Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3137 del 03/12/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3137 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– MANISCALCO ANTONIO, n. 17/08/1954 a Mazara del Vallo

avverso la sentenza della Corte d’Appello di PALERMO in data 1/03/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Cons. Dott. ALDO POLICASTRO, che ha concluso per l’annullamento
con rinvio dell’impugnata sentenza;
udite le conclusioni dell’Avv.

Data Udienza: 03/12/2013

RITENUTO IN FATTO

1.

MANISCALCO ANTONIO ha proposto, a mezzo del difensore fiduciario –

procuratore speciale cassazionista, tempestivo ricorso avverso la sentenza della
Corte d’Appello di PALERMO in data 1/03/2013, depositata in data 13/03/2013,

SEZ. DIST. DI MAZARA DEL VALLO, con cui il medesimo imputato è stato
condannato alla pena di mesi sei di arresto ed 6.000,00 C di ammenda, ritenuta
la continuazione e la diminuente di rito, per i seguenti reati: a) art. 44, lett. b),
d.P.R. n. 380/2001 (perchè, nella qualità di proprietario del terreno e dei
manufatti abusivi ivi insistenti, realizzava le seguenti opere in assenza del
prescritto permesso di costruire, sul fondo sito a Mazara del vallo, via Canada,
annotato in catasto al foglio di mappa n. 170, p.11e nn. 353, 354, 357/3 e 357/4:
1) demolizione di un magazzino rurale e realizzazione di un corpo di fabbrica
composto da una platea e pilastri in cemento armato, con solaio di copertura in
latero cemento, sprovvisto di tompagnatura esterna ed interna; 2) ultimazione e
rifinitura al civile del fabbricato summenzionato; b) art. 71 d.P.R. n. 380/2001
(perché nella suddetta qualità, eseguiva le predette opere in cemento armato, in
mancanza di un progetto esecutivo redatto da un tecnico abilitato ed iscritto nel
relativo albo e senza la direzione dei lavori da parte di un tecnico avente pari
requisiti, contravvenendo alle prescrizioni imposte dall’art. 64 del medesimo
d.P.R.); c) art. 72, d.P.R. n. 380/2001 (perché, nella suddetta qualità, eseguiva
le predette opere in cemento armato, in assenza della preventiva denuncia
prescritta dall’art. 65 del medesimo d.P.R.); d) art. 95, d.P.R. n. 380/2001
(perché, nella suddetta qualità, eseguiva le opere di cui sopra in zona sismica, in
assenza dell’autorizzazione prescritta dall’art. 94 del medesimo d.P.R.).
Fatti commessi, rispettivamente, quanto alle opere enunciate al punto 1), nel
periodo dal 3/08 al 30/10/2006 (periodo di loro esecuzione); quanto alle opere
enunciate al punto 2), le stesse sarebbero state eseguite in epoca compresa tra
il 30/10/2006 ed il 17/04/2008.

2.

Ricorre avverso la predetta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore

fiduciario – procuratore speciale cassazionista, deducendo un unico motivo di
ricorso, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

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confermativa della sentenza 12/03/2012 emessa dal Tribunale di MARSALA –

2.1. Deduce violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p. in relazione all’art. 157
c.p.; in sintesi si duole della mancata declaratoria di estinzione dei reati per
prescrizione da parte della Corte territoriale, in quanto il tempus commissi delicti
sarebbe da ancorare al mese di ottobre 2006, sicchè sarebbero trascorsi oltre
sette anni con brevi periodi di sospensione; le opere al momento del sopralluogo
della PG erano ultimate e le opere ulteriori avrebbero riguardato la tinteggiatura

ad un periodo successivo all’ottobre 2006 sarebbe stata effettuata dalla Corte
territoriale attraverso il ricorso a meccanismi presuntivi, violando il principio di
favor rei;

inoltre, la Corte sarebbe incorsa in vizio di motivazione, avendo

sostenuto una diversa epoca di commissione del reato in modo completamente
apodittico e sganciato dai dati fattuali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3.

Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile perché manifestamente

infondato.

4. L’unico motivo di ricorso, come anticipato, riguarda la mancata declaratoria di
estinzione per prescrizione dei reati urbanistici ed edilizi ascritti al ricorrente, il
quale sostiene che il tempus commíssi delicti sarebbe da ancorare al mese di
ottobre 2006, in quanto le opere al momento del sopralluogo della PG erano
ultimate e le opere ulteriori avrebbero riguardato la tinteggiatura e non
avrebbero minimamente influito sulla cubatura.
Il motivo è inammissibile perché generico, in quanto non tiene in conto di quanto
puntualmente argomentato dai giudici d’appello sul punto. E’ pacifico infatti che
è inammissibile per genericità il ricorso per cassazione fondato su motivi che si
risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente
esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare
non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di
critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del
11/03/2009 – dep. 14/05/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
Ed invero, la sentenza impugnata si fa carico specificamente di disattendere
l’omologo motivo di appello, evidenziando come il 17 aprile 2008, all’atto del
secondo sopralluogo da parte della PG, volto alla verifica dell’avvenuta
demolizione delle opere disposta dal Comune dopo il primo accertamento
avvenuto il 30 ottobre 2006, i verbalizzanti avessero rilevato che il manufatto
abusivo era stato “rifinito al civile”, locuzione equivalente al concetto di
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e non avrebbero minimamente influito sulla cubatura; la datazione delle opere

