Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31371 del 09/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31371 Anno 2015
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ANTONIO GABRIELE N. IL 12/07/1968
avverso l’ordinanza n. 436/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
05/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;
484e/sentite le conclusioni del PG Dott. P>DU civut

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Data Udienza: 09/07/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 5.2.2015 il Tribunale di Napoli – a seguito di istanza ai
sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. nell’interesse dell’indagato
D’ANTONIO Gabriele avverso la ordinanza cautelare emessa dal G.I.P.
distrettuale di Napoli il 7 gennaio 2015 con la quale al predetto è stata

5) limitatamente al delitto di cui all’art. 353bis cod. pen. aggravato
dall’art. 7 I. n. 203/91 – ha annullato detta ordinanza in relazione al capo
5) confermandola nel resto e, in particolare, relativamente all’accusa
(capo 1) di partecipazione al clan dei casalesi – in relazione alle
gestione degli appalti pubblici relativi all’Azienda Sanitaria Sant’Anna e
S. Sebastiano di Caserta – quale imprenditore essendo amministratore
unico della ODEIA Costruzioni s.r.l. e coadiutore nella gestione
sistematica di un settore cruciale per l’organizzazione delle attività
tipiche delle associazioni mafiose, ossia nel controllo degli appalti ed
affidamenti diretti di lavori, nella gestione delle attività necessarie per le
turbative dei pubblici incanti, nonché per le attività ad esse connesse,
con conseguente fruizione da parte del clan di uno strumento di
sostentamento stabile e di apparente provenienza lecita, nonché al capo
3) artt. 81 cpv., 110,112 n. 1, 61 n. 9, 353bis cod. pen., 7 I.n. 203/91
in relazione alla gara di appalto pubblicata con delibera n. 30 del 15
gennaio 2013.
2. Avverso la ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore
dell’indagato deducendo:
2.1.

Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 273 cod.
proc. pen. in ordine agli artt. 416bis, 110-416bis cod. pen., 7 I.n.
203/91 nonché 353bis e 323 cod. pen.

2.1.1. Rispetto all’art. 110-416bis cod. pen., che – secondo il ricorso – sarebbe
stato riconosciuto dalla ordinanza genetica, il Tribunale senza adeguata
considerazione avrebbe posto a base della cautela quello di cui all’art.
416bis cod. pen.. Inoltre, la ordinanza non avrebbe giustificato la
riferibilità del compendio indiziario all’indagato a carico del quale non
sarebbero stati individuati elementi concreti e significativi in ordine alla
partecipazione delittuosa. La individuazione di Franco ZAGARIA quale
soggetto in contatto con il cognato Michele non consentirebbe in alcun
modo di costruire intorno al predetto il momento specifico di contatto tra
interferenze camorristiche e gestione degli appalti presso l’Azienda
1

applicata la misura della custodia in carcere in relazione ai capi 1), 3) e

Ospedaliera di Caserta, cosicché le residue dichiarazioni di GASPARIN e
OVAIOLO rimarrebbero al livello di generico sospetto. Il Tribunale – a
fronte delle deduzione difensive – avrebbe omesso di individuare
l’evidenza di reciproche utilità, confondendo rapporti di natura
puramente personale con sintomi di partecipazione esterna. Cosicché le
conclusioni di cui al folio 53/54 della ordinanza impugnata risultano
scollegate dai contenuti reali delle conversazioni intercettate, che

