Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31423 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31423 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da CARDILLO Salvatore, nato a San Ginnignano il
21/03/1958,
avverso l’ordinanza emessa in data 17/06/2014 dal Tribunale di
sorveglianza di Firenze.
( ioUtn_ount °Visti gli atti, la-sentenza impugnata, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Enrico Delehaye, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 03/06/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha
dichiarato cessata la misura della semilibertà concessa a CARDILLO Salvatore
con ordinanza del Tribunale di sorveglianza in data 2 ottobre 2013.
A ragione osservava che, anche prescindendo dalla questione
dell’ammissibilità della misura (giacché il Cardillo stava scontando la pena
dell’ergastolo per un omicidio di mafia e non emergeva la sua collaborazione),
l’attività agricola da porre a base del programma di trattamento risultava,
precostituita e fittizia, in quanto in concreto inconsistente, brevissima per durata,
non riscontrata e non pertinente alle capacità del condannato, oltreché da
svolgere in luogo ove abitava già altro detenuto condannato per omicidio, in
espiazione pena in misura alternativa.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso il CARDILLO, a mezzo del
difensore avvocato Massimo D’Urso, chiedendone l’annullamento. Denunzia:
2.1. violazione degli artt. 71-bis Ord. Pen., 666, comma 5, e 578 cod. proc.
pen., affermando che il Tribunale di sorveglianza di Firenze avrebbe violato il
principio della irrevocabilità dei precedenti provvedimenti oramai definitivi,
sostanzialmente censurando il provvedimento che aveva concesso la misura
alternativa e acquisendo copia delle sentenze di condanna al solo fine di fare
emergere l’asserita inammissibilità della stessa;
2.2. violazione degli artt. 48 e 51 ord. pen., giacché: l’idoneità del detenuto
alla prosecuzione del trattamento andava verificata in concreto, consentendo al
ricorrente di iniziare l’attività lavorativa al fine di metterlo alla prova, e non
poteva essere affermata, a mente dell’art. 51 Ord. Pen., in astratto, tanto più in
contrasto con le determinazioni e le valutazioni del Tribunale di sorveglianza di
Catania, che la misura aveva concesso sulla base delle relazioni di polizia e
dell’UEPE competente (che si riassumono nel ricorso), dell’impegno di assunzione
del detenuto, dell’ulteriore comunicazione recante il dettaglio dell’attività da
svolgere; l’art. 48 Ord. Pen. non fa riferimento alle sole attività lavorative,
contemplando anche la possibilità di attività “istruttive” o comunque utili al
reinserimento sociale; assolutamente censurabile era inoltre il riferimento alla
durata breve del progetto, tenuto conto che sei mesi non erano pochi e che la
semilibertà poteva essere concessa anche per periodi più brevi, addirittura di 30
giorni (come dimostrava l’art. 3-bis della legge n. 94 del 2013);
2.3. violazione dell’art.

51-ter

Ord. Pen., in quanto il Tribunale di

sorveglianza non aveva deciso nel termine di trenta giorni dalla decisione di
sospensione del Magistrato di sorveglianza.
2.4. Con memoria in replica alla requisitoria del P.g., depositata il 21 maggio
2015, il difensore insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.

all’esito degli accertamenti espletati al fine di redigere detto programma,

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile.
2.

La deduzione sulla irrevocabilità del precedente provvedimento è

manifestamente infondata, giacché in materia penitenziaria è principio
consolidato che il cosiddetto giudicato vale solo rebus sic stantibus (Sez. U n.
34091 del 28/04/2011, Servadei, Rv. 250350) e il provvedimento impugnato,
pura avendo stigmatizzato l’esistenza originaria di condizioni ostative, non ha
inidoneità e inattuabilità del programma proposto.
3. Le censure in ordine alla valutazione circa la inidoneità del trattamento
sono in parte riferite a valutazioni di merito, più che adeguatamente giustificate,
e per il resto generiche, e perciò egualmente inammissibili.
4. La censura relativa al mancato rispetto del termine di trenta giorni
previsto dall’art. 51-bis Ord. Pen. è manifestamente infondata, perché detto
termine si riferisce alla durata della sospensione provvisoria e la sua violazione
comporta unicamente la perdita di efficacia del provvedimento di sospensione
della misura stessa precedentemente adottato dal magistrato di sorveglianza,
ma non costituisce condizione di validità del provvedimento, definitivo, del
Tribunale di sorveglianza e non ha perciò alcun rilievo in relazione al
provvedimento di revoca della misura emesso dal tribunale, stante la mancata
previsione al riguardo di sanzioni processuali (tra moltissime, Sez. 1, n. 44556
del 18/11/2010, Catalano, Rv. 248986).
5. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del
2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.
Così deciso il 3 giugno 2015
Il consigliere e

nsore

Il Presidente

revocato la misura in ragione di queste, ma del sopravvenuto accertamento della

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