Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31377 del 14/01/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 31377 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI STEFANO GIOVANNI N. IL 12/01/1967
GENOVESE LORENZO N. IL 18/09/1976
RANDO FEDERICO N. IL 28/08/1986
TARANTO CARLO N. IL 17/02/1975
avverso la sentenza n. 1754/2013 CORTE APPELLO di MESSINA, del
29/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in ersona del Dott-r-‘ 4 – N
che ha concluso per
• C (3.9-Z’o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/01/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 29 gennaio 2014 la Corte di Appello di Messina confermava la
sentenza del Giudice per l’udienza Preliminare del Tribunale di detta città del 19 febbraio 2013
emessa – per quanto qui rileva – nei confronti di DI STEFANO Giovanni, GENOVESE Lorenzo,
TARANTO Carlo e RANDO Franco, imputati, i primi tre, del reato di associazione per delinquere
finalizzata allo spaccio di cocaina (art. 74 1°, 2° e 3° comma D.P.R. 309/90 – capo 42 della

(art. 73 D.P.R. 309/90 – capi 6, 16, 18, 20, 24, 25, 26, 35, 39 e 40 della rubrica) ed il RANDO
soltanto, del reato di cui all’art. 73 del menzionato D.P.R. (capo 33 della rubrica) – fatti tutti
commessi tra il marzo e l’agosto 2008. Con la detta sentenza tali imputati erano stati,
rispettivamente, condannati, previo riconoscimento dell’ipotesi attenuata dì cui al comma 5°
dell’art. 73 D.P.R. 309/90 e dell’ipotesi attenuata di cui al comma 6° dell’art. 74 stesso D.P.R.
alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione ed C 11.000,00 di multa, con esclusione della
recidiva (il DI STEFANO); alla pena di anni tre di reclusione ed C 10.000,00 di multa ritenuta
l’ipotesi di cui al comma 5° dell’art. 73 D.P.R. 309/90 ed al comma 6° dell’art. 74 stesso D.P.R.
prevalente sulla recidiva reiterata specifica infraquinquennale (GENOVESE); alla pena di anni
quattro di reclusione ed C 12.000,00 di multa, ritenuta l’ipotesi di cui al comma 5° dell’art. 73
D.P.R. 309/90 al comma 6° dell’art. 74 stesso D.P.R. (TARANTO); alla pena di anno uno e mesi
otto di reclusione ed C 5.000,00 di multa, ritenuta l’ipotesi di cui all’art. 73 comma 5° D.P.R.
309/90, con esclusione della recidiva e con il beneficio della sospensione condizionale
(RANDO).
1.2 Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione tutti i predetti imputati a
mezzo dei rispettivi difensori fiduciari. In particolare, la difesa dell’imputato DI STEFANO
deduce, con un primo motivo, in riferimento al delitto associativo allo stesso contestato al capo
42), violazione di legge per inosservanza di norme processuali e per erronea applicazione della
legge penale e difetto di motivazione in punto di conferma del giudizio di responsabilità,
lamentando che la Corte territoriale, acriticamente uniformandosi alle argomentazioni svolte
dal primo giudice, non avrebbe tenuto nel dovuto conto le specifiche censure sollevate con
l’atto di appello in ordine alla inconfigurabilità o insussistenza del delitto associativo per
l’assoluta carenza degli elementi probatori e, in particolare in ordine alla asserita inidoneità
delle intercettazioni a giustificare il vincolo di stabilità dell’associazione e la sua organizzazione
sul territorio.
1.3 La difesa del ricorrente GENOVESE lamenta la violazione di legge per inosservanza
della legge pena sotto il duplice profilo del mancato riconoscimento dell’uso personale da parte
dell’imputato, tossicodipendente da antica data e detentore della sostanza solo per fini di
consumo proprio, e del mancato riconoscimento della ipotesi attenuata di cui al 5° comma
dell’art. 73 D.P.R. 309/90.

rubrica) e per numerosi episodi di detenzione illecita a fini di spaccio della medesima sostanza

