Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31413 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31413 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: VECCHIO MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PONTICELLI GIANFRANCO N. IL 28/10/1960
GRANDE NUNZIO N. IL 16/03/1983
ROMANO CLAUDIO N. IL 17/07/1980
GIORDANO CARMINE N. IL 01/11/1974
CARUANA FABIO N. IL 26/04/1970
MUTONE FELICE N. IL 21/08/1971
avverso la sentenza n. 13/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
NAPOLI, del 06/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO
Udito ~curaterre-€errerate in yrersena 4e4-43154.
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1,zeliterper la rittrte-rivite-;

Data Udienza: 19/06/2015

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE PRIMA PENALE
R. G. *

Udienza del 19 giugno 2015

Uditi, altresì, nella pubblica udienza:
– il Pubblico Ministero, in persona del dott. Eduardo Scardaccione,
sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
suprema di cassazione, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso
di Ponticelli Gianfranco e per la dichiarazione della inammissibilità
dei ricorsi di Grande Nunzio, di Romano Claudio, di Giordano Carmine, di Caruana Fabio e di Mutone Felice, con condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché — salvo Ponticelli — al pagamento di somma a favore della cassa delle ammende;
– i difensori intervenuti, avvocato Giovanni Aricò per Ponticelli, avvocata Teresa Gigliotti per Grande, avvocata Civita Di Russo per
Giordano, avvocato Salvatore Caldarella per Caruana e avvocata Antonella Leopizzi, in sostituzione dell’ avvocato Sergio Luceri, per Mutone, i quali hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
i. — Con sentenza deliberata il 6 febbraio 2014 e depositata il 6 maggio 2014 la Corte di assise di appello di Napoli — per quanto qui rileva
— riformando solo in parte la impugnata sentenza del giudice della
udienza preliminare del Tribunale di quella stessa sede 16 luglio
2012:

• ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli appellanti
Fabio Caruana e Felice Mutone in ordine ai delitti di ricettazione (capo W della rubrica), di detenzione e di porto illegale di armi comuni
da sparo (capo T, ibidern), di soppressione continuata di cadavere
(capo U, ibidem) e di incendio (capo V, ibidem), perché estinti per
prescrizione;
• ha riconosciuto, in concorso con la diminuente a effetto speciale
della collaborazione già elargita dal primo giudice, ai ridetti Caruana
e Mutone, a Carmine Giordano, a Nunzio Grande e a Claudio Romano circostanze attenuanti generiche dichiarandole equivalenti alle
aggravanti ritenute e ha ridotto le pene principali
a) nei confronti di Caruana e di Mutone, imputati del duplice omicidio premeditato e ulteriormente aggravato dai motivi abietti, nonché
ai sensi dell’articolo 7 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, commesso in danno di Antonio Maione e di Vincenzo Tubelli, in Napoli il 21 ottobre 1997 (capo
S, ibidem), in ragione di nove anni e quattro mesi di reclusione,
fermo per Mutone l’ aumento a titolo di continuazione esterna in ragione di undici anni e nove mesi di reclusione;

J

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Ricorso n. 30.264/2014

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c) nei confronti di Grande, imputato dell’omicidio premeditato e ulteriormente aggravato ai sensi dell’articolo 7 cit. in danno di Giuseppe Mignano (capo E, ibide m) e dei concorrenti delitti di detenzione
e di porto illegali di armi comuni da sparo (capo F, ibidem), reati
tutti commessi in Napoli il 14 maggio 2003, e, inoltre, dell’ omicidio,
analogamente aggravato, commesso in danno di Giorgio Tranquilli in
Napoli il 27 giugno 2003 (capo K, ibide m) e per i concorrenti delitti
di detenzione e di porto illegali di armi comuni da sparo (capo L, ibidem), in ragione di dodici anni di reclusione, fermo l’ aumento a
titolo di continuazione esterna in ragione di quattro anni e due mesi
di reclusione;
d) nei confronti di Romano, imputato del concorso col Grande nei delitti di cui agli anzidetti capi E) ed F), in ragione di dieci anni di reclusione;
• ha confermato la condanna all’ergastolo inflitta a Gianfranco Ponticeli per l’omicidio premeditato e ulteriormente aggravato ai sensi
dell’articolo 7 cit., commesso in danno di Daniele Rosario Troise in
luogo imprecisato e in data prossima e anteriore all’8 novembre 2001
(capo C, ibidem), per la soppressione del cadavere della vittima
(capo D, ibidem), per il concorso con Grande nell’omicidio premeditato, analogamente aggravato, commesso in danno di Giorgio
Tranquilli (capo K, ibide m) e nei i concorrenti delitti di detenzione
e di porto illegali di armi comuni da sparo (capo L, i b idem);
• ha confermato nel resto la sentenza appellata.
Nel doppio grado del giudizio i giudici di merito hanno inquadrato i
fatti di sangue, oggetto del processo, nel contesto della guerra di camorra tra le consorterie Sarno e De Luca Bossa, scandita dall’ omicidio del giovane Luigi Amitrano, nipote di Vincenzo Sarno, vittima
di attentato dinamitardo.
In tale quadro Ponticelli, capo del gruppo di Cercola, inizialmente federato nella c.d. Alleanza di Secondigliano con i De Luca Bossa, aveva defezionato, rovesciando l’alleanza e schierandosi con i Sarno.
In relazione agli specifici delitti di sangue e ai reati connessi i giudici
territoriali hanno accertato quanto segue.
1.1 (Omicidio di Daniele Rosario Troise e soppressione del suo cadavere) — Troise, esponente della consorteria De Luca Bossa, era

