Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3139 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3139 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DOMINGO LEONARDO, n. 12/08/1968 ad Alcamo

ROMANO VINCENZA, n. 8/07/1974 ad Alcamo

avverso la sentenza della Corte d’Appello di PALERMO in data 15/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per l’inammissibilità
del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv.

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1. DOMINGO LEONARDO e ROMANO VINCENZA hanno proposto separatamente,
a mezzo del difensore fiduciario – procuratore speciale cassazionista, tempestivi
ricorsi avverso la sentenza della Corte d’Appello di PALERMO in data 15/03/2013,

dal Tribunale di TRAPANI – SEZ. DIST. DI ALCAMO, con cui i medesimi imputati
sono stati condannati alla pena di giorni quindici di arresto ed 10.000,00 C di
ammenda ciascuno, ritenuta la continuazione, concesse le circostanze attenuanti
generiche e demolizione delle opere abusive se non altrimenti eseguita, per i
seguenti reati: a) artt. 81 cpv e 110 c.p., 20 lett. b), legge n. 47/85, ora
sostituito dall’art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380/2001 (perchè, in concorso tra loro,
quali coniugi versanti in regime patrimoniale di comunione legale dei beni tra di
loro e comproprietari dell’immobile, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso e in assenza della prescritta concessione edilizia/permesso di
costruire, ponevano abusivamente in essere, un appezzamento di terreno
ubicato in zona sismica di Alcamo, via Mirga o C.da Vallone di Nuccio, opere edili
consistenti nella realizzazione, con struttura di cemento armato e copertura a
due falde spioventi con travi e tavole in legno e tegole soprastanti, di un
fabbricato ad una sola elevazione fuori terra, internamente in parte rifinito e
privo di infissi, sanitari e rubinetteria, occupante una superficie di mq. 170 circa
e della recinzione, costituita da muri in cemento armato alti mt. 0,80 circa, del
lotto in cui il succitato manufatto è stato costruito); b) artt. 81 cpv e 110 c.p.,
13 in relaz. all’art. 2, commi 1 e 2, legge n. 1086/1971, ora sostituiti dagli artt.
71 in relazione all’art. 64, commi 2 e 3, d.P.R. n. 380/2001 (per avere, nelle
condizioni e qualità di cui al capo a), realizzato le predette opere edili abusive
senza che l’esecuzione di queste avvenisse in base ad un progetto esecutivo
redatto e sotto la direzione di un ingegnere o architetto o geometra o perito
industriale edile iscritto nel relativo albo e nei limiti delle proprie competenze);
d) artt. 81 cpv e 110 c.p., 20 in relazione agli artt. 1, 3, 17 e 18 della legge n.
64/1974, ora sostituiti dagli artt. 95, in relazione agli artt. 52, 83, 93 e 94 del
d.P.R. n. 380/2001 (per avere, nelle condizioni e qualità di cui sopra, realizzato
in zona sismica le predette opere edili abusive, senza aver dato preavviso scritto
al competente ufficio del Genio civile, senza la preventiva autorizzazione scritta
di quest’ultimo e in difformità dalle prescrizioni tecniche previste dalla legge
sismica e dai relativi decreti interministeriali).
Tutti accertati in Alcamo, il 9/03/2009.
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depositata in data 18/03/2013, confermativa della sentenza 16/02/2010 emessa

2. Ricorrono avverso la predetta sentenza gli imputati, a mezzo del difensore
fiduciario – procuratore speciale cassazionista, deducendo, il primo, 6 motivi di
ricorso e, la seconda, 5 motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

c.p. e dell’art. 530 c.p.p. con riferimento a tutti i reati di cui al capo
d’imputazione (artt. 44, 71 e 95, d.P.R. n. 380/2001); in sintesi, si duole il
ricorrente per aver la Corte territoriale individuato la responsabilità del Domingo
sulla base di alcuni elementi: 1) essere coniuge della Romano, proprietaria e
committente dei lavori; 2) essere acquirente dell’area su cui si è edificato
abusivamente; c) essere sostanzialmente comproprietario in quanto il fondo era
stato acquistato in regime di comunione legale; 4) essere la costruzione
destinata a casa di abitazione della famiglia. Ad avviso del ricorrente, nessuno di
essi si troverebbe in rapporto causale necessario con l’assunzione della qualità di
committente dei lavori abusivi, fondante l’ipotesi di concorso ex art. 110 c.p.

4. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, poi, come primo motivo di ricorso
comune ad entrambi, l’erronea applicazione dell’art. 157 c.p. con riferimento agli
artt. 44, 71 e 95, d.P.R. n. 380/2001 ex art. 606, lett. b), c.p.p.; si dolgono, in
sintesi, per non aver la Corte territoriale dichiarato l’estinzione per prescrizione
dei reati, essendo emerso che la costruzione fosse stata eseguita nell’estate del
2007, laddove invece la Corte d’appello avrebbe individuato quale data di
consumazione quella del sequestro; essendo i reati di costruzione abusiva reati
istantanei, la condotta illecita si sarebbe consumata al momento dell’arresto dei
lavori anche se la costruzione non era ultimata.

5. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ancora, come secondo motivo di ricorso
comune ad entrambi, l’illogicità della motivazione ex art. 606, lett. e), c.p.p., con
riferimento alla tempo di consumazione del reato, in quanto dall’istruttoria
sarebbe emerso che la costruzione abusiva si trovava nella consistenza attuale
sin dall’agosto 2007; tale risultanza istruttoria sarebbe stata ignorata dalla Corte
territoriale, facendo riferimento ad un pregiudizio di verosimiglianza che
l’intenzione dei proprietari dell’immobile fosse quello di continuare nell’attività
edilizia.

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3. Il DOMINGO deduce, con il primo motivo, l’erronea applicazione dell’art. 110

6. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, ulteriormente, come terzo motivo di
ricorso comune ad entrambi, l’erronea applicazione dell’art. 165 c.p., in relazione
all’art. 606, lett. e), c.p.p.; la Corte territoriale, come già il primo giudice, non
avrebbe dato alcuna motivazione circa i criteri di giudizio utilizzati per
subordinare l’efficacia della sospensione condizionale della pena alla demolizione

7. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, inoltre, come quarto motivo di ricorso
comune ad entrambi, ancora l’erronea applicazione dell’art. 165 c.p., in relazione
all’art. 606, lett. e), c.p.p., per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto
che l’eliminazione dell’immobile abusivo integrasse la fattispecie all’art. 165 c.p.,
facendo così erronea ed immotivata applicazione del concetto di danno nella
stessa norma indicato; in sintesi, si dolgono i ricorrenti per aver il giudice
d’appello affermato che la costruzione abusiva costituisce un danno in re ipsa,
affermazione che non consentirebbe alcuna prova né in senso favorevole né
contrario, ponendosi in contrasto con l’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001,
che prevedendo la possibilità del Comune di conservare il manufatto abusivo ne
esclude, per ciò stesso, la consistenza dannosa in sé, altrimenti il Comune
dovrebbe comunque demolirlo.

8. Il DOMINGO e la ROMANO, deducono, infine, come quinto motivo di ricorso
comune ad entrambi, l’erronea applicazione dell’art. 31, comma quinto, d.P.R. n.
380/2001, per difetto di attribuzione, in relazione all’art. 606, lett. a), c.p.p.; in
sintesi, si dolgono i ricorrenti poiché il giudice di merito, subordinando la
sospensione condizionale della pena all’eliminazione del fabbricato, avrebbe
sottratto al Comune la possibilità di valutazione e di scelta di acquisire al suo
patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i fabbricati abusivi non spontaneamente
demoliti dai proprietari, valutazione e scelta propria degli organi della PA e, nello
specifico, del Consiglio comunale a cui la legge sugli Enti locali attribuisce il
potere programmatorio sul territorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

9. Ambedue i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per le ragioni di
seguito evidenziate.

10.