gestionale. Quanto alla vicenda afferente alla restituzione della somma
tra i 5mila ed i 20mila euro, il Tribunale avrebbe omesso di considerare
quanto dichiarato concordemente dagli indagati in ordine alla natura
puramente personale del rapporto intercorrente tra ZAGARIA Franco ed
il CESARINI, trattandosi di un prestito del primo al secondo, senza alcun
riferimento alla ODEIA, operante successivamente al decesso dello
ZAGARIA. In altri e più semplici termini risulterebbe fallace il
ragionamento seguito dal Tribunale secondo il quale Io ZAGARIA Franco
sarebbe il braccio operativo di ZAGARIA Michele e, poiché il primo ha
avuto rapporti con il CESARINI con il quale, a sua volta, il D’ANTONIO
ha lavorato ( come dipendente presso la STEL) e vi sono conversazioni
che dimostrano tali rapporti, la partecipazione camorristica di Franco
ZAGARIA è prova della collusione camorristica dell’attuale ricorrente,
senza alcuna verifica della volontà partecipazione di quest’ultimo al
sodalizio criminale.
2.1.2. In relazione alla aggravante di cui all’art. 7 I.n. 203/91 mancherebbe
qualsiasi motivazione specifica al riguardo, risultando ritenuta la sua
sussistenza sulla scorta delle argomentazioni già poste a fondamento
della ritenuta partecipazione associativa.
2.1.3. In relazione ai reati di cui agli artt. 353 e 353bis cod. pen. il
ragionamento complessivo seguito dall’accusa e condiviso dal Tribunale
non reggerebbe alla luce della valutazione degli atti e della loro corretta
interpretazione. Si sarebbero sopravvalutati gli elementi provenienti
dalle intercettazioni rispetto al concreto andamento della gara sia in
relazione alla inidoneità dello strumento usato ad escludere altri
partecipanti, sia in relazione alla offerta anormalmente bassa della
ODEIA che non poteva determinare da sola la esclusione dalla gara
stante il vantaggio per la stazione appaltante. Mancherebbe, inoltre, la
indicazione di uno specifico e concreto ruolo in capo al ricorrente che
proprio in ordine al meccanismo di espletamento della gara non risulta

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evidenziano meri rapporti di natura politica ovvero problemi di natura

aver svolto alcuna concreta funzione, risultando presente solo nella fase
finale della gara.
2.2.

Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 274 cod.
proc. pen.. La ordinanza avrebbe erroneamente fondato la sussistenza
della pericolosità sociale sulla presunzione connessa alla contestazione
associativa, non considerando il loro superamento fondato sulle
allegazioni difensive legate alla cessazione delle funzioni del FESTA e al

ricorrente era stato contestato il concorso esterno rispetto al quale la
esistenza della esigenze non era di per sé sufficiente al ritenere la
adeguatezza e la proporzionalità della custodia in carcere.
2.3.

La difesa ha, infine, allegato la decisione resa da questa Corte ( n.
26551/2015) nei confronti del coindagato FERRAIUOLO Domenico, anch’
egli socio della ODEIA Costruzioni s.r.I., con la quale è stato disposto
l’annullamento della ordinanza del Tribunale in relazione alla accusa
associativa e all’aggravante di cui all’art. 7 Id.’. n. 152/91 negandosi
quella che è stata individuata come una sorta di «proprietà
transitiva» per la quale i rapporti stabiliti dal sodalizio criminale del
clan dei Casalesi nell’ospedale casertano e i rapporti stabiliti dal sodalizio
criminale con pubblici amministratori infedeli valgono a colorare di
mafiosità tutti gli altri rapporti intessuti da detti amministratori con altri
soggetti operanti nel medesimo ambiente imprenditorialeamministrativo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è in parte fondato.
1. L’assunto difensivo secondo il quale il ricorrente, in relazione al capo 1),
sarebbe stato attinto dalla contestazione del reato di cui agli artt. 110416bis cod. pen. è manifestamente infondato. Esso, in realtà, fa leva su
una indicazione parentetica espressa a pag. 355 dalla ordinanza
genetica nella parte in cui essa tratta delle esigenze cautelari del tutto
inincidente rispetto alla specifica contestazione di partecipazione
associativa mossa attraverso la provvisoria contestazione, mai posta in
discussione nella parte in cui la ordinanza tratta della gravità indiziaria
pertinente ed in relazione alla quale è disposta la misura.

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sequestro delle società coinvolte. Inoltre, non si è tenuto conto che al

