Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31379 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31379 Anno 2015
Presidente: FRANCO AMEDEO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEPE MADDALENA N. IL 10/04/1958
avverso la sentenza n. 17219/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
19/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. *Pi7ek o §chz
che ha concluso per _e, e_-„-)0…,~h-2d)-ke oece seìl&eeei

U o, per la parte civile, l’Avv
Udite itdifensor Avv.

, .

Data Udienza: 28/05/2015

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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’11.5.2006 il Tribunale di Nocera Inferiore, ritenuta
la continuazione, in concorso delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla aggravante contestata, condannava PEPE MADDALENA alla pena di
anni uno di reclusione ed euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese
processuali, con pena sospesa e ordine di demolizione delle opere abusive, previo
dissequestro e restituzione all’avente diritto, a cura della P.G. operante e interdizione dellTimputata interdetta dai pubblici uffici per la durata di anni due-

A) all’art. 44 lett. C, L. 380/2001 (ex art.20 lett. C L. n. 47 del 1985)-,
perché, in qualità di proprietaria committente aveva eseguito, in esecuzione di un
medesimo disegno criminoso, in totale difformità della concessione edilizia n.
12/2102 e della concessione edilizia in variante n. 92/2002, le seguenti opere
abusive: • completamento del piano seminterrato in ogni sua parte, composto da
un ampio salone tutto arredato con tavoli e sedie, da un vano adibito a bagno con
impianti igienico sanitario e n. 2 docce, un vano adibito a spogliatoio. La superficie
interna complessiva e pari a circa mq. 206,00 con un volume pari a circa mc.
630,00 nonché una superficie porticata antistante di circa mq. 38,00, con un’altezza complessiva interna di mt. 2,70; – completamento del piano rialzato con un
ampio spazio di ingresso adibito a salone, un’ampia stanza adibita a cucina soggiorno, n. 3 camere da letto un disimpegno, n. 2 locali bagni ed un profondo corridoio ripostiglio posto sotto la scala interna che consente l’accesso al sottotetto
soprastante, concretando una superficie interna pari a circa mq. 185,00, una superficie esterna di circa mq. 42,00 (la terrazza suddetta ed un balcone laterale)
ed un volume complessivo pari a circa mc. 590,00; – il piano sottotetto a falda
inclinata, con una superficie interna di circa mq. 196,00 e superficie esterna pari
a circa mq. 13,00. L’altezza interna di questo ambiente è risultata di mt. 2,30 allo
stato grezzo, privo di assetto, con infissi in legno esterni ed interni, sprovvisto di
impianto idrico, elettrico, igienico sanitario e d’intonaco alle pareti.
L’intero manufatto risulta, ad eccezione del sottotetto e della scala interna
in piano rialzato, ultimato, rifinito, nonché arredato ed abitato dal nucleo familiare
della Pepe; l’area circostante il fabbricato è stata interessata ad ulteriori lavori edili
consistenti nella realizzazione: – di un muro perimetrale ad altezza variabile da
mt. 0,30 a circa mt. 1,70 ed in parte a contenimento del terrapieno retrostante,
per uno sviluppo longitudinale di circa mt. 37,00, lo stesso risulta rifinito con pietrame a faccia vista di diverso tipo; – di un piazzale mediante movimento di terra,
massetto livellante e soprastante lastricato in pietra del Cilento; – di una scala di
accesso al primo livello scoperta e rifinita in ogni sua parte delle dimensioni in
pianta di mt. 2,00 x 6,20; – di un muro di contenimento in blocchi di lapil cemento

La Pepe era imputata dei reati di cui:

con sovrastante cordolo in calcestruzzo atto a contenimento del terrapieno retrostante il fabbricato, a formarsi sinusoidale pari ad una lunghezza di mt. 32,00 ed
una altezza variabile da mt. 1,20 a mt. 1,70.
Il fabbricato insiste su suolo distinto in catasto al foglio 11 particella n. 313
e ricade in zona omogenea E agricola del P.R.G. approvato, ed in zona omogenea
E2 della variante di adeguamento al P.U.T. ai sensi della legge regionale 35/87;
l’area ricade altresì in zona soggetta a vincolo ambientale.
B) OMISSIS

opere di cui al capo A) senza averne fatto previa denuncia al competente Sportello
Unico istituito presso il Comune;
D) agli artt. 93 e 95 D.P.R. 380/01 per aver eseguito i lavori relativi alle
opere di cui al capo A), in zona sismica senza farne preventivo avviso scritto allo
Sportello Unico del Comune, omettendo il contestuale deposito dei progetti presso
quest’ultimo Ufficio ed omettendo di attenersi ai criteri tecnico-costruttivi prescritti
per dette zone.
E) agli artt. 81 cpv.. 349 comma I e 2 c.p. e art. 61 n. 2 c.p., perché la
Pepe in qualità di proprietaria committente e custode giudiziaria di dette opere,
nominata in data 11/06/2003, violava i sigilli apposti in pari data dalla A.G. per
assicurare la conservazione e l’identità delle opere, realizzando l’intervento dì cui
al capo A) punto 2).
F) all’art. 163 L. 490/99 (ex 1 sexies L. 431/85, in relazione alla legge
regionale n. 35/87), per aver eseguito le opere di cui al capo A) in zona vincolata,
in assenza del nullaosta dell’autorità preposta alla tutela del vincolo;
G) OMISSIS
Fatti accertati in Nocera Superiore fino al 06/04/2004.

2. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 4.4.2008, in parziale riforma, scisso il vincolo della continuazione ritenuto in primo grado, dichiarava non’ doversi procedere nei confronti della Pepe in ordine ai capi B) e G) della
originaria rubrica, perché estinti per prescrizione. Rideterminava per i restanti
reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, in mesi undici e gg. 10 di reclusione ed euro 285,00 di multa. Confermava nel resto l’impugnata sentenza, che
passava in giudicato 1’11.07.2008.
La Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello, nella fase
esecutiva, dava incarico all’ing. Carlo Cimmino per determinare i costi della demolizione e la condannata proponeva incidente di esecuzione, rigettato in data 3 giugno 2013 dalla Corte di Appello di Salerno, previa valutazione di illegittimità del
permesso di costruzione in sanatoria rilasciato dal Comune di Nocera Superiore in

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C) agli artt. 65 e 72 D.P.R. 380/01, per avere iniziato la costruzione delle

data 20 marzo 2013, a seguito di annullamento in autotutela emesso in data 24
settembre 2012 del provvedimento di diniego del condono del 20 gennaio 2009.

3. A seguito di tale pronuncia, il difensore della Pepe in data 11 luglio 2013
presentava dinanzi alla Corte di Appello di Napoli richiesta di revisione della
sentenza di condanna per motivi sostanzialmente analoghi quelli fatti valere
dinanzi al giudice dell’esecuzione.
La Corte di Appello di Napoli con ordinanza in data 18 luglio 2013, ritenuta

dell’esecuzione, fissando la trattazione del giudizio.
Nel corso di tale giudizio, celebrato in contumacia dell’imputata, il Procuratore Generale concludeva per il rigetto della richiesta di revisione; in via subordinata, richiedeva disporsi accertamenti istruttori mediante conferimento di perizia
e comunque revoca della sospensione della demolizione, in quanto un eventuale
inserimento nel P.U.T. del manufatto, ove mai provato, avrebbe determinato a suo
avviso il proscioglimento dell’imputata dal solo capo F, ma non anche dai residui
reati ed, in particolare, dall’art. 44 lett. c) DPR n. 380/2001. Chiedeva, inoltre,
dichiararsi la competenza funzionale del G.E. e non della Corte di Appello in sede
di revisione di ogni questione sulla demolizione.
La Corte di appello di Napoli, con pronuncia del 19.11.2013, rigettava la
richiesta di revisione e revocava la sospensione dell’esecuzione della sentenza.

4. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione a mezzo
del proprio difensore di fiducia Pepe Maddalena, che ha dedotto:
a. Manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
nella parte in cui si ritiene il manufatto non condonabile per illegittimità del permesso per costruire in sanatoria.
La ricorrente contesta la parte della motivazione del provvedimento impugnato in cui si rigettano le argomentazioni vertenti sul fatto che la prova nuova
fosse costituita dal permesso di costruire in sanatoria per condono edilizio n. 97
rilasciato dal Comune di Nocera Superiore il 20.3.2013.
La motivazione sarebbe manifestamente illogica laddove ha considerato il
manufatto non condonabile per illegittimità di tale permesso per costruire in sanatoria.
b. Manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
nella parte in cui si ritiene il manufatto sottoposto a vincolo paesistico.
c. Manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
nella parte in cui si ritiene il manufatto non condonabile per il superamento dei
limiti di volumetria assentibili ex art. 32 co. 25 della legge 326/03;
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l’istanza di revisione non manifestamente infondata, disponeva la sospensione

ci. Manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
nella parte in cui si ritiene il manufatto non condonabile per mancato rispetto del
termine di ultimazione dei lavori ex art. 32 co. 25 legge 326/03.
e. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità
ex art. 606 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 238 co. 2bis cod. proc. pen.
e all’art. 468 cod. proc. pen.

Chiede, pertanto, che questa Corte Suprema voglia annullare la sentenza

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e pertanto il
proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2.

