Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31391 del 23/06/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31391 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: ROSI ELISABETTA

Data Udienza: 23/06/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DISSEGNA GINO N. IL 04/07/1955
avverso l’ordinanza n. 24/2014 TRIB. LIBERTA’ di VICENZA, del
24/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EL,ISAB
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/sentite le nclusioni del ,pG Dott.

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RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale penale di Vicenza, in funzione di giudice del Riesame, con
ordinanza depositata il 26 aprile 2014, ha confermato il decreto di sequestro
probatorio emesso il 6 marzo 2014 dal Pubblico Ministero del medesimo
Tribunale nei confronti di Dissegna Gino, indagato per il reato di cui agli artt. 81
cpv. c.p. e 5 del D. Lgs. n. 74 del 2000, perché, nella qualità di legale
rappresentante, amministratore e socio occulto dell’impresa DSK TRUCKING srl,
con sede legale a Bratislava e sede amministrativa di fatto in Rossano Veneto,
presso la sede della F.11i Dissegna srl, al fine di evadere le imposte sul reddito,

evasione di imposta, in relazione agli anni 2006,2007, 2008, 2009, 2010, 2011 e
2012. Secondo il Collegio il sequestro probatorio è stato legittimamente disposto
in presenza del fumus delicti e volto a verificare la documentazione contabile ed
extracontabile, in modo da determinare il luogo di effettivo svolgimento delle
attività di gestione della società DSK e gli amministratori di fatto della stessa;
quanto alla inutilizzabilità dell’attività di accertamento svolta dalla Guardia di
Finanza successivamente al 4 settembre 2013 – eccepita dall’indagato sul
presupposto che già in sede di accesso si fosse avuta contezza della notitia
criminis e fossero state violate le garanzie previste dall’art. 220 disp. att. c.p.p. il giudice del riesame ha richiamato la giurisprudenza di legittimità che àncora la
legittimità del sequestro probatorio all’acquisibilità del bene, alla sua pertinenza
con i reati ipotizzati ed alla insussistenza di divieti probatori.
2. Avverso tale decisione, l’indagato, per il tramite del difensore, ha proposto
ricorso per cassazione, forte di due motivi di doglianza:
1) Violazione di legge ex art. 325 c.p.p., in riferimento all’art. 220 disp.att. c.p.p.
e 253 c.p.p. Il Tribunale avrebbe avallato, in contrasto con la giurisprudenza,
l’erronea applicazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p., nonostante il riconoscimento
del fumus delicti sin dalla data di accesso presso la società Dissegna srl in data
4 settembre 2013. Inoltre, ripercorrendo l’attività di verifica svolta dalla Guardia
di finanza il 4 settembre 2013, emerge che quanto meno la seconda parte della
giornata (acquisizione di dati e notizie) è stata compiuta in violazione di tale
disposizione normativa. Il decreto di sequestro è motivato su elementi di prova
raccolti in violazione di legge, come tali inutilizzabili nelle fasi procedimentali
successive. Inoltre non è corretta la motivazione dell’ordinanza impugnata in
quanto era stato contestato non l’oggetto del sequestro, ma i presupposti
legittimanti la qualificazione dei beni assoggettati a sequestro. La maggior parte
della documentazione è stata rinvenuta e sequestrata nel corso della
perquisizione effettuata in data 4 settembre 2013, ma non sussiste valenza
dimostrativa della sua pertinenza al reato per cui si procede, se non a seguito
della ricostruzione successiva, per cui tali indagini sono illegittime. Il ricorrente

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ometteva di presentare le prescritte dichiarazioni annuali, realizzando una

ha pertanto chiesto che quantomeno l’ordinanza impugnata sia annullata nella
misura in cui non ha disposto l’annullamento parziale del decreto di sequestro
relativamente alla documentazione acquisita dopo il 4 settembre 2013.
2) Violazione di legge ex art. 325 c.p.p., in riferimento ai criteri ed alle condizioni
per l’utilizzabilità della documentazione acquisita in violazione dell’art. 52,
comma 2 D.P.R. 633/72. I giudici avrebbero ritenuto corretto il richiamo

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relationem agli esiti degli accertamenti effettuati dalla Guardia di finanza. In
verità tali accertamenti hanno comportato un accesso domiciliare autorizzato a
seguito di una nota della Guardia di finanza, il cui contenuto è rimasto

hanno fatto menzione nell’ordinanza, in violazione del principio della
giurisprudenza che afferma che la motivazione per relationem è ammessa
sempre che il giudice dia conto di avere operato un vaglio critico dell’atto
richiamato. Inoltre va considerato che l’accesso non avrebbe potuto essere
disposto, visto che i gravi indizi di violazione fiscale non erano a carico della
società italiana presso la cui sede fu effettuato, ma presso la società slovacca,
mentre il Tribunale del riesame dà per scontato che l’accertamento su tale
società estera avrebbe dovuto necessariamente prendere le mosse dalla società
italiana.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva la Corte che i motivi di ricorso non sono fondati. L’art. 220 disp. att.
al codice di procedura penale prescrive che quando nel corso di attività ispettive
o di vigilanza previste da leggi o decreti, emergano indizi di reato, gli atti
necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire
per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle norme
del codice di procedura penale. Il principio trova ampio sviluppo interpretativo
nella giurisprudenza in riferimento all’utilizzabilità quale prova del processo
verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, che è stato qualificato
quale “atto amministrativo extraprocessuale”, in grado di costituire “prova
documentale anche nei confronti di soggetti non destinatari della verifica fiscale”
ex art. 234 c.p.p., sempre che non siano emersi indizi di reato, in quanto il
disposto della norma invocata impone di procedere secondo le modalità del
c.p.p., in quanto “la parte del documento redatta successivamente a detta
emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile” dal
punto di vista probatorio (cfr., Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli e altri,
Rv. 242523, Sez. 3, n. 15372 del 10/02/2010, Fiorillo, Rv. 246599).

