Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31388 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31388 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Testarelli Andrea, quale legale rappresentante SVE s.p.a.
avverso l’ordinanza di 7/10/2014
del Tribunale di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano;
udito il P.M.,in persona del Sost.Proc.Gen.Sante Spinaci, che
ha concluso, chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Gianluca Riitano, che ha concluso
Chiedendo raccoglimento dèl ricorso.

1

Data Udienza: 22/04/2015

1.11 Tribunale di Roma, con ordinanza del 07/10/2014, rigettava l’appello proposto da S.V.E.
s.p.a., in persona del legale rappresentante Andrea Testarelli, avverso il provvedimento del
G.i.p. del Tribunale di Roma in data 20/6/2014, con il quale era stata respinta l’istanza di
revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
Premetteva il Tribunale che il sequestro era stato disposto nei confronti di Angelo Capriotti,
quale amministratore di fatto della S.V.E., indagato per i reati di cui agli artt.8 e 10 quater
D.L.vo 74/2000.
Tanto premesso, riteneva il Tribunale infondata la tesi difensiva, volta a sostenere che gli
importi di cui alla fattura n.2 del 2/5/2009 (ritenuta secondo l’ipotesi accusatoria relativa ad
operazioni inesistenti) fossero reali, tanto che la società SIE Costruzioni Generali, dichiarata
fallita, aveva ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo nei confronti di S.V.E. s.p.a.
Il procedimento di ingiunzione non era certo idoneo a dimostrare l’esistenza del rapporto
debito credito tra la SIE e la SVE e quindi a confutare gli accertamenti della G.d.F. in ordine
alla fittizietà delle operazioni di cui alla fattura n.2 (fattura annotata solo nel libro giornale e
non nelle altre scritture contabili).
La fattura costituiva documento di limitato valore probatorio, provenendo dalla stessa parte
che se ne avvale, ed aveva rilevanza solo nella fase monitoria del procedimento, dovendo
l’esistenza del credito essere dimostrata dall’opposto con gli ordinari mezzi di prova.
Né argomenti in ordine all’insussistenza del fumus potevano essere tratti dalla provvisoria
esecutività del decreto ingiuntivo, trattandosi di ordinanza interinale destinata ad esaurirsi
con la sentenza del rito ordinario, instaurato a seguito dell’opposizione.
2.Ricorre per cassazione S.V.E. s.p.a., in persona del legale rappresentante.
Dopo una premessa riepilogativa della vicenda cautelare, denuncia con il primo motivo
l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché la mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Il provvedimento cautelare era stato emesso sul presupposto che Angelo Capriotti, quale
amministratore di fatto della SVE, attraverso la fattura n.2/2009 relativa ad operazioni
inesistenti, avesse generato un credito iva utilizzato in compensazione nel mod.F24.
Con l’appello era stata contestata l’esistenza del fumus e del periculum in mora, essendo
stato ottenuto, dal curatore del fallimento SIE Costruzione, decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo.
Il Tribunale ha rigettato l’appello, con motivazione illogica e contraddittoria e che non tiene
conto della disciplina del procedimento monitorio.
La provvisoria esecuzione viene concessa non solo sulla base della documentazione allegata
alla richiesta di decreto ingiuntivo, ma anche delle argomentazioni, allegazioni, eccezioni e
deduzioni svolte dalle parti; vi è quindi una preliminare delibazione.
L’ordinanza con la quale è concessa la provvisoria esecuzione ha, inoltre, una sua intrinseca
stabilità e definitività, non essendo impugnabile, né modificabile o revocabile.
E, nel caso in cui non sia stata data al momento dell’emissione dl decreto ingiuntivo, può
essere concessa successivamente ex art.648 cod.proc.civ., quando l’opposizione non sia
fondata su prova scritta ovvero sui documenti di cui agli artt.2699 e ss.cod.civ., ovvero ancora
quando l’opposizione non sia di pronta soluzione.
Essa può quindi essere concessa in presenza del fumus boni iuris, vale a dire la probabile
fondatezza della domanda. Il Giudice civile compie cioè le stesse valutazioni del giudice penale
in tema di misure cautelari.
Avendo il Giudice civile sul medesimo fatto già espresso le sue valutazioni, il Giudice penale
non può che conformarsi ad esse, pena un contrasto insanabile.
Deve ritenersi, conseguentemente, insussistente il fumus del reato ipotizzato, essendo
stato accertato dal Giudice civile l’esistenza del rapporto di provvista sottostante alla fattura.
Manca poi completamente la motivazione in ordine al periculum in mora.
Peraltro, stante la concessa provvisoria esecuzione, è da escludere che le conseguenze del
reato possano essere aggravate o protratte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2