1.4 La difesa del ricorrente TARANTO lamenta l’inosservanza della norma penale per avere
la Corte territoriale confermato la pena inflitta dal primo giudice pur a fronte delle modifiche
normative intervenute con il D.L. 146/13 che aveva trasformato la circostanza attenuante della
lieve entità del fatto di cui al comma 5 0 dell’art. 73 D.P.R. 309/90 in ipotesi autonoma di reato
con mutamento, anche, della forbice edittale rispetto a quella originariamente contemplata dal
detto art. 73/5 D.P.R. 309/90: in particolare la difesa lamenta la sopravvenuta illegalità della
pena conseguente alle dette modifiche normative, avendo peraltro confermato la pena base di

al massimo della pena edittale detentiva prevista nel caso di fatti di lieve entità disciplinati dal
ricordato comma 5 0 dell’art. 73.
1.5 Infine, la difesa dell’imputato RANDO lamenta, con un primo motivo, l’inosservanza
della legge processuale penale e della legge penale in punto di mancato riconoscimento della
destinazione dello stupefacente all’uso personale, senza, peraltro, che la Corte di Messina
fornisse una adeguata motivazione in ordine alle specifiche censure sollevate dall’appellante
tendenti a dimostrare come i due episodi ascritti al RANDO andassero inquadrati in altrettante
ipotesi disciplinate dall’art. 75 D.P.R. 309/90. Con il secondo motivo lamenta il difetto assoluto
di motivazione, del tutto apparente, in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio in via preliminare che i ricorsi del DI STEFANO, del GENOVESE e del
RANDO sono da ritenersi inammissibili perché manifestamente infondati.
1.1 Invero, per quanto riguarda il DI STEFANO, le censure concernono esclusivamente la
conferma della sua colpevolezza per il reato associativo: le motivazioni della Corte territoriale,
perfettamente in linea con quelle ancor più articolate del primo giudice, forniscono la
dimensione esatta non solo della struttura associativa operante nel complesso eoliano. La
Corte non solo dà conto dei numerosi e frequenti contatti tra il DI STEFANO e i suoi sodali (in
particolare il TARANTO, TARANTO Carlo, DE LOSA Christian, RECUPERO Salvatore), ma anche
dei viaggi compiuti dal DI STEFANO per organizzare l’approvvigionamento dello stupefacente
da destinare al TARANTO per la successiva distribuzione in alcune delle isole Eolie (Salina e
Vulcano); dei viaggi fatti per recuperare il denaro vantato da alcuni degli associati. Vengono
menzionate alcune intercettazioni, non solo telefoniche, che hanno consentito alla Corte
distrettuale di confermare in termini di assoluta certezza l’appartenenza organica del DI
STEFANO ad una ben radicata associazione con terminali proprio nelle isole Eolie, il suo ruolo
di tramite tra i fornitori e i successivi rivenditori per il trasporto della droga e per la risoluzione
delle pendenze economiche. Inoltre la Corte territoriale ha correttamente evidenziato la non
contraddittorietà tra il pregresso annullamento della misura cautelare personale limitatamente
al reato associativo disposto da questa Suprema Corte “allo stato degli atti” compatibilmente
con il materiale indiziario esistente al momento dell’adozione della misura e la sentenza del
primo giudice basata su ben altri e più significativi elementi (in particolare i ripetuti contatti del

i

anni quattro di reclusione corrispondente, dopo le ulteriori modifiche apportate dalla L. 79/14,

DI STEFANO con altri sodali ed il ruolo rivestito in seno all’organizzazione) non conosciuti o
conoscibili da parte del G.I.P. nella fase iniziale delle indagini. Orbene, a fronte di tale
articolata motivazione che ha anche il pregio di valutare in modo autonomo il materiale
probatorio rispetto alle valutazioni del primo giudice e che certamente non si è sottratta al
compito di rispondere alle censure sollevate con l’atto di appello, la difesa del ricorrente
formula rilievi in punto di fatto, peraltro del tutto inondati là dove afferma che le intercettazioni
non fossero sintomatiche dell’esistenza di una radicata associazione criminale e del pieno e

