorsa detta ordinanza nella
determinazione della pena a titolo di continuazione (richiesta del P.G. in data
A ragione, osservava che l’ordinanza in data 27 marzo, non impugnata da
alcuno, era divenuta irrevocabile e che la pena complessiva con essa
determinata non poteva essere corretta nel senso richiesto ai sensi dell’art. 130
cod. proc. pen., perché tanto avrebbe comportato una modifica essenziale della
decisione.
Rilevava, tuttavia che il calcolo della pena che risultava esposto a
giustificazione della sanzione finale – pari a complessivi anni 12 di reclusione e
967 euro di multa – risultava affetto da evidente lapsus calami, chiaramente
emergente dalla lettura della parte motiva e dall’allegata nota a piè di pagina,
laddove ad essere ridotta di un terzo [per il rito] era stata la pena complessiva.
Sicché il calcolo – già effettuato calcolando «pena base per il più grave reato
ex art. 629 cpv (sentenza della Corte di appello di Napoli del 10/1/08): anni
sette di reclusione ed euro 1300 di multa; aumentata ad anni tredici di
reclusione ed euro 1300 di multa per la sentenza del G.u.p. di Napoli del 5/11/08
e ad anni 18 di reclusione ed euro 1300 di multa per la sentenza della Corte di
assise di appello di Napoli, ridotta per il rito» – andava rimodulato nei seguenti
termini: «pena base anni sette di reclusione e 967 euro di multa per sentenza
della Corte di appello di Napoli del 10/1/08, aumentata ad anni nove, mesi otto
di reclusione ed euro 967 di multa per la sentenza del G.u.p. di Napoli del
5/11/08 e ad anni dodici e 967 euro di multa per la sentenza della Corte di
assise di appello di Napoli del 9/11/06» .
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore generale
presso la Corte di appello di Napoli chiedendone l’annullamento con rinvio.
Denunzia violazione dell’art. 671 e difetto di motivazione osservando:
– l’istanza del Bianco oggetto delle decisioni della Corte di appello in esame
era volta ad ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati oggetto
delle sentenze (IA) della Corte di assise di appello di Napoli in data 09/11/2006,
irrevocabile il 30/11/2008; (II”) della Corte di appello di Napoli in data
18/09/2009, irrevocabile il 15/11/2009;
– la sentenza in data 18/09/2009, irr. il 15/11/2009, aveva a sua volta già
riconosciuta la continuazione tra il reato oggetto di esame in quella sede e altro
reato per il quale il Bianco era stato condannato con sentenza (IIIA) in data
10/01/2008 della medesima Corte di appello;

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01/0/2014).

- con tale sentenza in data 18/09/2009 (HA) la pena era stata determinata
in complessivi anni 10 di reclusione e 1300 euro di multa, ritenuto più grave il
reato oggetto della sentenza in data 10/01/2008 (III”), per il quale era stata
inflitta la pena di 7 anni di reclusione, e aumentata tale pena nella misura di 4
anni e 6 mesi di reclusione, ridotti di 1/3 per il rito abbreviato, in relazione al
reato oggetto della stessa sentenza 18/09/2009 (h^);
– il giudice dell’esecuzione non poteva, dunque, modificare il “giudicato”
sulla continuazione e sulla pena inflitta a tale titolo, formatosi con la sentenza in
data 18/09/2009 (per le sentenze II^ e III”) e avrebbe dovuto limitarsi ad
oggetto della sentenza in data 09/11/2006 (I^);
– erroneamente, perciò, presa a base la pena inflitta con la III sentenza,
aveva calcolato a titolo di continuazione per i fatti oggetto della II sentenza la
[minore] pena di 2 anni e 8 mesi di reclusione;
– erroneamente, e contraddittoriamente, inoltre, l’ordinanza impugnata
aveva nuovamente intaccato il precedente giudicato a seguito dell’istanza del
Procuratore generale con cui si chiedeva di correggere l’errore in cui era incorsa
la precedente ordinanza del 27/03/2014, che pure aveva arbitrariamente violato
il giudicato, per altro in malam partem, calcolando a titolo di continuazione per i
fatti oggetto della sentenza del 2009 un aumento di 6 anni;
– illogicamente e contraddittoriamente, infine, l’ordinanza impugnata aveva
modificato la precedente ordinanza del 27/03/2014, dopo avere affermato che la
stessa era divenuta irrevocabile e che la pena con essa determinata non poteva
essere ricalcolata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che le censure appaiono quantomeno infondate.
2. L’assunto da cui muove il Procuratore generale ricorrente è che, nel
riconoscere la continuazione tra reati oggetto di diverse sentenze irrevocabili il
giudice dell’esecuzione non potrebbe in alcun modo modificare la pena calcolata
a titolo di continuazione dal giudice della cognizione in relazione a reati oggetto
di altre differenti condanne. Ma si tratta di tesi infondata.
Costituisce invero principio consolidato che a in sede di esecuzione non
opera alcuna preclusione da “giudicato” con riferimento alle pene calcolate in
precedenti decisioni, vuoi del giudice della cognizione vuoi dello stesso giudice
dell’esecuzione, per i reati “satelliti”, allorché, investito ai sensi dell’art. 671 cod.
proc. pen., quest’ultimo sia chiamato a riconoscere la continuazione tra reati
oggetto di ulteriori e diverse sentenze prima non considerate.
E’ proprio l’art. 671 cod. proc. pen., difatti, la norma che autorizza ad
incidere sul giudicato di condanna, con l’unico limite che la continuazione «non
sia stata esclusa dal giudice della cognizione». Ma persino tale impedimento,
che attiene esclusivamente all’an, non può considerarsi riconducibile alla