2. Quanto alla doglianza relativa alla partecipazione delittuosa sub 1) va
detto quanto segue.
Come già affermato da Sez. 6, n. 27928 del 14/06/2013, Ferrara, Rv.
256262, l’obbligo di motivare l’ordinanza coercitiva e quella che la
conferma in sede di riesame non è assolto dalla riedizione del
compendio investigativo, nella specie dichiarativo ed intercettivo, e
facendo leva su di una autoevidenza dello stesso compendio; si tratta,
per quanto riguarda il Tribunale del riesame, di individuare la
motivazione offerta dal giudice di prime cure a sostegno della sua
decisione ed eventualmente – ove questa sia carente – di integrarla,
laddove ne sussistano i presupposti di fatto e di diritto. Cosicché se è del
tutto legittima la motivazione “per relationem” della ordinanza sia
impositiva come quella resa in sede di riesame, si tratta pur sempre di
una tecnica redazionale che comunque deve consentire, prima, la
individuazione delle ragioni in fatto e diritto commisurate all’azione
cautelare proposta dall’organo dell’accusa da patte del provvedimento
genetico e, quindi, i motivi della sua condivisione da parte dell’organo
del riesame. E ciò sia che non vi siano state specifiche deduzioni
difensive – in quanto con il ricorso ex art. 309 c.p.p. al Tribunale è
comunque devoluta l’intera materia – sia che ve ne siano state,
risultando specifico obbligo di risposta da parte del Tribunale laddove
esse riguardino aspetti decisivi. È stato ribadito da questa Corte (Sez.
6, n. 18728 del 19/04/2012, Russo e altro, Rv. 252645) per ciò che
attiene all’esposizione del gravi indizi di colpevolezza, in tema di misure
cautelari personali, l’obbligo di motivazione dell’ordinanza applicativa
della custodia cautelare in carcere, e, tanto più, la giustificazione
conforme che intenda darne il Tribunale del riesame, non può ritenersi
assolto, con la mera elencazione descrittiva degli elementi di fatto,
occorrendo invece una valutazione critica ed argomentata delle fonti
indiziarie, singolarmente assunte e complessivamente considerate, il cui
controllo in sede di legittimità deve limitarsi a verificarne la rispondenza
alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza di completezza
espositiva (cfr. in termini: Sez. 6, 40609/2008 Rv. 24121, massime
precedenti conformi: n. 30257 del 2002 Rv. 222750, N. 15733 del 2003
Rv. 225440). Va in proposito evidenziato che l’art. 292 cod. proc. pen.,
in attuazione dell’obbligo costituzionale, sancito per tutti i provvedimenti
giurisdizionali (art. 111 Cost., comma 6) e, specificamente, per qualsiasi
atto di restrizione della libertà personale (art. 13 Cost., comma 1),
stabilisce proprio, quale contenuto essenziale dell’ordinanza “de
4

2.1

libertate” del giudice, “l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e
degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con
l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i
quali essi assumono rilevanza”. In tale quadro, di necessaria e rigorosa
giustificazione, attinente in particolare ai gravi indizi di colpevolezza,
tale obbligo non può intendersi assolto con la mera elencazione
descrittiva di elementi di fatto, e nel caso specifico, con la trascrizione

condotte percepite dalla Polizia giudiziaria, definite di “formidabile
valenza”, di “indubbio rilievo”, senza una adeguata e pertinente sintesi
logica, accompagnata dalla valutazione critica e argomentata degli indizi
singolarmente assunti e complessivamente considerati. È notorio che il
Supremo collegio non ha il compito di trarre valutazioni autonome dalle
fonti indiziarie, e, pertanto, non può “addentrarsi” nell’esame del
contenuto documentale delle stesse, laddove questo sia riprodotto nel
documento impugnato (Sez. 6, 13129/2008 in ricorso Napolitano, non
massimata): ciò che conta infatti, per la verifica in sede di legittimità,
l’adeguatezza della motivazione stessa sul punto della qualità indiziante
degli elementi acquisiti (cfr. in termini: sez. 6, 7651/2010, P.G. in proc.
Mannino).
2.2.

In tema di associazione di tipo mafioso, la condotta di partecipazione è
riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica
compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da
implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e
funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al
fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il
perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 33748 del
12/07/2005, Mannino, Rv. 231670); ancora, la condotta di
partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e
organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale
da implicare, più che uno “status” di appartenenza, un ruolo attivo in
base al quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo. In
base a detto principio, la Corte ha ritenuto configurabile la condotta
partecipativa a carico del figlio del capo di una cosca della ndrangheta
che aveva assunto il ruolo di gestore di un’impresa familiare, operante
nel settore della raccolta dei rifiuti, ritenuta uno strumento
fondamentale per l’attuazione del programma criminoso
dell’organizzazione (Sez. 1, n. 39543 del 24/06/2013, Fontana, Rv.
257447).
5

del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate e delle

2.3.