1.2 Del tutto inconsistenti le censure sollevate dal GENOVESE in riferimento al mancato
riconoscimento della circostanza attenuante (oggi ipotesi attenuata autonoma) di cui all’art.
73/5 D.P.R. 309/90, in quanto già la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la detta
attenuante mitigando la pena. E, quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la
Corte territoriale ha fornito ampia motivazione evidenziando, oltre alla gravità dei fatti, anche
l’esistenza di precedenti penali che rendevano negativo il quadro relativo al trattamento
sanzionatorio.
1.3 Con riferimento al ricorrente RANDO la Corte ha spiegato con motivazione puntuale ed
articolata le ragioni per le quali non potesse versarsi in una ipotesi di detenzione finalizzata al
consumo personale, ancorchè è stato dato atto del fatto che al RANDO erano stati contestati
due soli episodi di illecita detenzione a fini di spaccio e di spaccio di cocaina. La sua
responsabilità è stata desunta dalle intercettazioni puntualmente riportate nel testo della
sentenza impugnata in cui traspare il ruolo del RANDO in relazione ai suoi contatti con
TARANTO Santino (il riferimento è ad una intercettazione del 7 agosto 2008 che vede
protagonisti il TARANTO ed il RANDO), tale da escludere al di là di ogni ragionevole dubbio che
egli fosse un semplice acquirente-consumatore di cocaina.
1.4 E’, invece, fondato il ricorso del TARANTO incentrato esclusivamente sulla illegalità
della pena a seguito delle modifiche intervenute per effetto del D.L. 146/13 che oltre ad
innovare sulla natura della ipotesi lieve, ha anche profondamente mutato l’assetto
sanzionatorio. Vero è che la sentenza impugnata è stata pronunciata quando già era entrato in
vigore il D.L. 146/13; ma dal testo della sentenza impugnata emerge a chiare lettere che la
Corte territoriale non si è posto affatto il problema del mutato quadro sanzionatorio e della
elisione della circostanza attenuante speciale trasformata in fattispecie autonoma di reato.
2. Come è noto il sistema sanzionatorio previgente compendiato nella L. 49/06 è stato
oggetto di una serie rilevante di modifiche in conseguenza del D.L. 146/13 in tema di lieve
entità del fatto (comma 5 0 del D.P.R. 309/90), successivamente convertito nella L. 21.2.2014
n. 10: anzitutto è mutata la natura giuridica della (ormai ex) attenuante di cui al comma 50
dell’art. 73 D.P.R. 309/90 nel senso che la stessa va oggi qualificata come fattispecie
autonoma di reato sottratta, quindi, al bilanciamento tra circostanze ex art. 69 cod. pen. (v.
sul punto Sez. 6^ 8.1.2014, Cassanelli). Quanto all’assetto sanzionatorio è stata fissata una

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consapevole inserimento del DI STEFANO in tale sodalizio.

