Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31405 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 31405 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CASSANO MARGHERITA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARVELLI ANTONIO N. IL 19/04/1966
avverso la sentenza n. 5219/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
19/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARGHERITA CASSANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F_tt. c2,c0.„J.2.2.20
che ha concluso per _C ,-,..„2.,„,L,„,j,„1„Ike,b1-.,,-7

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 05/05/2015

Ritenuto in fatto.

1.11 9 giugno 2009 il Tribunale di Como, in composizione monocratica, all’esito
di giudizio abbreviato, dichiarava Antonio Carvelli responsabile dei reati previsti
dagli artt. 81 cpv., 648 c.p., 23, comma 4, 1. n. 110 del 1975, 12 e 141. n. 497 del
1974 (capo a), 81 cpv., 648, 697 c.p., 23, comma 3,1. n. 110 del 1975, 10 e 141. n.

equivalenti alla contestata recidiva reiterata, ritenuto il concorso formale tra le
fattispecie incriminatrici previste rispettivamente dagli artt. 23 1. n. 110 del 1975 e
12 e 14 1. n. 497 del 1974, ritenuta la continuazione fra i restanti reati, ridotta la
pena per il rito, lo condannava alla pena di quattro anni di reclusione ed euro
quattromiladuecento di multa.
2.11 19 giugno 2014 la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della

decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati di cui
al capo b) della rubrica e di cui al capo a) del procedimento riunito n. 168/10 (art.
635 c.p,), per essere gli stessi estinti per prescrizione, e, per l’effetto, riduceva la
pena irrogata a un armo, sette mesi di reclusione ed euro millequattrocento di multa,
pena da applicare in aumento su quella di quattro anni di reclusione ed euro
quattromiladuecento di multa, irrogata con sentenza del giudice per l’udienza
preliminare del Tribunale di Como del 9 giugno 2009 (irrevocabile il 2 febbraio
2010), così rideterminando la pena complessiva in cinque anni, sette mesi di
reclusione ed euro cinquemilaseicento di multa.
3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione

personalmente l’imputato, il quale lamenta violazione dei canoni di valutazione
probatoria e carenza della motivazione in ordine agli elementi posti a base
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.

Considerato in diritto.

Il ricorso è manifestamente infondato.
1.11 controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza
di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione,
dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa
risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al
punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere
1

C)/

497 del 1974 (capo b) e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, dichiarate

comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee
argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari
passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione
(Sez. U., n. 25080 del 28 maggio 2003).
In realtà, il ricorrente, pur denunziando formalmente una violazione di legge in
riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all’art. 192, comma 2, c.p.p.,

formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso
travisamento del fatto, chiede la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il
sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura
razionale della sentenza impugnata abbia -come nella specie- una sua chiara e
puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole
della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della
coscienza e volontà del ricorrente di porre in essere le condotte delittuose a lui
contestate e per le quali è intervenuta sia in primo che in secondo grado sentenza di
condanna.
2.Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost.,
sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di una
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’ art.
616 c.p.p.

P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma, il 5 maggio 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

non critica in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla

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