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“aggiungere” alla pena calcolata da detta pronunzia quella relativa ai fatti

categoria “giudicato”, bensì soltanto ad una preclusione. Lo dimostrano: il fatto
che l’istituto del quale deve fare applicazione il giudice della cognizione è il
medesimo affidato, in ragione di una scelta meramente discrezionale
dell’imputato, al giudice dell’esecuzione; il rilievo che il giudice della cognizione è
sostanzialmente tale soltanto in relazione a una parte dei fatti su cui cade la
richiesta, ma opera per i fatti già giudicati allo stesso modo del giudice
dell’esecuzione, e, di conseguenza con gli stessi poteri e doveri; l’affermazione,
prevalente nella giurisprudenza di questa Corte, che l’effetto impeditivo
scaturisce soltanto dall’espressa esclusione dell’unicità del disegno criminoso,
effetto di mancata risposta, formale o sostanziale, alla richiesta dell’imputato
non impedisce, in difetto d’impugnazione sul punto, la riproposizione della
richiesta in fase esecutiva (Sez. 6, n. 1711 del 14/01/1999; Sez. 2, n. 27899 del
15/05/2003; Sez. 1, n. 1466 del 21/02/1997; Sez. 1, n. 2485 del 28/05/1992,
Cini).
La disposizione dell’art. 671, comma 1, cod. proc. pen. soggiace, dunque,
semplicemente alle regole della preclusione processuale, derivante dal generale
divieto di bis in idem (dettate in linea generale per i provvedimenti d’esecuzione
dal comma 2 dell’art. 666 cod. proc. pen.), che non può operare quando la
richiesta e la decisione sono, come nel caso in esame, riferite a fatti ulteriori: le
nuove condanne prima non considerate necessariamente imponendo che, ove
anche per i reati oggetto delle stesse sia riconosciuta la continuazione, il giudice
dell’esecuzione provveda alla rideterminazione della pena individuando la
violazione più grave in quella per la quale è stata, singolarmente, inflitta la pena
più elevata, che non potrà dunque essere modificata; provvedendo quindi a
rideterminare gli aumenti per i reati in continuazione, anch’essi singolarmente
individuati, in misura non solo non superiore alla somma delle pene inflitte con
ciascuna sentenza ma anche nel rispetto del principio che «la natura di istituto
favorevole al reo della disciplina della continuazione può giustificare il
superamento in executivis del giudicato sulla misura della pena irrogata da ogni
singola sentenza, soltanto a vantaggio, e non in pregiudizio, del condannato»,
già affermato da Sez. 1, n. 44240 del 18/06/2014, Palaia, Rv. 260847, e che il
Collegio interamente condivide.
3. Infondate devono ritenersi quindi anche le doglianze con il quale si
denunzia l’erroneità e la contraddittorietà della motivazione in punto di
correzione della motivazione del precedente provvedimento.
La Corte di appello ha giustamente ritenuto non correggibile ai sensi dell’art.
130 cod. proc. pen. la decisione, divenuta irrevocabile, che riconosceva la
continuazione e fissava la pena complessiva finale. Ma ha ragionevolmente
osservato che il calcolo esposto in motivazione a giustificazione di detta
determinazione appariva frutto di evidente lapsus calami alla luce dei principi’
richiamati dalla stessa motivazione (secondo cui, ove in sede esecutiva si
riconosca la continuazione tra reati giudicati con il rito abbreviato e reati

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sicché l’omesso riconoscimento nel giudizio di merito della continuazione per

giudicati con il rito ordinario, la riduzione per il rito va partitamente calcolata solo
per i reati giudicati con il rito abbreviato) ed ha provveduto alla sola
rettificazione di detto calcolo, lasciando così inalterato il decisum nelle sue
componenti essenziali di pena complessiva determinata e di criteri
(correttamente) adottati per detta determinazione.
3. Il ricorso va, per conseguenza, rigettato.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 3 giugno 2015
Il consigliere es

sore

Il Presidente

P.Q.M.

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