J,

b) nei confronti di Giordano, imputato dell’omicidio premeditato e
ulteriormente aggravato ai sensi dell’articolo 7 cit. in danno di Vincenzo Gonzales (capo I, ibidem) e dei concorrenti delitti di detenzione e di porto illegali di armi comuni da sparo (capo J, ibidem),
reati tutti commessi in Cercola il 14 maggio 2003, in ragione di nove
anni e otto mesi di reclusione;

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coinvolto nel mortale attentato in danno di Amitrano. Per ritorsione
Luciano Sarno aveva deciso la uccisione di Troise. A tal fine, in segreto, aveva preso contatto col Ponticelli, all’epoca ancora schierato col
gruppo antagonista. Ponticelli aveva dato il proprio assenso all’ omicidio. Successivamente lo stesso Ponticelli aveva attirato la vittima in
un agguato, facendola condurre da Carmine Trino (definitivamente
condannato per la compartecipazione nel delitto), in un posto convenuto dove egli la attendeva assieme a Fusco Pasquale; costui aveva
sparato due colpi di pistola contro Troise; tutti e tre Ponticelli, Trino
e Fusco avevano poi provveduto a sopprimere il cadavere gettandolo
in un pozzo.
1.2 (Omicidio di Daniele Giuseppe Mignano e concorrenti reati concernenti le armi) — Il fatto di sangue costituì analogamente ritorsio-

ne per la morte di Amitrano. Mignano aveva azionato, infatti, il telecomando che aveva attivato l’ordigno. Esecutori materiali
dell’omicidio di Mignano, abbattuto da due colpi di pistola sull’uscio
della propria abitazione, furono Grande e Romano. La vittima decedette subito dopo in ospedale per le morali ferite riportate.
1.3 (Omicidio di Vincenzo Gonzales e concorrenti reati concernenti
le armi) — I contrasti della vittima con i Sarno e il sospetto della appropriazione di una somma di denaro in danno del clan di Cercola
sono alla base del movente dell’omicidio del Gonzales. Costui fu sorpreso da Giuseppe Di Iorio e da Salvatore Circone, mentre si recava
nello stesso ristorante già teatro di una animata discussione con Antonio Sarno. Alla concorsuale azione omicida diede il suo contributo
anche Giordano col ruolo di « specchiettista ».

1.4 (Omicidio di Giorgio Tranquilli e concorrenti reati concernenti
le armi) — La morte di Tranquilli, reputato responsabile di un ammanco dalle casse della consorteria, fu decisa da Ponticelli.
Costui diede mandato a Grande, esecutore materiale del delitto.
1.5 (Omicidi di Antonio Maione e di Vincenzo Tubelli) — Il fatto di
sangue, sempre connesso al conflitto tra i Sarno e la Alleanza di Secondigliano, si colloca cronologicamente prima dell’attentato in danno di Amitrano. Le due vittime, mentre entravano in un edificio scolastico ove erano state attirate con un pretesto, venivano fatte oggetto
di colpi di arma da fuoco, esplosi da Caruana e Mutone.
Maione, sopravvissuto alla sparatoria, venne finito con un coltello.
Con riferimento ai motivi di gravame e in relazione a quanto
serba rilievo nella sede del presente scrutinio di legittimità, la Corte
di merito ha osservato quanto appresso ricapitolato nei paragrafi che
seguono da 2.1 a 2.6.
2. –

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Le prove della responsabilità di Ponticelli per l’omicidio di
Troise sono adeguate.
2.1.

L’appellante è attinto dalla chiamata in correità del promotore della
compartecipazione omicida e materiale esecutore del delitto, Pasquale Fusco.

Orbene la fonte ha confermato che ottenne il preventivo assenso di
Ponticelli per la esecuzione del delitto e che lo stesso Ponticelli fece
condurre da Carmine Trino la vittima sul luogo dell’agguato nei presi
di un castello in rovina; colà Fusco, con due colpi di pistola munita di
silenziatore, colpì al torace Troise non appena costui giunse; assieme
a Ponticelli e a Trino provvidero, quindi, a spostare la salma in un
terreno vicino.
La chiamata in correità di Fusco trova sostanziale conferma in quella
convergente del compartecipe Trino, condannato per la compartecipazione.
Alla stregua di tali evidenze non sono decisivi l’approfondimento del
movente del delitto e la verifica dell’accordo segreto tra Ponticelli e i
Sarno nel contesto della guerra camorristica.
Ponticelli è certamente responsabile anche dell’omicidio di
2.2
Tranquilli e dei connessi reati concernenti le armi.