In particolare, la qualificazione di ” imprenditore colluso” con
associazioni di tipo mafioso comporta l’esistenza di un rapporto di
reciproci vantaggi consistenti per l’ imprenditore nell’imporsi nel
territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere
risorse, servizi o utilità (Sez. 1, n. 30534 del 30/06/2010, Tallura, Rv.
248321; Sez. 5, n. 39042 del 01/10/2008, Sama’, Rv. 242318); da
ultimo, in un caso in cui l’imprenditore operava nell’ambito del sistema

illecita interferenza, che comportava, a suo vantaggio, il conseguimento
di commesse e, in favore del sodalizio, il rafforzamento della propria
capacità di influenza nel settore economico, con appalti ad imprese
contigue – nell’ambito di una fattispecie di concorso esterno in
associazione di tipo mafioso – è stato ritenuto “colluso” l’imprenditore
che, senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio
criminale e privo della “affectio societatis”, instauri con la cosca un
rapporto di reciproci vantaggi, consistenti, per l’imprenditore,
nell’imporsi sul territorio in posizione dominante e, per l’organizzazione
mafiosa, nell’ottenere risorse, servizi o utilità ( Sez. 6, n. 30346 del
18/04/2013, Orobello, Rv. 256740).
2.4.

La ordinanza impugnata ha conclusivamente riconosciuto al ricorrente la
qualità di imprenditore colluso ( v. pg. 73 della ordinanza) inserito nella
compagine associativa di stampo camorristico facente capo alla famiglia
Zagaria quale imprenditore di riferimento – per il tramite della ODEIA
s.r.l. – e suo stabile finanziatore, contribuendo al mantenimento
economico del gruppo. Sarebbe dimostrata – secondo il Tribunale
partenopeo – la partecipazione attiva, personale e consapevole alla vita
del sodalizio e al suo mantenimento anche economico attraverso la
gestione monopolistica degli appalti relativi ai lavori edili – di cui forniva
al clan parte dei profitti – ottenendo in cambio dall’organizzazione
camorrista l’affidamento diretto dei lavori in spregio della normativa sui
pubblici appalti.

2.5.

A detta conclusione la ordinanza è pervenuta considerando le plurime
fonti dichiarative ( par. 3) ed intercettive ( par. 4) che confermano la
ricostruzione di quella genetica che ha individuato le dinamiche facenti
capo al clan ZAGARIA relative al sistema di controllo e spartizione degli
appalti dell’Ospedale Sant’Anna e S. Sebastiano di Caserta, dell’affectio
che lega i vari componenti del sodalizio, del carattere organizzato del
loro agire criminoso e del ruolo apicale assunto da ZAGARIA Francesco e
del suo collaboratore ed uomo di fiducia D’AMICO Remo, deputati a
6

di gestione e spartizione degli appalti pubblici attraverso un’attività di

pilotare l’assegnazione degli appalti in favore di imprenditori collusi con
il clan ZAGARIA, grazie all’apporto dei dirigenti del medesimo Ospedale,
quali ANNUNZIATA Luigi, BOTTINO Francesco Alfonso e FESTA
Bartolomeo. Si sono accertate le influenze del clan sulle stesse nomine
dell’ANNUNZIATA e del BOTTINO alla Direzione Generale del predetto
Ospedale ( par. 4.1), il ruolo di intermediazione svolto dal D’AMICO
all’interno della organizzazione mafiosa attraverso gli incontri con politici