ultimazione, la quale era dunque avvenuta nel periodo compreso tra il 30
ottobre 2006 ed il 17 aprile 2008. E’ ben vero che non risulta la data esatta di
tale “ultimazione”, ma argomentatamente sulla base di un ragionamento logico fattuale (e non sulla base di elementi presuntivi, come invece si duole il
ricorrente) la Corte territoriale ha escluso che le opere di ultimazione di un
fabbricato di tali dimensioni come quello abusivamente realizzato, di circa 110

mese e sette giorni), escludendo che si potesse collocare la data di ultimazione
al 6 dicembre 2006, ma datando tale ultimazione al gennaio dell’anno
successivo, circostanza contestata in ricorso.
Deve, a tal proposito, osservarsi, in primo luogo, che l’accertamento relativo
all’ultimazione dei lavori costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in
sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato.
In secondo luogo, è pacifico che i reati contestati sono da considerarsi come reati
permanenti. La cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva
va, infatti, individuato nel momento dell’ultimazione dell’opera, ivi comprese le
rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di ultimazione,
contenuta nell’art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che anticipa tale
momento a quello della ultimazione della struttura, è funzionale ed applicabile
solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il
momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora
permesso di costruire: v., ex multis: Sez. 3, n. 33013 del 03/06/2003 – dep.
05/08/2003, Sorrentino ed altro, Rv. 225553). Analogamente, il reato di omessa
denuncia dei lavori e presentazione dei progetti ha natura di reato permanente,
la cui consumazione si protrae sino a quando il responsabile non presenta la
relativa denuncia con l’allegato progetto ovvero non termina l’intervento edilizio
(Sez. 3, n. 29737 del 04/06/2013 – dep. 11/07/2013, Vella Pasquale, Rv.
255823). Infine, quanto alle violazioni alla normativa in materia di cemento
armato, è pacifica la loro natura di reato permanente (Sez. 3, n. 1411 del
03/11/2011 – dep. 17/01/2012, P.M. in proc. Iazzetta, Rv. 251880).
In terzo luogo, pur essendo in astratto ammissibile il ricorso per cassazione
proposto all’esclusivo fine di dedurre la prescrizione del reato maturata prima
della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello (v.,
tra le tante: Sez. 5, n. 47024 del 11/07/2011 – dep. 20/12/2011, Varone, Rv.
251209), è improprio il richiamo all’asserita violazione del principio “in dubio pro
reo”

da parte della Corte territoriale, in quanto nella stessa motivazione

dell’impugnata sentenza si chiarisce come manchi la prova contraria, che
necessariamente avrebbe dovuto essere addotta dall’interessato, circa l’epoca di
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mq., potessero essere state effettuate in poco più di un mese (esattamente un

effettiva ultimazione dei lavori. In tema di prescrizione, è stato già affermato da
questa Corte che, sempre restando a carico dell’accusa l’onere della prova della
data d’inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta una mera e
diversa affermazione da parte dell’imputato a fare ritenere che il reato si sia
realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza sulla
data d’inizio della decorrenza del relativo termine con la conseguente

generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava
sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta
a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli
elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per
determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in
tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell’opera incriminata (v., tra le
tante: Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 – dep. 11/10/2000, Fretto S., Rv.
217575).
Tanto premesso, dunque, è infondata l’eccezione difensiva d’intervenuta
prescrizione. Ed invero, pur volendosi collocare l’ultimazione dei lavori in epoca
assai prossima al primo accertamento eseguito il 30 ottobre 2006, dunque
collocandola – in accoglimento delle tesi difensiva, non provata, dell’ “in dubio
pro reo” –

alla data 6 dicembre 2006 come emerge dalla motivazione

dell’impugnata sentenza (ossia, in un mese e sette giorni dalla data del primo
accertamento, come prospettato ipoteticamente dalla difesa), i reati non
sarebbero comunque estinti per prescrizione alla luce dei periodi di sospensione
del termine prescrizionale, come puntualmente ha dato atto nell’impugnata
sentenza la Corte d’appello. Ed infatti, all’ordinario termine quinquennale di
prescrizione (si tratta di fatti successivi alla legge 5 dicembre 2005, n. 251),
devono essere aggiunti i periodi di sospensione disposti in primo grado, pari ad
un anno, due mesi e giorni 29, dovendosi tali periodi computare per intero e non
per soli sessanta giorni, in quanto richiesti per procedere a rito alternativo (nel
caso di specie, il giudizio abbreviato: Sez. 3, n. 29613 del 08/07/2010 – dep.
27/07/2010, Scafuto, Rv. 248138) e per astensione dalle udienze (v., ex multis:
Sez. 4, n. 10621 del 29/01/2013 – dep. 07/03/2013, M., Rv. 256067).
Aggiungendo, quindi, 14 mesi e 29 giorni al termine di prescrizione massima
quinquennale (decorrente il dies a quo dal 6 dicembre 2006, v.

supra), la

maturazione del termine prescrizionale è intervenuta il 5 marzo 2013, ossia in
data successiva alla sentenza d’appello, emessa il 28 febbraio 2013).

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applicazione del principio “in dubio pro reo”, atteso che, in base al principio

5. L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (v., per tutte: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000
– dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).

All’inammissibilità del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non
emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle
ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in
euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 (mille) in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2013

Il Consi liere est.

Il Presidente

6.

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