La prova è costituita dalla chiamata in correità di Grande e dalle convergenti dichiarazioni di reità di Ciro Borriello, di Romano Claudio,
di Caniello Carmine, di Ciro Sarno e di Pasquale Fusco.
Grande, esecutore materiale del delitto, pienamente confesso, ha riferito che Ponticelli gli aveva conferito il mandato omicida. Borriello,
presente all’atto dell’incarico, ha confermato. Del fatto vennero a conoscenza gli altri dichiaranti.
Fusco, successivamente ristretto in carcere assieme a Ponticelli, fu
destinatario delle confidenze a carattere confessorio da parte dello
stesso appellante.
I collaboranti sono « con riserve per Borriello » complessivamente
attendibili.
La valutazioni in proposito del primo giudice non sono scalfite da
« concreti elementi critici ».
La indipendenza delle dichiarazioni suffraga la reciprocità dei riscontri.

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La attendibilità del dichiarante è assoluta. Fusco — peraltro neppure
collaborante e privo « aspirazioni premiali » — ha fatto recuperare il
cadavere della vittima indicando il pozzo in cui giacevano i resti.

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2.3 — Con riferimento a entrambi i delitti ricorrono le aggravanti correttamente ritenute del primo giudice.
La perpetrazione a distanza di tempo dalla ideazione e la preordinazione dei mezzi integrano la premeditazione.

2.4 — Ponticelli è immeritevole di qualsivoglia attenuante, avuto riguardo alla gravità dei fatti, alla personalità del giudicabile e alla sua
condotta processuale.
La pena dell’ergastolo con isolamento diurno, prevista della legge per
ciascuno degli omicidi, deve essere commutata per la diminuente del
rito abbreviato in quella dell’ergastolo.
2.5 — Grande, Romano, Giordano, Caruana e Mutone, pienamente
confessi dei delitti loro ascritti e collaboranti, meritano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche le quali possono concorrere con l’attenuante a effetto speciale della collaborazione.
Tutti costoro hanno dimostrato un « ravvedimento consolidato ed
esteso a tutte le manifestazioni esistenziali »; la affrancazione dal
mondo criminale « seppur supportata da ragioni utilizzatrici » ha
consolidato la « resipiscenza […] divenuta irreversibile ».
Tali considerazioni sono « sufficienti per la concessione ai predetti
imputati delle circostanze attenuanti generiche in giudizio di equivalenza alle contestate e ritenute aggravanti » residue, laddove la
aggravante dell’articolo 7 cit. è già elisa dalla collaborazione.
2.6 — Consegue la rideterminazione del trattamento sanzionatorio
nella misura indicata:
• nei confronti di Grande (pena base per il primo omicidio nel concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti: anni 24 di
reclusione, ridotta ad anni 14 per l’attenuante della collaborazione,
aumentata a titolo di continuazione in ragione di due anni per il secondo omicidio e in ragione di un anno per ciascuno dei delitti di cui
ai capi F e L, e, infine, ridotta di un terzo per il rito);
• nei confronti di Romano (pena base per l’omicidio nel concorso
delle circostanze attenuanti generiche equivalenti: anni 24 di reclusione, ridotta ad anni 14 per l’attenuante della collaborazione, aumentata a titolo di continuazione in ragione di un anno per i delitti di
cui al capo F, e, infine, ridotta di un terzo per il rito);
• nei confronti di Giordano (pena base per l’omicidio nel concorso
delle circostanze attenuanti generiche equivalenti: anni 23 di reclu-

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Per quanto riguarda la concorrente aggravante a effetto speciale, non
sono contestabili la strumentalità alla attività camorristica e la inserzione nell’ « ottica della delinquenza organizzata ».

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sione, ridotta di 1/ 3 per l’attenuante della collaborazione, aumentata a
titolo di continuazione, per i delitti di cui al capo J, ad anni 14 e, infine, ridotta di un terzo per il rito);

Devono essere confermati gli aumenti per la continuazione esterna,
correttamente e congruamente computati dal primo giudice, nei confronti di Grande e di Mutone.
3. — Hanno proposto ricorso per cassazione, personalmente, Ponticeli e Caruana, mediante atti recanti la data del 20 maggio 2014 e del
4 giugno 2014 di analogo contenuto (Ponticelli) e s.d., depositato il
30 maggio 2014, (Caruana); col ministero dei rispettivi difensori di
fiducia, Romano, mediante atto recante la data del 17 giugno 2014,
redatto dall’avvocato Giovanni Conte; Grande, mediante atto recante
la data del 19 giugno 2014, redatto dall’avvocata Teresa Gigliotti; Mutone, mediante atto recante la data del 16 giugno 2014 e mediante
motivi nuovi e memoria, recanti la data del 19 maggio 2015, redatti
dall’avvocato Sergio Luceri; e Giordano, mediante atto recante la data
del 19 maggio 2014, redatto dall’avvocata Civita Russo.