clan ( par. 4.2.) volta all’imposizione di questi ultimi nell’ambito dei
lavori appaltati dall’Ospedale, i rapporti tra D’AMICO e FESTA, preposto
dal 2006 a capo del dipartimento di Ingegneria Ospedaliera, ufficio
centrale nella assegnazione degli appalti relativi all’azienda ospedaliera
ed il ruolo pienamente assunto da questi all’interno della compagine
camorristica (par.4.3). Infine, sono dimostrati i rapporti tra il D’AMICO
ed il FESTA con i soci della ODEIA Costruzioni s.r.l. della quale il
ricorrente è amministratore unico e, quindi, la partecipazione del
predetto alla compagine associativa desunta dalle cointeressenze
reciproche, documentate dal compendio intercettivo, tra il D’AMICO,
DONCIGLIO Raffaele, MAGLIULO Antonio ed i soci della ODEIA s.r.l.
nonché dal coinvolgimento del ricorrente analogamente documentato
dalla captazione del 16.12.2012 presso l’Ufficio del FESTA ed alla quale
partecipano i soci della ODEIA s.r.l. e lo stesso ricorrente ( v. pg. 139 e
ss. della ordinanza genetica). Si tratta, inoltre, di conversazioni nel
corso delle quali ZAGARIA Elvira riceve informazioni dal D’AMICO sulle
imprese che stanno lavorando presso l’Ospedale di Caserta
menzionandosi espressamente il CESARINI, socio della ODEIA s.r.l. e,
ancora, delle lamentele del CANGIANO, altro socio, con il D’AMICO circa
lo scarso lavoro ed i favoritismi fatti nei confronti di altri imprenditori da
parte dell’ingegnere FESTA. Quella che è definita come posizione di
assoluto monopolio della ODEIA s.r.l. all’interno della azienda
ospedaliera è documentata da altre intercettazioni relative ai capi 3) e
5) e dalla tabella di pagamento acquisita presso l’Archivio dell’ospedale
casertano.
2.6.

Ritiene questa Corte che il percorso giustificativo della ordinanza ancorchè richiami correttamente gli orientamenti di legittimità in materia
di partecipazione associativa in generale e di collusione imprenditoriale
in particolare – non ne faccia, in realtà, conseguente applicazione. In
linea con quanto già osservato dalla precedente decisione di questa
Corte nei confronti del coindagato FERRAIUOLO, anche a giudizio di
7
COI

locali, dirigenti amministrativi dell’Ospedale di Caserta e imprenditori del

questo Collegio, non valgono a individuare la partecipazione mafiosa
dell’imprenditore i suoi contatti con il contesto mafioso facente capo
prima a Francesco ZAGARIA e dopo ad Elvira ZAGARIA – nè la generica
cointeressenza economica della ODEIA s.r.l. in generale e del ricorrente
in particolare, non potendosi giustificare la partecipazione mafiosa
dell’imprenditore attraverso una sorta di osmosi tra i rapporti propri dei
riferimenti mafiosi e degli amministratori a questi asserviti e

caso nessuna diretta accusa proviene dal compendio dichiarativo
considerato dalla ordinanza in ordine alla partecipazione associativa del
ricorrente, ma neanche quello intercettivo (specificamente considerato
nel par. 5 della ordinanza che ad esse in gran parte rinvia
commentandone la rilevanza ai fini della accusa in esame) va oltre
l’insufficiente rilievo di generiche cointeressenze tra il ricorrente ed il
contesto amministrativo-mafioso facente capo al clan ZAGARIA. In tal
senso la conversazione in ambientale del 16.10.2012 come pure quelle
del 6.1.2013 che non coinvolgono la persona del ricorrente e, ancora,
quella n. 2224 del 13.11.2012 (riportata a pag. 51 della ordinanza). Né
le successive captazioni menzionate superano la genericità del
riferimento alle cointeressenze allorquando fanno riferimento al mancato
pagamento di spettanze lavorative che interessavano il CANGIANO per
lavori presso l’Ospedale o a problemi finanziari del CESARINI. Sfugge la
correlazione, solo acriticamente affermata, tra tali conversazioni e le
lamentele del CANGIANO con il D’AMICO per la scarsità dei lavoro ed i
favoritismi fatti ad altri imprenditori. E, infine, non conclude il
ragionamento che il Tribunale intende avallare il richiamo delle vicende
sub 3) e 5), temporalmente collocate in soli due anni ( 2012 e 2013),
delle quali non è evidenziato alcun rilievo strategico ai fini monopolistici,
connotate – evidentemente – da scarso rilievo economico essendo,
rispettivamente, correlate a lavori per 150.000 e 100.000 euro importo,
quest’ultimo, per di più, frazionato in due anni e nell’ambito di
assegnazioni dirette che coinvolgono altre cinque ditte.
2.7.

