Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31389 del 07/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31389 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PRATI ROSSANO N. IL 26/10/1973
avverso l’ordinanza n. 86/2014 TRIBUNALE di ROMA, del
14/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
lette/sspete le conclusioni del PG [lett
O

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 07/05/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 14 luglio 2014 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice
dell’esecuzione, accoglieva l’istanza proposta nell’interesse di PRATI Rossano volta a dichiarare
ineseguibile la pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed C 30.000,00 di multa, inflitta al
condannato con la sentenza della Corte di Appello di Roma del 28 luglio 2010, divenuta
irrevocabile il 16 novembre 2011, sostituendo detta pena con quella di anni cinque, mesi sei e

per il quale era stata pronunciata la condanna
1.2 Propone ricorso avverso la detta ordinanza PRATI Rossano deducendo, con unico
motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità del provvedimento impugnato in quanto il
Tribunale, anzichè ricalcolare la pena sulla base delle modifiche intervenute nella forbice
edittale del reato di spaccio di sostanza stupefacenti nella ipotesi disciplinata dal 4° comma
dell’art. 73 D.P.R. 309/90, come ripristinato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14
del 12.2.2014, aveva rideterminato la pena sostituendosi al giudice di merito ed effettuando
una rivalutazione dei fatti preclusa al giudice dell’esecuzione.
Ha presentato conclusioni scritte il Procuratore Generale presso questa Corte Suprema,
instando per l’annullamento dell’ordinanza con rinvio al giudice a quo.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato. La questione sottoposta al vaglio di questa Corte Suprema, investe
– come correttamente sottolineato dal P.G. nelle proprie conclusioni scritte – il tema, per la
verità non nuovo, degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che abbia dichiarato
illegittima una norma sanzionatoria sul giudicato, dovendosi in tali ipotesi verificare l’eventuale
applicabilità del regime sanzionatorio di maggior favore (cd. “Lex mitiorn anche in relazione a
condotte per le quali sia intervenuta una sentenza di condanna divenuta irrevocabile: problema
rappresentato dal fatto che la dichiarazione di incostituzionalità non concerne una ipotesi di
abolitio criminis, bensì una diversa e meno grave misura della pena, rispetto a quella irrogata
in base alla legge precedente dichiarata incostituzionale, la quale diviene illegale, così come
prospettato dalla difesa dell’odierno ricorrente.
2. Senza la necessità di dover ripercorrere i diversi orientamenti che nel tempo hanno
affrontato questioni analoghe, ritiene il Collegio di richiamare la pronuncia delle SS.UU.
29.5.2014 n. 42848, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260698. Con la detta decisione le S.U. hanno
chiarito quali siano i limiti che il giudicato incontra rispetto ad una dichiarazione di illegittimità
costituzionale di norma diversa da quella incriminatrice incidente sul trattamento punitivo,
affermando che nel caso in cui la pena irrogata dal giudice della cognizione non sia stata
interamente eseguita, “il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del

1

giorni venti di reclusione ed C 20.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73 comma 4 D.P.R.

condannato pur se il provvedimento correttivo da adottare non è a contenuto predeterminato,
potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i
limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate
incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel
tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente «medio
tempore» approvate dal legislatore”.
3. In tale solco si colloca poi altra decisione della Consulta (Sent. 210/13) secondo la

convenzionale della norma sanzionatoria applicata dal giudice della cognizione (risolventesi ex
art. 117 comma 1° Cost. in illegittimità costituzionale della norma medesima), il meccanismo
indicato dall’art. 30 comma 4° della L. 87/53 consente di operare, nell’ambito dell’incidente di
esecuzione, la parziale modifica del giudicato.
4.

E da ultimo, con altra recente pronuncia delle S.U. è stata esclusa l’abrogazione

implicita da parte dell’art.673 cod. proc. pen. dell’art. 30 comma 4 0 della L. 87/53 relativo alla
cessazione dell’esecuzione e di tutti gli effetti penali di una sentenza di condanna irrevocabile
in applicazione di norma dichiarata incostituzionale, attesa la natura processuale della norma
codicistica (a differenza della natura sostanziale del menzionato art. 30/4) che regolamenta il
procedimento di esecuzione per l’ipotesi di abrogazione o declaratoria di incostituzionalità di
una disposizione incriminatrice, evidenziandosi il concetto della legalità della pena – ed in
particolare di quella che incide sulla libertà personale – la quale deve essere costantemente
garantita in tutti i suoi momenti dalla irrogazione fino alla sua esecuzione (S.U. 24.10.2013 n.
18821, Ercolano, Rv. 258650).
5. Alla stregua di tali basilari principi osserva che il Collegio che nel caso in esame la pena
del reato di spaccio di stupefacenti di tipo cd. “leggero” (già contenuta nel comma 4° dell’art.
73 D.P.R. 309/90 ripristinato sulla scorta della richiamata decisione n. 32/14 della Corte
Costituzionale) si trova collocata in una forbice edittale compresa tra i due ed i sei anni di
reclusione e tra C 5.164,00 ed C 77.468,00 di multa; il giudice della cognizione, nell’irrogare la
pena in concreto aveva tenuto conto della legge vigente a quel momento che, omologando i
vari tipi di stupefacenti, prevedeva una pena compresa tra i sei ed i venti anni di reclusione e
tra i 26.000 e i 260.000 euro di multa.
6. La questione prospettata dalla difesa del PRATI in sede di esecuzione, ed oggi oggetto
di ricorso, concerneva l’ambito di intervento del giudice dell’esecuzione e, più in particolare, il
punto relativo ai poteri di rideterminazione della pena: se limitati all’eliminazione della
porzione di pena divenuta illegale ovvero liberamente esercitabili.
7. Nel caso de quo il Tribunale ha scelto di seguire la strada della eliminazione della pena
divenuta illegale perché eccedente il massimo, attestandosi, poi, su una quota sostanzialmente
prossima al massimo edittale previsto nella nuova formulazione dell’art. 73/4 D.P.R. 309/90.
2

quale, a fronte del sopravvenuto accertamento – ad opera della Corte EDU – dell’illegittimità

8. Tale criterio, come osservato rettamente dal Procuratore Generale, non è condivisibile
perché agendo in tal modo tutte le pene illegali superiori ai sei anni di reclusione in fase di
esecuzione verrebbero riportate nell’ambito di una legalità standardizzata corrispondente ai sei
anni di reclusione e dunque irragionevole, perché basata su livelli immodificabili e
predeterminati.
9. Deve seguirsi, invece, 44a4-vedefe-s43~141 il criterio della rideterminazione della pena
nell’alveo della forbice edittale come ripristinata per effetto della sentenza della Corte

rispettando i criteri irrinunciabili della proporzionalità ed adeguatezza, in ossequio ai parametri
di cui all’art. 133 cod. pen.
10. Nella fattispecie in esame la motivazione adottata dal giudice dell’esecuzione omette di
dare conto della corrispondenza del nuovo computo della pena a quei principi di
proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza costituzionalmente garantiti nel pieno rispetto
della nuova legge mitigatrice suscettibile di applicazione retroattiva ai sensi dell’art. 2 comma
4° cod. pen.
11. Sulla base di tali indicazioni l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale
di Roma che si atterrà, nella determinazione della pena, ai principi di diritto come sopra
enunciati.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2015
Il Consi liere estensore

Il Presidente

Costituzionale, in quanto il giudice dell’esecuzione recupera il potere di stabilire la pena

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