4. — Alla odierna udienza, fatta la relazione della causa, il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema di cassazione e i difensori intervenuti hanno rassegnato le conclusioni riportate in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE

. — Il ricorso di Ponticelli è inammissibile; gli altri ricorsi sono infondati, fatta salva la correzione della sentenza impugnata in relazione alla commisurazione della sanzione a carico di Mutone.
Giova premettere la illustrazione dei motivi di impugnazione.
Ponticelli sviluppa — per quanto è dato enucleare dal ricorso —
tre motivi, dichiarando promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo 6o6, comma i, lettere b) ed e), cod. proc. pen., inosservanza
o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
2. –

Il ricorrente, con ampia citazione di massime di legittimità in materia
di dichiarazioni di reità e di correità, impugna, con i primi due moti-

7

• nei confronti di Caruana e di Mutone (pena base per il duplice omicidio nel concorso delle circostanze attenuanti generiche equivalenti:
anni 23 di reclusione, ridotta ad anni 13 per l’attenuante della collaborazione, e, infine, ridotta ad anni 9 mesi 4 per il rito).

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Il terzo motivo concerne il trattamento sanzionatorio.
Con riferimento all’omicidio di Troise e alla soppressione del
suo cadavere, il ricorrente oppone, censurando la omessa considerazione in proposito della Corte territoriale: la compartecipazione al delitto di Giuseppe De Luca Bossa (obiettivo della vendetta dei Sarno)
contraddice la ricostruzione della vicenda; il collaborante Ciro Borriello è stato stigmatizzato come fonte inattendibile dalla Corte di assise di Napoli con la sentenza n. 22 del 9 giugno 2005 [citata in
parte de qua nel corpo della impugnazione]; le propalazioni di
Vincenzo Sarno sono irrazionali; è inverosimile che esso Ponticelli
potesse recarsi nella « roccaforte » dei Sarno col rischio di essere
soppresso; la ricostruzione del fatto di sangue « sembra il segreto di
Pulcinella »; lo stesso Vincenzo Sarno ha contraddittoriamente esposto una causale alternativa dell’omicidio; esso Ponticelli non aveva
alcun interesse per la uccisione di Troise; Fusco, d’altra parte, non
aveva bisogno alcuno dell’assenso del ricorrente; Caianello ha sostenuto che il ricorrente era stato estromesso in concomitanza della carcerazione; le propalazioni del collaborante contraddicono quelle di
Luciano Sarno; Pasquale Sanno ha dichiarato di ignorare la identità
degli esecutori materiali dell’omicidio e che i Sarno progettavano
l’omicidio di Ponticelli; il « pentimento » di Romano è intervenuto
quanto « tutti i giochi investigativi » erano stati fatti; il collaborante
ha accusato infondatamente Ponticelli dell’omicidio di Gonzales; ha
riferito fatti e circostanze de relato, avendo appreso le dichiarazioni
di Tirino; costui, a sua volta, conosceva le dichiarazioni di Fusco; e, in
relazione al mancato rinvenimento del cranio del cadavere, ha assurdamente parlato della decapitazione finalizzata a impedire il riconoscimento, quando all’epoca esisteva da tempo la possibilità della identificazione cromosomica; la versione dei fatti di Trino non collima
con quella di Fusco, alla stregua della quale sembra che al momento
del delitto Ponticelli non avesse compreso le reali intenzioni dell’ esecutore; costui, portatore della reale causale, in quanto la vittima voleva attentare alla vita del fratello Adriano Fusco, fu l’esclusivo autore
del fatto di sangue; la chiamata in correità non è credibile; l’intento di
Ponticelli, di Giuseppe De Luca Bossa e di Trino era soltanto di « avere chiarimenti » da Troise « senza alcuna uccisione »; si inseri2.1 –

8

vi, l’accertamento delle condotte delittuose e deduce: è « decisamente
ibrida » la posizione del chiamante in correità Fusco; costui non ha
assunto « formalmente la posizione di collaboratore di giustizia »;
ha addossato ad altri le proprie responsabilità per evitare l’ergastolo;
le dichiarazioni dei collaboranti Troise, Mignano, Gonzales e Tranquilli sono divergenti; esso ricorrente è stato assolto dagli altri fatti
di sangue che costituivano la « scaturigine » degli omicidi di Troise e
di Tranquilli.