In conclusione, la motivazione resa dal Tribunale non rende conto
dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso condotte
univocamente sintomatiche consistenti nello svolgimento di attività
preparatorie rispetto alla esecuzione del programma oppure
nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale.
L’ordinanza impugnata, infatti, all’esito della compiuta illustrazione degli
elementi probatori acquisiti, ha omesso di illustrare gli aspetti sotto i
8

l’imprenditore che con tale contesto viene a contatto. Anche in questo

quali, nella prospettiva dinamico – funzionalistica in precedenza indicata,
si sarebbe estrinsecata la partecipazione del ricorrente al sodalizio di
stampo mafioso, nonché il consapevole e volontario contributo
causalmente rilevante fornito dal ricorrente alla vita associativa. In
relazione a questi profili la motivazione del provvedimento impugnato
risulta priva dei necessari requisiti di coerenza, completezza e di logicità,
al punto da risultare meramente apparente e inidonea a rendere

concreto sussistenti gli elementi costitutivi del delitto previsto dall’art.
416 bis c.p. sulla base di un quadro di univoca gravità indiziaria, proprio
in ordine al decisivo sinallagma strategico stretto dal ricorrente con la
compagine associativa sotto il profilo della posizione dominante della
impresa e dell’effettivo contributo di essa alla vita dell’associazione
criminosa. Anche sotto questo profilo la motivazione dell’ordinanza
impugnata è carente, avendo omesso di sviluppare un compiuto iter
argomentativo in ordine alla tipologia, all’effettiva portata del rapporto
intrattenuto dal ricorrente con il clan dei casalesi e alla sua concreta
estrinsecazione in una prospettiva di biunivoca utilità, preordinata,
mediante il ricorso alla violenza e all’intimidazione, all’affermazione di
forme di supremazia e di predominio territoriale in vista del controllo di
attività economiche, appalti, servizi pubblici, funzionale al rafforzamento
della cosca e al conseguimento di profitti ingiusti.
3. Generico ed in fatto è il motivo relativo al capo 3), rispetto alla
motivazione resa dal provvedimento impugnato che – in uno a quello
reso dalla ordinanza impugnata – ha individuato la preordinazione del
bando di gara avvenuta tra il FESTA ed i soci della ODEIA s.r.l.
partecipante alla gara. Tanto emerge dal compendio intercettivo
analiticamente indicato nella ordinanza fino alla aggiudicazione della
gara alla ODEIA s.r.l. in data 18.3.2013 e dal riscontro documentale
acquisito. La attiva partecipazione del ricorrente alla vicenda in esame è
specificamente valutata a pg. 197 della ordinanza genetica laddove si
valorizza che gli atti di partecipazione alla gara sono a firma del
ricorrente che risulta presente negli uffici del FESTA il 18.3.2013
allorquando si parla dell’anomalia della offerta prodotta dalla ODEIA
s.r.l. commentando il D’ANTONIO ed il CESARINI che la questione non
rileva.
4. Quanto alla aggravante di cui all’art. 7 I.n. 203/91 contestata in
relazione al capo 3) sotto l’aspetto finalistico va detto quanto segue.

9

comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere in

4.1.

La circostanza aggravante di cui all’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n.
152, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la
condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un’associazione
mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione
che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari
o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del
sodalizio criminale (Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, Messina e altro,

4.2.

Cosicché – ancorché per la sua

sussistenza non è necessaria la

partecipazione del soggetto alla compagine associativa – l’aggravante in
parola dovrà essere rivalutata, per quanto sopra detto, in relazione alla
consapevolezza da parte del ricorrente della contestata finalizzazione,
non bastando a tal fine l’oggettivo inserimento della vicenda nel
contesto della gestione illecita degli appalti.
5.

Quanto alle doglianze in ordine alla prognosi di pericolosità ed al giudizio
di adeguatezza e proporzionalità della misura inframuraria esse sono
assorbite dall’accoglimento del primo e precedente motivo.

6.

La ordinanza deve, pertanto, essere annullata limitatamente al capo 1) e
all’aggravante di cui all’art. 7 I.n. 203/91 relativamente al capo 3), con
rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame, al cui esito dovranno
essere rivalutate le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura
imposta. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

7.

Vanno disposti gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att.
cod. proc. pen..

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al capo 1) e alla
aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/91 e rinvia al Tribunale di Napoli
per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per
gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, 9.7.2015.

Rv. 253218).

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