Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31406 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31406 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
KONE OUMAR N. IL 04/06/1982
BAH MOMODOU N. IL 21/08/1986
avverso la sentenza n. 269/2014 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di TRENTO, del 23/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

E

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 12/05/2015

Ritenuto in fatto.

1.11 23 gennaio 2014, all’esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Trento, in
composizione monocratica, dichiarava Kone Oumar e Bah Mamodou colpevoli del
reato previsto dall’art. 4 1. n. 110 del 1975 per avere portato fuori della propria
abitazione, senza giustificato motivo, il Bah una pietra e il Kobe un bastone.
2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, tramite

carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, travisamento
della prova in ordine agli elementi posti a base dell’affermazione di penale
responsabilità, alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato contestato e
ritenuto in sentenza, all’esclusione della legittima difesa.

Osserva in diritto.

Il ricorso proposto dai due ricorrenti è manifestamente infondato.
Il suo esame impone una triplice premessa.
1. Il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di
motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di
merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni
che hanno giustificato la decisione (Sez. U., n. 25080 del 28 maggio 2003).
2.Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606, lett. e), c.p.p., così come
novellato dall’art. 8 della 1. 20 febbraio 2006 n. 46, il sindacato del giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere
volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia “effettiva” e non
meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il
giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente
illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non
viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia
internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra
1

il comune difensore di fiducia, gli imputati, i quali lamentano violazione di legge e

le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa
contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo”
(indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno
del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente
inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6, n. 10951 del 15 marzo 2006).Non è, dunque,
sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente
“contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua

astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta
propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di
elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso
un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario,
di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in
termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del
provvedimento.E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal
ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano
autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro
rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal
giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da
rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla
persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e
internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del
processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di
una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza
della “resistenza” logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità
resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti,
preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni
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ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità né che siano

trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le
impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di
organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai
giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti
sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
3. La categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta

differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile
con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza
del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti
processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in
sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da
uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato. La recente
riformulazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p. ad opera dell’art. 8 della 1. n. 46 del 2006,
non confermando l’indeclinabilità della regola preclusiva dell’esame degli atti
processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del
discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis,
colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata,
rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica
inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendi (Cass. Sez. VI, 20
marzo 2006, rv. 233621; Cass., Sez. I, 9 maggio 2006, rv. 233783; Cass., Sez. II, 23
marzo 2006, rv. 233460; Cass., Sez. V, 11 aprile 2006, rv. 233789; Cass., Sez. IV,
28 aprile 2006, rv. 233783; Cass., Sez. III, 12 aprile 2006, rv. 233823).
In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto,
pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti
processuali/probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e
tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell’onere di “indicazione specifica
delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” a sostegno del singolo motivo di
ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 lett. c) c.p.p.. Il vizio di
prova “omessa” o “travisata” sussiste, peraltro, soltanto quando l’accertata
distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda
illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato

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distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a

processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di
decisività .
3. Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae
alle censure che le sono state mosse dai ricorrenti che hanno denunciato, da un lato,
la carenza, l’illogicità e l’intrinseca contraddittorietà della motivazione e, dall’altro,
hanno ricondotto alla categoria logico-giuridica della prova “omessa” o “travisata”
non l’omessa pronunzia su un significativo dato processuale o probatorio né la

dagli atti processuali, bensì l’erronea valutazione di attendibilità e concludenza
dell’elemento probatorio, avvenuta in violazione delle regole ermeneutiche che
devono presiedere la struttura logica della motivazione in fatto.
Il provvedimento impugnato, con motivazione all’evidenza esente da
manchevolezze, evidenti incongruenze o da interne contraddizioni e con puntuale e
corretto richiamo alle risultanze processuali, ha illustrato il complesso degli
elementi (verbali di perquisizione e sequestro, indagini di polizia giudiziaria) posti a
base dell’affermazione di penale responsabilità degli imputati.
In realtà, i ricorrenti, pur denunziando formalmente una violazione di legge in
riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 2, c.p.p.,
non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla
formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso
travisamento del fatto, chiedono la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il
sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della
coscienza e volontà dei ricorrenti di portare, senza giustificato motivo, l’uno (Kone)
un bastone e l’altro (Bah) una pietra.
4.La sentenza impugnata è, all’evidenza, esente da censure anche nella parte in
cui ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi della contravvenzione contestata,
tenuto conto delle caratteristiche degli oggetti portati dai ricorrenti e della loro
naturale destinazione all’offesa alla persona, avuto riguardo alle circostanze di
tempo e di luogo (Sez. 1, n. 503 del 3 dicembre 1993; Sez. 5, n. 43348 del 10
luglio 2008).
4

palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente

5.Del tutto in conferenti, avuto riguardo alla tipologia del reato contestato, è la
prospettazione dell’esimente della legittima difesa, fondata su di una non consentita
lettura alternativa dei fatti a fronte di un coerente impianto motivazionale.
6.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost.
sent. n. 186 del 2000), al versamento ciascuno della somma di mille euro alla cassa

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e al versamento ciascuno della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 12 maggio 2015.

delle ammende.

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