Quanto al primo motivo proposto dal DOMINGO, con cui questi si duole

dell’erronea applicazione dell’art. 110 c.p. e dell’art. 530 c.p.p. con riferimento a
4

del fabbricato abusivo.

tutti i reati di cui al capo d’imputazione (artt. 44, 71 e 95, d.P.R. n. 380/2001),
per l’assenza di elementi conducenti ad attribuire la responsabilità dei fatti al
ricorrente, lo stesso si appalesa inammissibile per genericità, in quanto non tiene
in conto di quanto puntualmente argomentato dai giudici d’appello sul punto. E’
pacifico, infatti, che è inammissibile per genericità il ricorso per cassazione
fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello,

stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono
la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez.
6, n. 20377 del 11/03/2009 – dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
Ed invero, la sentenza impugnata si fa carico specificamente di disattendere
l’omologo motivo di appello, evidenziando come fosse da escludere che
l’imputato Domingo non avesse contribuito alla realizzazione delle opere abusive,
in quanto mero coniuge in regime di comunione dei beni con la ROMANO, unica
proprietaria del lotto di terreno in cui erano stati realizzati i manufatti in
questione. La Corte territoriale, sul punto, deduce argomentatamente come, pur
essendo vero che l’atto di acquisto del predetto lotto fosse solo in favore della
moglie dell’imputato (e, dunque, che lo stesso non fosse formalmente il
comproprietario), era, tuttavia, altrettanto pacifico come dal rogito notarile
emergesse che l’acquisto era stato effettuato con assegno bancario trattato dal
c/c del DOMINGO, elemento, questo, comprovante la consapevolezza
dell’imputato quale comproprietario non dichiarato del bene immobile il quale come correttamente evidenziato dalla Corte d’appello – essendo i coniugi in
regime di comunione legale al momento della stipula del rogito, né essendovi
una diversa indicazione, sarebbe stato considerato in caso di successiva
separazione ricadente nel patrimonio di entrambi. Ulteriore elemento che
consente di riferire anche soggettivamente i fatti al DOMINGO è costituito dalla
presenza in atti di un verbale di dissequestro dell’immobile in cui ambedue gli
imputati si qualificarono e sottoscrissero come “proprietari”; infine, come sempre
risulta dalla sentenza impugnata, altro elemento di indubbia rilevanza in tal
senso, è costituito dalla circostanza che il manufatto abusivo principale, era
destinato ad abitazione della ROMANO e della sua famiglia.
Sulla scorta di tali inequivoci elementi indiziari, dunque, ben può essere ritenuto
il DOMINGO comproprietario del lotto su cui venne edificato l’immobile abusivo,
a nulla rilevando la circostanza che questi giuridicamente non fosse il
comproprietario del lotto medesimo, prevalendo la realtà fattuale sull’apparenza
giuridica.

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motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi

Tanto premesso, è pacifico nella giurisprudenza di questa Sezione che la
responsabilità del comproprietario, non formalmente committente delle opere
abusive, può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie
edificata, l’interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o
affinità con l’esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo
svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria,

tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi
integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla
realizzazione del fabbricato (v., tra le tante: Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012 dep. 03/07/2012, Zeno e altro, Rv. 253065). Nel caso in esame, come già
anticipato la responsabilità del Domingo venne identificata sulla base di alcuni
elementi: 1) essere coniuge della Romano, proprietaria e committente dei lavori;
2) essere acquirente dell’area su cui si è edificato abusivamente; c) essere
sostanzialmente comproprietario, in quanto il fondo era stato acquistato in
regime di comunione legale; 4) essere la costruzione destinata a casa di
abitazione della famiglia. Trattasi di elementi indiziari sufficienti a ritenere
provata la compartecipazione del ricorrente nella realizzazione dei reati oggetto
di volontà comune con il coniuge Romano Vincenza, di talché è evidente come la
Corte territoriale non sia incorsa nell’invocata violazione dell’art. 110 cod. pen.