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scono, poi, nella « ottica della contraddizione » le propalazioni di
Ferdinando Adamo; quelle di Ciro Esposito, di Ciro Sarno, di Raffaele
Cirella, di Carmine Esposito, di Vincenzo D’Ambrosio, di Salvatore
Manco e di Gennaro Manco sono de relato, generiche, circolari, prive
di riscontri e di valenza probatoria; non è possibile addebitare a Ponticelli, il quale non si trovava sul luogo del delitto, la soppressione del
cadavere, in quanto fu Fusco che fece ritrovare i resti della vittima.
concernenti le armi, Ponticelli oppone: è una « forzatura » l’ affermazione della credibilità di Borriello; Vincenzo, Giuseppe e Pasquale
Sarno hanno indicato nella persona del loro fratello Luciano « l’ artefice » del fatto di sangue a cagione della « atavica acredine »;
Caianiello, assumendo che Luciano Sarno avrebbe determinato il delitto di intesa con esso ricorrente, ha rappresentato, contrariamente
al vero, che all’epoca i due mandanti erano detenuti; Carmine Esposito ha sostenuto che gli autori del delitto furono Grande e Angelo Michele Di Fraia; il presunto « asservimento » del gruppo Ponticelli ai
Sarno è contraddetto dalla considerazione che Ponticelli fu « obiettivo omicidiario dei Sarno stessi »; Ferdinando Adamo ha addebitato
la materiale esecuzione a Claudio Romano e sostenuto assurdamente
che al momento del fatto Ponticelli si trovava a bordo di una motocicletta, nei pressi del luogo del delitto, mentre colà sarebbe stato facile
bersaglio trattandosi della roccaforte degli avversari; Vincenzo D’
Ambrosio non ha indicato il mandante; Montefusco Davide ha collegato, sul piano della causale, l’omicidio in esame a quello del Gonzales; le propalazioni di Grande e di Fusco sono intempestive, viziate
dalla « cognizione di fatto di tutti gli aspetti della vicenda » e denotano « un evidente scaricabarile »; è evidente la « acrimonia » di
Grande; costui era « indipendente […] da sempre intraneo ai Santo
con funzioni di killer »; la sua chiamata in correità è fantasiosa; Fu s c o « si commenta da se » nel tentativo di accreditare le sue accuse;
affatto illogica è la analisi della Corte territoriale la quale ha dato credito alle dicerie di Fusco, « cadendo ancora una volta nella sua rete »; la contraddittorietà della prova impone la assoluzione.
2.3 – Col terzo motivo il ricorrente si duole della irrogazione della

pena perpetua, obiettando che, per effetto della scelta del rito,
l’ergastolo doveva essere « ridotto a trenta anni » di reclusione.
3. — Caruana, con unico motivo, dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’articolo 6o6, comma i, lettere b) ed e), cod. proc.
pen., inosservanza o erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133
cod. pen., nonché mancanza della motivazione, stigmatizzando che la
Corte territoriale non ha dato conto della reiezione della richiesta si

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2.2 – Con riferimento all’omicidio di Tranquilli e ai connessi delitti

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4. — Romano sviluppa due motivi dichiarando promiscuamente di
denunziare, ai sensi dell’articolo 6o6, comma i, lettere b), c) ed e),
cod. proc. pen. inosservanza o erronea applicazione degli articoli 8
[del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella] legge 12
luglio 1991, n. 203 (primo motivo), 62-bis [e 69] cod. pen. (secondo
motivo) 125, comma 3, cod. proc. pen. nonché mancanza della motivazione, anche sotto il profilo della formale violazione dell’articolo
125, comma 3, cod. proc. pen. con entrambi i mezzi di impugnazione.
4.1 — Col primo motivo il difensore si duole della mancata applicazione « nella sua massima estensione » della attenuante della collaborazione, deducendo: la Corte territoriale ha apprezzato la importanza della collaborazione prestata dal ricorrente; e la utilità del contributo offerto costituisce il parametro esclusivo di riferimento per la
commisurazione della diminuzione della pena; la gravità dei reati
non consente di « mitigare fino quasi a neutralizzarla la straordinaria importanza della delazione collaborativa del prevenuto ».

4.2 — Col secondo motivo il difensore, dopo aver riportato la motivazione della sentenza impugnata relativa al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, censura che affatto contraddittoriamente e immotivatamente la Corte di merito ha disconosciuto la prevalenza delle ridette attenuanti sulle ritenute aggravanti.
5. — Grande sviluppa tre motivi denunziando, ai sensi dell’articolo
606, comma i, lettera b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve
tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione agli
articoli 157 « e ss. » cod. pen. (primo motivo), in relazione all’articolo
8 [del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella] legge 12
luglio 1991, n. 203 (secondo motivo) e in relazione agli articoli 62-bis,
133 e 133-bis cod. pen. (terzo motivo), nonché, promiscuamente, col
secondo mezzo del ricorso vizio di motivazione.
5.1 — Col primo motivo il difensore eccepisce la prescrizione dei delitti di detenzione di arma comune da sparo di cui ai capi F e L, maturata prima della sentenza impugnata, deducendo che la aggravante a effetto speciale dell’articolo 7 cit. è elisa dalla attenuante della collaborazione.
5.2 — Col secondo motivo il difensore, menzionando l’apprezzamento
dei giudici di merito in ordine alla collaborazione, preziosa e decisiva,

lo

applicazione delle circostanze attenuanti generiche « nella massima
estensione ».