sconosciuto al ricorrente, ed anche ai giudici del riesame, in quanto non ne

2. Nel caso in esame, secondo quanto indicato nell’ordinanza impugnata, la
Guardia di finanza stava svolgendo la predetta attività di verifica non in veste di
polizia giudiziaria ma nell’ambito dell’attività di ricerca ex art. 52 del D.P.R. n.
633 del 1972, che disciplina l’accesso della GDF nei locali destinati all’esercizio di
attività commerciali, agricole, artistiche o professionali ovvero locali utilizzati da
enti non commerciali al fine di effettuare ispezioni, verifiche, ricerche ed ogni
altra rilevazione utile all’accertamento dell’IVA e per la repressione dell’evasione
fiscale e di altre violazioni. Specificamente, aveva ottenuto l’autorizzazione del
Procuratore della Repubblica in quanto il controllo della documentazione della

aveva provveduto ad effettuare attività di ricerca all’esito della quale erano
emersi elementi del reato per cui si indaga, pertanto la Procura della repubblica
provvedeva a disporre il sequestro probatorio della documentazione acquisita in
corso di accesso. Anche accedendo alla tesi adombrata nel ricorso che si sia
trattato di perquisizione (ex art. 52 comma 3) e non invece di ricerca di
documentazione in sede di verifica fiscale, come invece precisato dal Tribunale
del riesame, l’illegittimità della perquisizione non invaliderebbe il conseguente
sequestro qualora, come nel caso di specie, l’apprensione riguardi cose
qualificabili quale corpo di reato (nel caso di specie documentazione costituente
mezzo per commettere i reati per i quali è stata attivata l’indagine preliminare).
3. Infatti va ricordato che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose
obiettivamente sequestrabili, non è condizionato dalle modalità con le quali
queste sono state reperite (seppure anche fossero non legittime, nel qual caso
sussisterebbero gli eventuali riflessi disciplinari, ed anche penali, per chi le pose
in essere), ma solo dall’acquisibilità del bene e dalla insussistenza di divieti
probatori espliciti o univocamente enucleabili dai sistema. (tra le molte, di
recente, cfr. Sez. 3, n. 41937 del 9/4/2014, Tormena).
4. In particolare, per quanto attiene al secondo motivo di ricorso, va ribadito

che l’autorizzazione ex art. 52 d.p.r. n. 633 del 1972 ha natura di atto
amministrativo e non equivale a valutazione sulla notitia criminis, ma sulla
sussistenza dei presupposti previsti dalla legislazione tributaria della richiesta di
accesso in luoghi di privata dimora del contribuente. La Corte di Cassazione,
proprio in sede di giudizio legittimità in materia tributaria del D.P.R. n. 633/1972
(cfr., per tutte, Cass. civ. S.UU. 21 novembre 2002, n. 16424), ha più volte
ritenuto sufficiente una motivazione sintetica ovvero costituita dal semplice
richiamo alla nota dell’Amministrazione finanziaria contenente la richiesta della
relativa adozione, facendo riferimento agli indizi di violazione della norma
tributaria che giustificano la richiesta.

Quindi la ecies.~- motivazione

società destinataria implicava l’accesso domiciliare (art. 51 comma 1) e quindi

dell’ordinanza impugnata – che ha ribadito proprio tale principio – è del tutto
corretta quanto alla legittimità del provvedimento di vincolo ai fini di prova,
imposto sulla documentazione scaturente dall’accertamento tributario, in
ossequio

al principio, già descritto, di legittima acquisizione della

documentazione, mentre le doglianze del ricorrente attengono al limitato aspetto
amministrativo/tributario dell’accertamento. Tra l’altro il ricorrente non ha
fornito alcuna prova della sua ignoranza del contenuto dell’atto richiamato per
relationem, come enunciato nell’atto di impugnazione, a fronte di una precisa

contribuente venga informato, all’inizio della verifica fiscale, “delle ragioni che
l’abbiano giustificata e dell’oggetto che la riguarda, della facoltà dì farsi assistere
da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria”.
5. D’altra parte risulta del tutto infondata l’affermazione dell’illegittimità
dell’accesso nei confronti della società fratelli Dissegna srl e quindi non sussiste
alcuna illegittimità del vincolo cautelare a fini probatori imposto sulla
documentazione di pertinenza di tale società e di quella ivi rinvenuta e riferibile
con chiara evidenza alla società DSK Truking srl, con sede a Bratislava. Infatti,
va ricordato che per i casi di estrovestizione, avuto riferimento alla verifica
fiscale in via annnnininistrativa, è legittimo un accertamento tributario svolto
presso una società avente sede in Italia ove vi siano ragionevoli elementi per
ritenere che tale sede sia del pari una sede concreta, seppure occulta, di una
stabile organizzazione estera, come nel caso in cui società residenti sul territorio
dello Stato abbiano costituito all’estero società che presentino potenzialmente le
caratteristiche di soggetti “esterovestiti”.
Il ricorso dell’ indagato, in conclusione, va respinto e lo stesso va condannato, ex
art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2015.

disciplina dell’accertamento in sede amministrativa che stabilisce che il

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