11. Quanto al primo motivo di ricorso comune ad entrambi i ricorrenti, lo stesso
si appalesa, al pari del precedente, inammissibile perché generico, in quanto non
tiene in conto di quanto puntualmente argomentato dai giudici d’appello sul
punto. Ed infatti, la Corte territoriale chiarisce che i reati non potevano
dichiararsi estinti per prescrizione in quanto, al momento dell’accertamento
(9/03/2009), l’immobile non era definito, mancava di impianto elettrico,
rubinetterie, sanitari ed infissi e vi erano tracce di cantiere attorno ad esso,
come emergeva dalle fotografie in atti; la stessa corte, peraltro, esclude che
fosse verosimile che i coniugi avessero abbandonato i lavori, in quanto
l’immobile era destinato a comune abitazione. Secondo i ricorrenti la costruzione
sarebbe stata eseguita nell’estate del 2007, laddove invece la Corte d’appello
avrebbe individuato quale data di consumazione quella del sequestro, così
commettendo un errore, attesa la natura istantanea del reato di costruzione
abusiva. Tale doglianza è destituita di fondamento, atteso che il reato de quo, ha
natura permanente. La cessazione della permanenza del reato di costruzione
abusiva va, infatti, individuato nel momento dell’ultimazione dell’opera, ivi
comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di
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la fruizione dell’immobile secondo le norme civilistiche sull’accessione nonché

ultimazione, contenuta nell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che
anticipa tale momento a quello dell’ultimazione della struttura, è funzionale ed
applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via
generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di
concessione (ora permesso di costruire: v., ex multis: Sez. 3, n. 33013 del

12. In ordine, poi, al secondo motivo di ricorso comune ad entrambi, lo stesso è
inammissibile per genericità per le medesime ragioni già esposte in sede di
confutazione del primo motivo comune ad ambedue i ricorrenti, cui pertanto si
rinvia. Il riferimento al c.d. pregiudizio di verosimiglianza che inficerebbe la
valutazione del giudice d’appello, secondo cui l’intenzione dei proprietari
dell’immobile era quella di continuare nell’attività edilizia, in realtà si risolve in
un’infondata critica del ragionamento logico attraverso il quale la Corte
territoriale è pervenuta argomentatamente a ritenere che alla data del 2009 le
opere non fossero ancora ultimate. Poiché l’accertamento relativo all’ultimazione
dei lavori costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di
legittimità se congruamente e logicamente motivato, ne discende che, non
rilevandosi alcun vizio motivazionale della decisione sul punto, la censura
difensiva dev’essere disattesa.

13.

In ordine al terzo motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato

sull’asserita assenza di motivazione circa i criteri di giudizio utilizzati per
subordinare l’efficacia della sospensione condizionale della pena alla demolizione
del fabbricato abusivo, è sufficiente richiamare in questa sede, per disattenderne
la consistenza argomentativa, quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa
Corte (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 – dep. 03/02/1997, Luongo, Rv. 206659)
secondo cui il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena
inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in
difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all’eliminazione delle
conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell’opera eseguita,
disposta in sede di condanna del responsabile. E’ ben vero che il potere di
“subordinazione” è previsto dalla legge come discrezionale, ma è altrettanto vero
che la demolizione ordinata dal giudice configura una sanzione amministrativa
specifica, che ha una funzione direttamente ripristinatoria del bene urbanistico
offeso ed è, quindi, un provvedimento giurisdizionale che irroga una sanzione
amministrativa in via accessoria rispetto alla sanzione penale, svolgendo una
funzione direttamente ripristinatoria del bene offeso e riconnettendosi,
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03/06/2003 – dep. 05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv. 225553).