RITENUTO IN FATTO

2. Correttamente il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti.
Dagli accertamenti della G.d.F. era emerso, infatti, che la fattura n.2 del 5/5/2009, emessa
dal Consorzio SVE, fosse relativa ad operazioni inesistenti.
Dal ricorrente non si contestano siffatti accertamenti e, del resto, sul punto si è formato il
giudicato cautelare.
Non c’è dubbìo, invero, che in tema di mìsure cautelar’ reali i distinti procedimenti
incidentali previsti dall’art.322, giudizio di riesame, e dall’art.322 bis c.p.p., appello, abbiano
funzioni e limiti diversi. Pertanto, non possono essere dedotti con l’appello, motivi che
avrebbero dovuto essere proposti con il riesame e ciò sia che il procedimento del riesame
non abbia avuto successo per l’istante sia che non sia stato neppure proposto, in quanto
l’esaurirsi dì una fase procedimentale determina preclusioni endoprocessuali rigide” (ex multis
Cass.pen. Sez.3 n.1708 del 16/1/2003).
Più specificamente, è stato ribadito che nel giudizio di appello proposto contro un sequestro
preventivo, possono essere dedotte solo questioni diverse da quelle relative alla legittimità
dell’imposizione del vincolo, attinenti alla persistenza delle ragioni che giustificano il
mantenimento della misura, mentre il riscontro del “fumus delicti” è riservato alla fase del
riesame. Ne consegue l’inammissibilità del gravame che deduca per la prima volta in sede di
appello motivi inerenti unicamente alla carenza, nel momento genetico della misura, delle
condizioni previste dall’art.321 cod.proc.pen. (cfr. Cass.pen.sez. 6 n.5016 del 26/10/2011).
Ed è altrettanto indubitabile che “una volta esaurita la fase del riesame (ivi compreso
l’eventuale ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale) o anche in pendenza della
stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame, con implicito
riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura cautelare reale disposta e della
sua conformità alle risultanze procedimentali o processuali, è possibile richiedere la revoca di
detta misura, solo ove sia modificato il quadro processuale per “fatti sopravvenuti”
(cfr.Cass.sez.3, 21.6.1994 n.1512; conf.Cass.pen.sez.3 n.1708 del 13.11.2002) o vengano
comunque dedotti elementi nuovi, per tali dovendosi intendere sia quelli preesistenti, ma non
esaminati, sia quelli sopravvenuti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, “Il
giudicato cautelare copre soltanto il dedotto e non anche il deducibile e non riguarda le
questioni che, pur dedotte, non siano state decise (cfr.ex multis Cass.pen.sez.2 n.35482 del
12/7/2007; conf.Cass.sez.4 n.4273 del 28/11/2008; Cass.pen.sez.4 n.32929 del 4/6/2009;
Cass.pen.sez.6 n.43213 del 27/10/2010; v.anche Cass.sez.un.n.18339 del 31/3/2004).
2.1. Con l’appello, proposto dalla SVE, in persona del legale rappresentante, veniva dedotto
come fatto nuovo sopravvenuto o, comunque, non esaminato l’emissione da parte del Giudice
civile di decreto ingiuntivo,dichiarato poi provvisoriamente esecutivo, richiesto dalla Curatela
del Fallimento S.I.E. nei confronti dalla medesima SVE.
Come già osservato dal Tribunale il procedimento di ingiunzione in sede civile non è idoneo
ad accertare l’esistenza del credito ed a porsi quindi in insanabile contrasto con la misura
cautelare reale disposta nel procedimento penale.
Trattasi, invero, di valutazioni di tipo sommario, i cui effetti sono destinati ad esaurirsi con la
sentenza che provvede sulla opposizione (cfr. Cass. 13765/2006; Cass. 2109/1996).
Peraltro i due procedimenti sono fondati su presupposti diversi e perseguono finalità distinte,
essendo il procedimento per decreto ingiuntivo posto a garanzia patrimoniale di un credito di
natura privatistica, mentre il sequestro penale è volto ad evitare che il reato sia portato ad
ulteriori conseguenze o che il bene venga disperso in previsione della confisca.
Va, infine, osservato che l’opposizione proposta da SVE avverso il decreto ingiuntivo non
poteva che essere di tipo “formale”; non potendosi ipotizzare, certamente, unglinea difensiva,
volta a contestare l’esistenza della prestazione, che avrebbe significato una sostanziale
ammissione del reato ipotizzato (emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti).
2.2. Quanto al periculum, è pacifico che, trattandosi di sequestro finalizzato a confisca per
equivalente, non sia necessaria alcuna dimostrazione in proposito.
Come ribadito anche di recente da questa Corte, in caso di sequestro preventivo finalizzato
alla confisca per equivalente spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino
nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante

3

1.11 ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

sia la valutazione del “periculum” in mora- che attiene ai requisiti del sequestro preventivo
impeditivo di cui all’art.321 comma 1 cod.proc.pen.- sia quella inerente alla pertinenzialità dei
beni (cass. sez. 2 n.31229 del 26/6/2014, Rv. 260367).
Sicchè la revoca dote sequestro preventivo in relazione a fattispecie di reato per le quali è
prevista la confisca obbligatoria è possibile soltanto nell’ipotesi nella quale vengano a mancare
gli elementi costituenti il fumus commissi delicti” e non per il venir meno delle esigenze
cautelari, atteso che in tali ipotesi la pericolosità della “res” non è suscettibile di valutazioni
discrezionali, ma è presunta dalla legge (Cass. sez. 3 n.43945 del 25/6/2013, Rv. 257418).
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna di ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 22/04/2015
Il Consigliere est.

Il presidente

P. Q. M.

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