pena edittale compresa tra un minimo di un anno ed un massimo di anni cinque di reclusione e
tra C 3.000,00 ed C 26.000,00 di multa senza distinzione tra droghe cd. “pesanti” e droghe cd.
“leggere”.
2.1 Nelle more la Corte Costituzionale con la sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 ha
dichiarato la illegittimità degli artt.4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n.272,
convertito in legge 21 febbraio 2006, n.49, che modificavano la disciplina dei commi 1 e 4
dell’art.73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 e abbandonavano i diversi regimi sanzionatori
fissati per le sostanze stupefacenti elencate, da un lato, nelle tabelle I e III (le c.d. “droghe
pesanti”) e quelle elencate nelle tabelle II e IV (le c.d. “droghe leggere”). La nuova disciplina
fissava dunque agli artt.1 e 1-bis dell’art.73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, un unico
trattamento sanzionatorio per tutte le sostanze stupefacenti e tale soluzione è stata censurata
dalla Corte che ha ripristinato il testo anteriore.
2.2 Va, poi, aggiunto che la mitigazione del trattamento sanzionatorio è stata
ulteriormente implementata per effetto della L. 79/14 di conversione del D.L. 36/14 mediante
la fissazione di un minimo di mesi sei di reclusione e di un massimo di anni quattro e quanto
alla pena pecuniaria, di un minimo di C 1.032,00 e di un massimo di C 10.329,00, senza
distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, per effetto di quanto statuito dalla Corte
Costituzionale con la ricordata sentenza n. 32/14.
2.3 Con riguardo al caso di specie, la Corte territoriale, omettendo di riconsiderare il
trattamento sanzionatorio alla luce delle modifiche normative intervenute prima della
pronuncia della sentenza, uniformandosi alla decisione del G.U.P., pur confermando per tutti i
ricorrenti la fattispecie attenuata di cui al comma 5 0 dell’art. 73 D.P.R. 309/90, ha preso in
considerazione quale pena base quella per gli episodi delittuosi-scopo (ritenuti, peraltro, più
gravi rispetto al reato di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90) indicando quale pena-base per il DI
STEFANO quella – già stabilita dal primo giudice – di anni quattro di reclusione ed C 15.000,00
di multa poi aumentata per la continuazione con gli altri reati, di mesi diciassette di reclusione
ed C 2.000,00 di multa e successivamente diminuita di 1/3 per il rito; quanto al GENOVESE,
indicando quale pena-base quella – già stabilita dal primo giudice – di anni tre e mesi nove di
reclusione ed C 14.000,00 di multa, previo riconoscimento della attenuante di cui al comma 50
dell’art. 73 D.P.R. 309/90 prevalente sulla recidiva, aumentando poi la detta pena per la
continuazione con gli altri reati, di mesi nove di reclusione ed C 1.000,00 di multa,
definitivamente diminuita di 1/3 per il rito; quanto al RANDO indicando quale pena-base quella
– già stabilita dal primo giudice – di anni due e mesi tre di reclusione ed C 7.000,00 di multa,
aumentando poi la detta pena per la continuazione con l’altro reato, di mesi tre di reclusione
ed C 500,00 di multa, definitivamente diminuita di 1/3 per il rito; quanto, infine, al TARANTO,
quella – già stabilita dal primo giudice – di anni quattro di reclusione ed C 15.000,00 di multa
poi aumentata per la continuazione con gli altri reati, di mesi ventiquattro di reclusione ed C
3.000,00 di multa e successivamente diminuita di 1/3 per il rito.

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2.4 Così facendo, però, il Giudice dell’appello, oltre a considerare quale reati più grave
quelli di detenzione e spaccio di stupefacenti e non quello legato alla fattispecie associativa
(tanto in relazione alla mutata natura dell’attenuante ed al mutato assetto sanzionatorio
complessivo), si è attestato – quanto al computo della pena base – su livelli edittali o
coincidenti con il massimo consentito in riferimento alla fattispecie attenuata di cui al comma
50 dell’art. 73 D.P.R.309/90 (è il caso dei ricorrenti DI STEFANO e TARANTO) ovvero su livelli
assai prossimi al massimo (è il caso del GENOVESE) ovvero in misura nettamente superiore al

2.5 Si è così realizzata una ipotesi di valutazione sostanzialmente illegale della pena, pur
in presenza dello jus superveniens

più favorevole che avrebbe dovuto indurre ad una

riconsiderazione generale del trattamento sanzionatorio.
2.6 Ciò precisato, si osserva che già all’indomani delle dette modifiche normative questa
Suprema Corte ha affermato il principio (che questo Collegio condivide), secondo il quale
l’illegalità sopravvenuta della pena è rilevabile di ufficio in sede di legittimità anche nel caso di
inammissibilità originaria del ricorso, laddove quella illegalità derivi da una modifica normativa
incidente sui minimi e massimi edittale che risulti più favorevole per l’imputato (in termini Sez.
4^ 13.3.2014 n. 27600, Buonocore). Tale principio assume specifica portata in riferimento ai
ricorsi proposti dal DI STEFANO, dal GENOVESE e dal RANDO.
2.7 Si impone, pertanto, la necessità di annullare la decisione impugnata con trasmissione
degli atti alla Corte di Appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena,
rigettandosi, nel resto, i ricorsi.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena con rinvio
alla Corte di Appello di Reggio Calabria. Rigetta, nel resto, i ricorsi.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2015
Il Presidente

minimo (è il caso del RANDO).

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