Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 31363 del 08/07/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 31363 Anno 2015
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

Data Udienza: 08/07/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
URBINATI STEFANO N. IL 30/11/1962
avverso l’ordinanza n. 783/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
24/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
-lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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FATTO E DIRITTO
1. Con provvedimento del 24 marzo 2015, il Tribunale del riesame di Roma
ha confermato l’ordinanza del 23 febbraio 2015, con la quale il Gip presso lo
stesso Tribunale ha applicato a Urbinati Stefano la misura della custodia in
carcere in relazione al reato di cui agli artt. 319 – 321 cod. pen. (capo 5), per
avere, quale funzionario del Dipartimento IX del Comune di Roma, accettato la
promessa del versamento di somme e, quindi, ricevuto del denaro in relazione
alla mancata rilevazione di alcuni abusi nel cantiere gestito da Costantini Sandro,

Collegio ha evidenziato che, all’apporto dichiarativo determinante della teste
Della Ciana Tiziana, già collaboratrice di Borsci Andrea (in merito al versamento
all’Urbinati da parte del Borsci di 10.000 euro datigli dal costruttore Costantino
Sandro ed al fatto che, ciò nonostante, fosse stato comunque avviato un
procedimento penale), si aggiungono le dichiarazioni rese in interrogatorio da
Costantini Sandro, collaboratore e dipendente del Biagini (che ha confermato di
avere dato al Borsci somme di denaro che questi gli chiedeva per pagare Urbinati
per mandare avanti i lavori, sebbene nel cantiere non vi fossero abusi, ma
soltanto delle discrasie esterne) e da Borsci Andrea in interrogatorio (che ha
riferito di avere funto da tramite, ma di non avere mai portato soldi all’Urbinati,
e di ritenere che Costantini avesse consegnato del denaro a quest’ultimo) nonché
le dichiarazioni dello stesso Urbinati (che ha riferito di aver fatto una relazione
sul cantiere del Costantini a seguito della segnalazione di abusi). Il Tribunale ha
quindi posto in risalto come i due indagati Costantini e Borsci, pur accusandosi
vicendevolmente, abbiano confermato che per portare avanti i lavori nel cantiere
era stato necessario pagare il pubblico ufficiale, e come il quadro indiziario risulti
confermato dal coinvolgimento di Urbinati Stefano, in questo stesso
procedimento, in due ulteriori episodi di corruzione. Sul fronte cautelare, il
Giudice dell’impugnazione cautelare ha ritenuto sussistenti sia il pericolo di
reiterazione criminosa, sia il pericolo di inquinamento probatorio, stimando
adeguata la misura della custodia in carcere applicata dal Gip. In risposta ai
rilievi mossi col ricorso ex art. 309 cod. proc. pen., il Tribunale ha posto in luce,
per un verso, come le censure concernenti le vicende pregresse, già valutate nel
ricorso per riesame proposto avverso la precedente ordinanza coercitiva, non
possano essere prese in esame nel presente giudizio; per altro verso, come
l’assegnazione di Urbinati ad un nuovo incarico (senza contatti col pubblico, né
con potenziali entrate dell’ufficio) sia comunque precaria e difficilmente
controllabile in caso di rimessione in libertà.

2

commesso in Roma nel 2012 e nel 2013. A fondamento della decisione, il

2. Avverso la decisione ha presentato ricorso l’Avv. Fabrizio Merluzzi,
difensore di fiducia di Urbinati Stefano, e ne ha chiesto l’annullamento per vizio
di motivazione, per avere il Tribunale omesso di esplicitare le ragioni per le quali
l’assistito potrebbe commettere nuovi reati se sottoposto ad una misura
interdittiva oppure a quella degli arresti domiciliari, ciò tanto più considerata la
novella dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., recentemente intervenuta.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato
inammissibile, essendo stato Urbinati medio tempore sottoposto alla misura degli

Urbinati ha insistito per l’accoglimento dei motivi.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5. Giova premettere come il ricorrente, nelle more della celebrazione del
presente giudizio d’impugnazione, sia stato sottoposto alla misura degli arresti
domiciliari. Risulta dunque superata la doglianza difensiva con la quale si
censurava la mancata concessione della misura ex art. 284 del codice di rito.
6. In relazione al residuo rilievo – concernente la mancanza di motivazione
in ordine alla fronteggiabilità dei pericula libertatis sussistenti nella specie con
una misura

interdittiva -, ritiene il Collegio che le doglianze difensive non

colgano nel segno, laddove il decidente della cautela, dopo avere dato atto degli
elementi sostanzianti i gravi indizi di colpevolezza, per un verso, ha
congruamente argomentato la sussistenza del pericolo di reiterazione criminosa,
come desunto dalla comprovata strumentalizzazione delle funzione pubblica
ricoperta per ottenere consistenti remunerazioni, e dalla non occasionalità
dell’agire illecito, dimostrato dal coinvolgimento – in questo stesso procedimento
– in altri due episodi di corruzione; per altro verso, ha esplicitato le ragioni per le
quali la solida professionalità dimostrata nel commettere gravi reati possa essere
fronteggiata con la sola misura di natura detentiva (in origine) applicata, e non
anche con una misura interdittiva o con gli arresti domiciliarí (sebbene
successivamente applicati).
Le doglianze sviluppate nel ricorso si risolvono pertanto, più che nella
censura di vizi riconducibili al disposto dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.,
nella sollecitazione ad una diversa valutazione delle esigenze cautelari e del
giudizio di adeguatezza e proporzionalità della misura, dunque in rilievi non
scrutinabili in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità
che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata
decisione.
7.

Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma

dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento

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arresti dorniciliari con ordinanza del 19 giugno 2015; l’Avv. Fabrizio Merluzzi per

delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene
congruo determinare in 1.000,00 euro.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle

Così deciso in Roma il 8 luglio 2015

Il consigliere estensore

Il Presidente

ammende.

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