conseguentemente, all’interesse sotteso all’esercizio stesso dell’azione penale,
dal momento che l’incriminazione del reato urbanistico ha per oggetto, in senso
sostanziale e finale, la tutela dell’assetto del territorio (v., sul punto: Sez. 3,
sentenza n. 25930 del 2013, Tascone, non massimata). Ne discende, pertanto,
che il giudice esercita legittimamente il potere discrezionale di subordinare il
beneficio di cui all’art. 163 alla demolizione dei manufatti abusivi ogniqualvolta,

commettere nuovi reati richiede, quale manifestazione di effettivo ravvedimento,
l’adempimento di un obbligo di facere funzionale direttamente al ripristino del
bene offeso. E ciò si evince chiaramente dalla motivazione dell’impugnata
sentenza, laddove si evidenzia che nessuno dei ricorrenti si era attivato per
demolire i manufatti abusivi nonostante a ciò ingiunti dal Comune,
comportamento, questo, che giustificava, in assenza di uno spontaneo
adempimento dell’obbligo demolitorio, l’esercizio del potere discrezionale di
subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla
demolizione del manufatto abusivo entro il termine di gg. 90 dal passaggio in
giudicato della sentenza.

14. In ordine al quarto motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato ancora
sull’asserita violazione dell’art. 165 c.p. per aver il giudice d’appello affermato
che la costruzione abusiva costituisce un danno in re ipsa, affermazione che non
consentirebbe alcuna prova né in senso favorevole né contrario, ponendosi in
contrasto con l’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, a sottolinearne
l’inammissibilità per manifesta infondatezza è sufficiente richiamar quanto già in
precedenza affermato da questa Corte, secondo cui la subordinazione della
concessione della sospensione condizionale della pena alla demolizione, da parte
del condannato, dell’opera abusiva, è da ritenersi, in via generale, legittima, in
quanto corrispondente alla espressa previsione dell’art. 165, primo comma, cod.
pen., configurandosi la presenza sul territorio di una costruzione, realizzata in
violazione della legge, come conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da
eliminare (Sez. 1, n. 7660 del 06/06/1996 – dep. 02/08/1996, Spina ed altro,
Rv. 205709). Peraltro, nessun contrasto è ravvisabile con l’art. 31, comma
quinto, d.P.R. n. 380/2001, poiché è altrettanto pacifico che l’ordine di
demolizione è operativo fino a quando, con esso, il parallelo e concorrente ordine
della P.A. persegua lo stesso obiettivo, oppure fino a quando la stessa
Amministrazione rimanga inerte, omettendo, cioè, sia di ingiungere la
demolizione, sia di procedere all’acquisizione dell’opera: nel caso in cui, invece,
la P.A. abbia proceduto all’acquisizione dell’opera, con specifica deliberazione
8

come avvenuto nel caso di specie, la prognosi di astensione del reo dal

contraria alla demolizione, viene a verificarsi, rispetto all’obbligo di osservare
l’ordine del giudice, una situazione oggettivamente impeditiva, sicché sarebbe
illegittima la condizione apposta alla concessione del predetto beneficio,
consistente nel subordinare la concessione stessa alla demolizione dell’opera,
allorquando sia sopravvenuta l’impossibilità per il condannato di ottemperare a
tale ordine. Poiché, però, dalla sentenza impugnata atti non risulta che la P.A.

“subordinazione” è ravvisabile nel caso in esame.