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5.3 — Col terzo motivo il difensore si duole della dosimetria della pena, in relazione alla commisurazione della pena base, ritenuta non
equa e della comparazione delle circostanze attenuanti generiche, operata in termini di equivalenza, rispetto alle ritenute aggravanti, opponendo la considerazione del corretto comportamento processuale
del ricorrente, della ammissione degli addebiti, del travaglio interiore, della volontà di cambiamento e della rottura con gli ambienti malavitosi.
6. — Mutone, con l’unico motivo del ricorso principale, deduce ai sensi dell’articolo 606, corna 1, lettera e), cod. proc. pen. l’illogicità della
motivazione in ordine alla comparazione tra le circostanze operata
dalla Corte territoriale in termini di mera equivalenza, così disattendendo la richiesta dell’appellante di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche.

Previo richiamo di pertinenti massime di legittimità in ordine al bilanciamento tra le circostanze, il difensore argomenta che la decisione si pone in contraddizione colla « valutazione estremamente positiva, non solo della condotta processuale collaborativa del ricorrente, ma anche del mutamento della personalità dello stesso », contenuta nella stessa sentenza impugnata.
6.1 — Col motivo nuovo il difensore denunzia ai sensi dell’articolo
606, comma i, lettera b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve
tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione
all’articolo 442 cod. proc. pen., lamentando che la Corte di merito ha
operato il finale abbattimento premiale della pena, per il rito abbreviato, in misura inferiore a 1/ 3 della sanzione (commisurata in anni
tredici di reclusione), in quanto ha detratto tre anni e otto mesi (pena
finale anni nove e mesi quattro), anziché quattro anni e quattro mesi
così da raggiungere la pena finale di anni otto e mesi otto di reclusione.

6.2 — In via gradata il difensore insta per la rettifica del computo della sanzione ai sensi degli articoli 619, comma 2, e 609, comma 2, cod.
proc. pen.

7. — Giordano sviluppa due motivi, denunziando con entrambi, ai
sensi dell’ articolo 606, comma i, lettera e), cod. proc. pen. vizio di
motivazione in ordine al diniego della prevalenza delle riconosciute
circostanze attenuanti generiche.

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offerta dal ricorrente, si duole della mancata applicazione « nella
massima estensione » della attenuante della collaborazione.

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7.1 Col primo motivo il difensore censura la inesistenza ovvero
la « mancanza grafica » della motivazione per aver la Corte territoriale completamente omesso di dar conto della reiezione della richiesta dell’appellante.

7.2 — Col secondo motivo il difensore deduce la contraddittorietà e
manifesta illogicità della decisione a fronte del riconoscimento e dell’
apprezzamento del ravvedimento del giudicabile operati dalla stessa
Corte di merito la quale ha reputato irreversibile la resipiscenza e la
scelta di vita del Caruana in relazione « a tutte le manifestazioni esi-

stenziali ».
8. Così esaurita la rassegna dei motivi di ricorso, deve, in limine, rilevarsi — in accoglimento del primo motivo di ricorso
di Grande, in relazione ai delitti di detenzione illegale di armi comuni
da sparo di cui ai capi F e L, e di ufficio, ai sensi degli articoli 129,
comma 1, e 609, comma 2, cod. proc. pen. nei confronti di Giordano e
Romano, in relazione ai delitti di detenzione e di porto illegali di armi
comuni da sparo, loro rispettivamente ascritti ai capi F e J, nonché
nei confronti di Grande in relazione ai residui delitti di porto illegale
di armi comuni da sparo di cui ai medesimi capi F e L — che tutti i
succitati reati sono estinti.

Nella specie trovano applicazione, ai sensi dell’articolo 4, quarto
comma, cod. pen. in virtù del principio della applicazione legge più
favorevole per il reo nel caso si successione di leggi penali nel tempo,
le disposizioni previgenti alla novella del 5 dicembre 2005, n. 251,
che ha modificato il regime della prescrizione dei reati.
Orbene, in relazione ai delitti come ritenuti, col riconoscimento della
attenuante a effetto speciale della collaborazione, il termine massimo
(prolungato per la interruzione) della prescrizione di anni sette e mesi sei è maturato, in relazione alle condotte delittuose più gravi e più
recenti di porto illegale di armi comuni da sparo (capo L), il 27 dicembre 2010 e in epoca anteriore per gli antri reati concernenti le
armi.
Difetta la evidenza di alcuna delle ipotesi previste dall’articolo 129,
comma 2, cod. proc. pen. per più favorevoli epiloghi assolutori.
La estinzione dei reati comporta la eliminazione delle pene relative,
applicate a titolo di continuazione, quantificate dalla Corte territoriale in ragione di mesi otto (al netto della detrazione di un terzo per il
rito abbreviato) per ciascuno dei suddetti capi F), J) e L).