L’istituto della revisione – va ricordato – non si configura come

impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo
definitamente concluso non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce
un mezzo “straordinario” di impugnazione, che consente, in casi tassativi, di
rimuovere gli effetti della cosa giudicata, dando priorità alle esigenze di giustizia
sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici. La risoluzione del
giudicato, quindi, non può avere come presupposto una diversa valutazione del
dedotto o un’inedita disamina del deducibile, bensì l’emergenza di nuovi elementi
estranei e diversi da quelli definiti nel processo (sez. 6, n. 18338 del 10.3.2003,
Serpico, rv. 227242).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, integra la manifesta
infondatezza della richiesta di revisione – che ne determina l’inammissibilità – l’evidente inidoneità delle ragioni che la sostengono e la fondano a consentire una
verifica circa l’esito del giudizio: requisito che è tutto intrinseco alla domanda in
sé e per sé considerata, restando riservata alla fase del merito ogni valutazione
sulla effettiva capacità delle allegazioni a travolgere, anche nella prospettiva del
ragionevole dubbio, il giudicato (cfr. sez. 4, n. 18196 del 10.1.2013; sez. 6, n.
18818 del 8/3/2013 rv. 255477; sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010 rv. 248463).
Dunque, nella pronuncia spettante alla Corte d’Appello non possono assumere rilevanza regole di giudizio appartenenti alla fase del merito, altrimenti derivandone un’indebita sovrapposizione tra momenti procedimentali che il legislatore ha inteso categoricamente differenziare (cfr. sez. 6, n. 2437 del 3.12.2009 .
dep. il 20.1.2010 rv. 245770).

emessa con l’adozione dei provvedimenti consequenziali.

3. Orbene, nel caso di specie, è proprio il contenuto intrinseco della domanda ad apparire inidoneo a vincere la forza del giudicato così, come del resto,
emerge dalle stesse argomentazioni esposte dalla Corte territoriale.
In particolare, i giudici napoletani, nel pronunciarsi circa l’attitudine del
novum addotto a sostegno della richiesta di revisione a porre in discussione il
fondamento della pronuncia irrevocabile di condanna resa nei confronti della Pepe,
hanno rilevato, facendo buon governo della richiamata giurisprudenza di questa
Corte Suprema, che la valutazione se l’inclusione di un’area nel P.U.T. sia equipol-

da giudicato, non sindacabile in sede di revisione, in cui è possibile sottoporre a
riesame soltanto le questioni di fatto erroneamente poste a fondamento della
decisione adottata dal giudice della cognizione (così le richiamate sez. 5 n. 37268
del 15.6.2010, Caruson, rv. 248636; sez.3, n. 43421 del 28.10.2010, P., rv.
248726). Corretta appare la conseguenza dedotta che il mutato orientamento
dell’ufficio tecnico comunale che, in un primo tempo, aveva rigettato l’istanza di
condono edilizio proposta dalla Pepe perché il manufatto era stato realizzato su
area sottoposta a vincolo paesistico, non integra la prova nuova richiesta, ai sensi
dell’art. 630 cod. proc. pen., per determinare l’accoglimento di una richiesta di
revisione.
La Corte territoriale dà peraltro atto, con motivazione logica e congrua, che
a tali conclusioni è pervenuta sia perché il vincolo sussiste, essendo stato realizzato il manufatto in zona di bosco ceduo e macchia mediterranea, che deve ritenersi vincolata, ai sensi della legge Galasso, la cui normativa è confluita nel codice
dei beni culturali e del paesaggio; sia perché, contrariamente a quanto dedotto
nella richiesta di revisione, il manufatto non è condonabile per la sua volumetria
superiore ai 750 metri cubi assentibili, come accertato dal consulente del P.G., ing.
Címmino, che ha determinato in mc. 1084 la volumetria da demolire. Ed infatti
appare condivisibile l’affermazione che, contrariamente a quanto dedotto nella richiesta di revisione, il condono, per avere efficacia sanante, non deve essere riferito ad una volumetria superiore ai 750 metri cubi; limite, questo, non riferito alle
sole porzioni di ampliamento del fabbricato riportate nel permesso di costruire in
sanatoria, ma alla totalità delle opere che, nella fattispecie, furono oggetto di contestazione, in quanto ritenute in totale difformità rispetto a quanto autorizzato in
base alle originarie concessioni (tra l’altro -viene ricordato nel provvedimento impugnato- dichiarate illegittime dalle stesse autorità comunali con provvedimento
del 1 giugno 2004).
Peraltro, la Corte napoletana, al di là delle affermazioni in ordine alla data
di ultimazione dei lavori che evidentemente risultano ultronee, ha logicamente
ritenuto dirimente la circostanza che il permesso di costruire in sanatoria rilasciato
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lente o meno ad un vincolo paesistico costituisce una questione di diritto, coperta

dal Comune di Nocera Superiore in data 20 marzo 2013 fosse illegittimo, sia perché il manufatto non era condonabile, sia perché era stato realizzato in zona sottoposta a vincolo paesistico.

4. La Corte d’Appello di Napoli ha correttamente ritenuto, infine, che nella
fattispecie apparisse superfluo affrontare la questione, prospettata dal Procuratore
Generale, circa la competenza funzionale sulla demolizione del manufatto, sia perché tale pena accessoria costituiva parte integrante della sentenza soggetta all’o-

la sospensione condizionale della pena non subordinandola alla demolizione del
manufatto e tale condizione, prevista dall’art. 165 cod. pen., non può -in ogni
caso- essere applicata d’ufficio, per il vincolo del giudicato e per il divieto della
reformatio in peius (sul punto viene richiamata la pronuncia di questa sez. 3 , n.
30557 del 15.7.2011, Di Martino, rv. 251041).

5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen,
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al
pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 28 maggio 2014
igliere esti sore

Il Presidente

dierno processo di revisione, sia perché il giudice della cognizione aveva concesso

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