15. In ordine, infine, al quinto motivo di ricorso comune ad entrambi, fondato
sull’asserita erronea applicazione dell’art. 31, comma quinto, d.P.R. n. 380/2001,
per aver sottratto i giudici di merito al Comune la possibilità di valutazione e di
scelta di acquisire al suo patrimonio ed utilizzare ai fini pubblici i fabbricati
abusivi non spontaneamente demoliti dai proprietari, l’inammissibilità per
manifesta infondatezza del medesimo discende dall’ovvia considerazione che
l’ordine di demolizione ha natura di provvedimento accessorio alla condanna ed è
emesso sulla base dell’accertamento della persistente offensività dell’opera nei
confronti dell’interesse tutelato dalla norma. Proprio l’art. 165 cod. pen. prevede
che la sospensione della pena può essere subordinata all’eliminazione delle
conseguenze dannose o pericolose del reato e non può esservi dubbio che il
manufatto abusivamente realizzato costituisce, come già in precedenza
evidenziato, conseguenza del reato edilizio dannosa per l’assetto del territorio.
Ne discende, pertanto, che, costituendo l’ordine di demolizione di opera abusiva,
dato dal giudice, atto dovuto in caso di condanna e di mancata esecuzione della
demolizione, non è nemmeno ipotizzabile un contrasto con l’art. 31, comma
quinto, d.P.R. n. 380/2001, che disciplina l’ordine di demolizione amministrativo
(con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale
a spese dei responsabili dell’abuso) “salvo che con deliberazione consiliare non si
dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non
contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali”. Non è, invero,
ipotizzabile alcun rapporto alternativo tra l’ordine di demolizione emesso
dall’A.G. e l’ordine emesso dalla Pubblica Amministrazione, dal momento che la
misura emessa dal giudice rappresenta un rafforzamento di quella adottata
dall’autorità amministrativa ed è diretta a rendere ineludibile l’obbligo della
demolizione delle opere abusive e dal momento, altresì, che essa va subito
revocata a cura dello stesso giudice (e tale revocabilità conferma il carattere
amministrativo della sanzione) qualora vengano meno i presupposti che

9

abbia proceduto all’acquisizione dell’opera, nessuna illegittimità della

l’avevano determinata (v., in tal senso: Sez. 3, n. 73 del 30/04/1992 – dep.
12/06/1992, Rizzo, Rv. 190604).
Alla luce di quanto evidenziato, pertanto, non sussiste la denunciata violazione
della lett. a) dell’art. 606 cod. proc. pen.; tale norma considera, quale motivo di
ricorso per cassazione, che giustifica l’annullamento senza rinvio della sentenza
(art. 620 cod. proc. pen.), l’esercizio da parte del giudice di merito di una

consentita ai pubblici poteri. L’esercizio di una potestà riservata agli organi
dell’amministrazione si realizza quando il giudice con il provvedimento
impugnato abbia usurpato poteri amministrativi (ad esempio, annullando o
revocando un atto amministrativo) e, cioè, abbia esercitato una potestà tipica
spettante all’amministrazione. Non sussiste pertanto l’esercizio di una siffatta
potestà allorché il giudice ordina la demolizione dell’opera abusiva, atto dovuto
in caso di condanna e di mancata esecuzione della demolizione, previsto
espressamente dal comma 9 dell’art. 31 citato, che obbliga infatti il giudice “per
le opere abusive di cui al presente articolo” ad ordinare “con la sentenza di
condanna per il reato di cui all’articolo 44….la demolizione delle opere stesse se
ancora non sia stata altrimenti eseguita”. Ed è pacifico che la clausola normativa
“se non altrimenti eseguita” non attiene ad un limite estrinseco al potere del
giudice, ma considera la eventualità del suo esercizio, che può renderlo “inutiliter
datum” quando l’offesa sia rimossa anche mediante acquisizione al patrimonio
del Comune, circostanza — come detto — non emergente dall’impugnata sentenza
(Sez. 3, n. 7148 del 07/05/1998 – dep. 15/06/1998, Dionisi L, Rv. 211220).

16. I ricorsi vanno, dunque, dichiarati entrambi inammissibili. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a
favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che
si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013
Il Con gliere est.

Il Presidente

potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi ovvero non

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