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Udienza del 19 giugno 2015

È esatto il richiamo difensivo al principio di diritto secondo il quale
« la circostanza attenuante speciale per la dissociazione di cui all’
articolo 8 della legge n. 203 del 1991 si fonda sul mero presupposto
dell’utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza nel calcolo della pena non può
essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato o, ancora, alle
ragioni che hanno determinato l’imputato alla collaborazione »
(Sez. 6, n. 10740 del 16/12/2010 – dep. 16/03/2011, Casano e altri,
Rv. 249373).
Nella specie, tuttavia, la Corte territoriale non ha contravvenuto a tale principio e ha dato implicitamente conto della commisurazione
dello scomputo di pena, là dove in precedenza ha rilevato, nello sviluppo della motivazione, che Grande, Romano, Mutone e Caruana,
avevano intrapreso la collaborazione soltanto dopo 1 ‘esecuzione
della ordinanza di custodia cautelare in carcere a loro carico.
Sicché ai fini dell’apprezzamento della « utilità obiettiva » della collaborazione assume rilievo la circostanza che la stessa venne incoata
dai ricorrenti quando costoro erano stati già raggiunti da gravi indizi
di colpevolezza.
Non è, pertanto, illogica la commisurazione della diminuzione della
pena base in misura peraltro affatto congrua (pari alla media tra il
minino prescritto di un terzo e il massimo consentito di un mezzo).
io. — Neppure meritano accoglimento il ricorso di Giordano e, sul
punto analogo della comparazione tra le circostanze, i ricorsi di
Grande, di Romano, di Mutone e di Caruana.
Per vero la stessa Corte territoriale, pur avendo rappresentato in narrativa che Giordano, Caruana e Mutone, coi rispettivi atti di gravame,
avevano chiesto non solo il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ma anche la declaratoria della prevalenza delle ridette, invocate attenuanti rispetto alle aggravanti residue (v. sentenza
p. 6), non ha, successivamente, dedicato allo scrutinio dei relativi
motivi una trattazione specifica ed espressa, statuendo formalmente
la loro reiezione.
Purtuttavia, nel motivare il riconoscimento delle attenuanti in parola,
i giudici di merito, mediante la inserzione dell’inciso, introdotto da
congiunzione coordinativa con valore concessivo avversativo — sci/i-

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9. — Non meritano accoglimento i ricorsi Grande e di Romano sul
punto della entità della diminuzione della pena base per effetto del
riconoscimento della attenuante della collaborazione.

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E il rilievo della gravità dei fatti, assume alla stregua dall’ accertamento dei delitti di sangue oggetto del giudizio e della cornice criminale di riferimento, spiccata pregnan z a; sicché la sintetica considerazione appare plausibilmente idonea a sorreggere il giudizio di comparazione prescritto dall’articolo 69 cod. pen., rendendolo
incensurabile nella sede del presente scrutino di legittimità.

il.
Non sono fondati il motivo nuovo di Mutone e la gradata mozione del ricorrente di correzione della sentenza in ordine alla riduzione della pena per il rito abbreviato.

È vero che la Corte territoriale è incorsa in errore di computo in
quanto, determinata la pena base pel delitto di cui al capo S) in anni
ventiquattro di reclusione e ridotta la sanzione, per l’attenuante della
collaborazione ad anni tredici di reclusione, ha diminuito la succitata
pena di anni tredici in misura (anni 3 e mesi otto) inferiore al terzo
(anni quattro e mesi quattro), prescritto dalla legge.
Ma l’errore denunziato fa seguito al precedente errore di computo in
cui è incorsa la stessa Corte di merito nel calcolo intermedio (antecedente la riduzione finale di un terzo ai sensi dell’articolo 442 cod.
proc. pen.) per l’omessa applicazione dell’aumento di pena in dipendenza della continuazione interna (in relazione al medesimo capo)
per il secondo omicidio.
Sicché, ricostruendo a ritroso dalla pena finale (al netto della riduzione di un terzo: anni nove e mesi quattro di reclusione) la misura
della sanzione prima dell’abbattimento (anni quattordici di reclusione = anni nove e mesi quattro / 2 x 3), Si ricava per differenza
— tra la pena di anni tredici (così ridotta la pena base di anni ventiquattro per l’attenuante della collaborazione) e la pena finale (al lordo della riduzione del terzo) di anni quattordici — la misura
dell’aumento, a titolo di continuazione, per il secondo omicidio, pari
a un anno di reclusione.
In tali termini deve intendersi corretta e integrata la motivazione
della sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 619, comma 2, cod.
proc. pen.

14

cet : « pur nella indubbia gravità dei fatti », v. sentenza, p.
13 — hanno implicitamente dato conto del contenimento in termini di
equivalenza della comparazione tra le circostanze e, dunque, della ragione per la quale hanno disatteso la richiesta degli appellanti pel più
vantaggioso bilanciamento.

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Ricorso n. 30.264/2014

R.G. *

Udienza del 19 giugno 2015

Sono manifestamente infondati il ricorso di Ponti celli nonché — sul punto residuo della dosimetria della pena — i
motivi degli altri ricorrenti.
12. –

Non ricorre — alla evidenza — il vizio della violazione di legge:

—né sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo
applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione del fatto corrispondente alla previsione della norma,
ovvero per averla applicata sul presupposto dell’accertamento di un
fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie);
—né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice del
merito esattamente interpretato le norme applicate, alla luce dei
principi di diritto fissati da questa Corte.
12.2 –

Neppure manifestamente ricorre vizio alcuno della motiva-

zione.
Il giudice a quo ha dato conto adeguatamente — come illustrato nella narrativa che precede — delle ragioni della propria decisione, sorretta da motivazione congrua, affatto immune da illogicità
di sorta, sicuramente contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione (v. per tutte: Sez. i, n. 624 del 5
maggio 1967, Maruzzella, Rv. 105775 e, da ultimo, Sez. 4, n. 4842 del
2 dicembre 2003, Elia, Rv. 229369) e, pertanto, sottratta a ogni sindacato nella sede del presente scrutinio di legittimità.
Questa Corte non rileva nel tessuto motivazionale del provvedimento
impugnato:
—né il vizio della contraddittorietà della motivazione che
consiste nel concorso (dialetticamente irrisolto) di proposizioni (testuali ovvero extra testuali, contenute in atti del procedimento specificamente indicati dal ricorrente), concernenti punti decisivi e assolutamente inconciliabili tra loro, tali che l’affermazione
dell’una implichi necessariamente e univocamente la negazione
dell’altra e viceversa;
—né il vizio della illogicità manifesta che consegue alla violazione di alcuno degli altri principi della logica formale e/o dei canoni
normativi di valutazione della prova ai sensi dell’articolo 192 cod.
proc. pen., ovvero alla invalidità (o scorrettezza) dell’ argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione
o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e la conclusione
(v., per tutte, da ultima- Sez. Un. n. 20804 del 29/11/2012 — dep.
2013, Aquilina, non massimata sul punto).
Per vero i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dai ricorrenti,
benché inscenati sotto la prospettazione di v itia della motivazione,

15

12.1 –

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Udienza del 19 giugno 2015

si sviluppano tutti nell’orbita delle censure di merito e della prospettazione di meri enunciati fattuali.

13. — Conseguono l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata nei confronti di Grande Nunzio, Romano Claudio e Giordano
Carmine, limitatamente ai delitti di cui ai capi F), J) e L), loro rispettivamente ascritti, essendo detti reati estinti per prescrizione; la eliminazione della pena relativa di mesi otto di reclusione, applicata a
titolo di continuazione ai ricorrenti per ciascuno dei capi suddetti; il
rigetto, nel resto, dei ricorsi dei succitati imputati; il rigetto dei ricorsi di Caruana Fabio e di Mutone Felice; la condanna di costoro al pagamento delle spese processuali; la correzione della sentenza scrutinata riguardo al trattamento sanzionatorio di Mutone; la declaratoria
della inammissibilità del ricorso del Ponticelli e la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali, nonché — valutato il
contenuto dei motivi e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa
nella proposizione della impugnazione — al versamento a favore della
cassa delle ammende della somma, che la Corte determina, nella misura congrua ed equa, infra indicata in dispositivo.
P. Q. M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata nei confronti di Grande
Nunzio, Romano Claudio e Giordano Carmine, limitatamente ai delitti di cui ai capi F), J) e L), loro rispettivamente ascritti, essendo detti
reati estinti per prescrizione ed elimina la pena relativa di mesi otto
di reclusione, applicata a titolo di continuazione ai ricorrenti per ciascuno dei capi suddetti.
Rigetta nel resto i ricorsi dei suddetti imputati Grande, Romano e
Giordano.
Rigetta i ricorsi di Caruana Fabio e di Mutone Felice che condanna al
pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di Ponticelli Gianfranco che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1.000 (mille) alla Cassa delle ammende.

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Sicché le censure, consistendo in motivi diversi da quelli consentiti
dalla legge con il ricorso per cassazione, sono inammissibili a’
termini dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen.

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Ricorson. 30.264/2014

R.G.

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Manda la cancelleria per la trasmissione di copia della presente sentenza alla Corte di assise di appello di Napoli, ai sensi dell’ art. 625,
comma 3, cod. proc. pen.

Così deciso, addì 19 giugno 2015.

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